Il Suono. L’esperienza uditiva e i suoi oggetti

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Napoli è una città stupenda, ad agosto. Svuotata dei suoi abitanti, il silenzio di chi la scopre crea condizioni altre che non la rumorosa quotidianità di motorini e comunicazioni balconiche. Annualmente, riservo questo mese allo studio, alla lettura, agli ascolti, a cucinare, a fare scorta di calorie per l’incipiente autunno. La scorsa domenica, ad esempio, mentre le melanzane a fungitiell adagiate in padella consumavano il loro bagno nell’olio caldo caldissimo, ho avuto il piacere di farmi compagnia della voce di Elvira Di Bona e Vincenzo Santarcangelo. Radio tre Suite dava finalmente spazio a chi conoscevo solo per scrittura: una intervista per presentare il loro ultimo lavoro Il Suono. L’esperienza uditiva e i suoi oggetti, edito di recente da Raffaello Cortina. I due fanno squadra da almeno un lustro, l’anno scorso hanno curato un succoso numero della rivista d’estetica – the auditory object, edita da Rosenber&Seller – che preparava il campo al nostro testo.

Sempre più l’indagine sulla dimensione acustica del mondo attrae un buon numero di visitatori: allora, è opportuno che scendano in campo i curatori a garantire il giusto rigore analitico e fornire gli strumenti opportuni per afferrare e masticare la complessità del dato sonoro.

Prendiamo il caso delle istituzioni culturali, quelle che dispensano il sapere nella forma dei crediti (come se la cultura non potesse più sfuggire a questa forma di rendicontazione). Da non più di 10 anni discipline come la pedagogia e la psicologia della musica sono state inserite nei piani di studio – in alcuni casi in modo truffaldino, come il caso dei 24 crediti per il FIT insegna. Ebbene, i nomi tirati in ballo sono stantii, fanno riferimento esclusivamente alla storia della percezione sonora – essenzialmente di matrice gestaltista – e non tengono conto dei continui aggiornamenti della disciplina. Cosa che Di Bona e Santarcangelo invece fanno, molto bene.

Il loro testo si offre alla consultazione dei curiosi quanto degli studenti delle discipline musicali, perché sotto indagine è l’esperienza uditiva in toto. Da buoni analisti, si preoccupano di fornire al lettore tutta la trafila occorsa anche negli ultimi 50 anni di studi a riguardo: ci permettono di conoscere Albert Bregman – autore del fondamentale Auditory Scene Analysis – così come Gibson e i suoi studi sugli Everyday sounds, per non citare tutti gli altri. Già a partire dall’indice è evidente la quadratura del cerchio intorno alla dimensione spazio temporale dell’esperienza uditiva, laddove la comparazione con la percezione visiva aiuta essenzialmente per definire le affinità ed evidenziare le differenze.

Un libro da masticare, più volte: si tratta di una lettura che rimanda ad altre letture, un fare il punto al fine di raccogliere tanti spunti. E non le mandano certo a dire: mi sembra di aver intuito che la psicoacustica, una disciplina essenzialmente da laboratorio, lascia il tempo che trova quando bisogna fronteggiare la realtà fatta della sua portata operativa a partire dal soggetto che non riceve semplicemente, ma elabora complessivamente l’informazione. Ed ecco, ancora una volta entra in campo l’attenzione con la sua forza discriminante, ad evidenziare il ruolo costantemente attivo della percezione.

In linea di principio, si tratta di un testo anche filosofico, laddove la storia della filosofia mostra con una certa evidenza la propensione occidentale per la visione, laddove la storia della filosofia aiuta a prendere contezza dell’esperienza percettiva. E non la mandano nuovamente a dire quando scrivono sia “compito dei filosofi occuparsi delle questioni definitorie concernenti la natura dell’oggetto uditivo”. Ora, non posso togliervi dall’imbarazzo di acquistare il libro per immergervi nello studio di queste dense pagine, ma posso elencare qualche punto di domanda che agita il lavoro della coppia Di Bona – Santarcangelo:

  • dove sta il suono? nell’orecchio, nella fonte, in mezzo? (sembra una domanda banale, di quelle da dare per scontato, eppure)
  • in che modo è possibile ridurre l’ascolto a oggetto?
  • può esistere un mondo senza spazio? in effetti, sembra scontato che l’esperienza uditiva si scriva nel tempo, eppure lo spazio gioca un ruolo determinante – tant’è che gran parte dell’esperienza di ricerca compositiva contemporanea gioca stancamente intorno a questo tema riproponendo una dimensione auratica per l’esperienza di ascolto musicale.

Insomma, dentro ci sono alcuni temi urgenti ed emergenti della riflessione sul suono, curati a partire da una rigorosa indagine storico-culturale al fine di dissipare dubbi e rendere più chiaro l’interesse al suono come oggetto vivo dell’esistenza, assultamente anarchico nel suo porsi involontario tanto a prodursi quanto a ricevere.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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