Asylum, di Antonio Raia

immagine per Antonio Raia
Asylum, Cover

Napoli è una città decisamente attiva sul fronte musicale. Eterogena la proposta che sonda i confini della storia della musica nel solco della sua performatività, da una stimolante attenzione al barocco ad una esplorazione delle traiettorie della musica contemporanea. Così, i luoghi della musica a Napoli riescono più di ogni altro fattore a perimetrare e disciplinare questa continua offerta, che incontra diversi pubblici a diversi costi. Ma oltre alla scena del pubblico, è fortemente animata la scena dei compositori e dei musicisti che rendono Napoli non solo una città della riproduzione musicale, ma soprattutto della produzione. L’asilo Filangieri di sicuro risponde all’urgenza di pensare alla musica come incontro, come attenzione all’altro da sé, alla composizione rimasta ancora inaudita.

Antonio Raia è espressione di questa urgenza, di fare musica a partire dall’altro, restando mezzo e non fine della propria composizione. Sassofonista elegante nei modi, sorridente come pochi, Raia ha all’attivo una lunga esperienza di improvvisatore che trova sedimentazione nella sua terza fatica discografica, Asylum, uscito il 16 novembre per l’etichetta portoghese Clean Feed Records.

Asylum è un album dedicato al concetto di casa come luogo intimo, luogo di rifugio, luogo di giochi per i bambini, a partire dal forte ringraziamento a L’Asilo Filangieri che ha ospitato le registrazioni nel refettorio dell’ex orfanotrofio. Quale luogo migliore come simbolo di una urgenza metodologico-compositiva nello spazio ermeneutico della comunicazione a sfondo musicale!

Senza dubbio, Asylum rappresenta da un lato il punto di arrivo di una ricerca timbrica, durata circa 3 anni, sul suono acustico del sax tenore, dall’altro resta un punto di partenza lavorativo importante visto l’appoggio in produzione della prestigiosa etichetta fondata da Pedro Costa nel 2001.

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Asylum, Cover

Il disco è composto di 12 tracce, di cui 2 classici napoletani e una song statunitense molto famosa tra gli standards jazz, Misty. La scelta di suonare cose appartenenti alla tradizione viene dalla necessità di consultare le radici e in qualche modo osservarle come ci si trovasse di fronte ad uno specchio, un modo altro e utile per ricordar sempre da dove si arriva, assumendosi il rischio di non averne abusato o usufruito in maniera coatta e banale.

L’ordine delle tracce è stato anch’esso studiato perché fosse come una specie di libro unico suddiviso in capitoli. I brani melodici sono composti dallo stesso Raia mentre l’interpretazione di queste melodie è infinitamente condizionata dal luogo dove Asylum trova memoria, tanto nella sua registrazione quanto per questioni di riverbero naturale innescato dal sax.

La relazione suono-luogo è stato fin da subito il parametro su è stato incentrato il lavoro sul suono a partire dalla grande complicità di Renato Fiorito che ha lavorato certosinamente alla fonofissazione. All’ascolto emerge una decisa dimensione intimamente emotiva segnalata dall’impiego del crudo suono acustico, senza l’utilizzo di sovraincisioni, effetti elettronici o altro. 

Quanto alla composizione, è opportuno segnalare come le melodie scritte siano state partorite nei precedenti alle registrazioni, a partire dalla necessità di esprimersi non altrimenti che col suono.

Raia rivela inoltre un condizionamento culturale che ha operato come riferimento ineludibile, un concetto mutuato da Ligeti in grado di operare nell’atto delle registrazioni: “Un atto poietico perché sia tale non smette nel momento in cui un compositore chiude l’opera. Un brano o una qualsiasi cosa creativa ha senso di esistere se essa continua nelle vite di chi ne usufruisce, prendendo mille forme diverse. Ed è per questo che il pubblico è fondamentale che ascolti, che si senta investito di una responsabilità di tutela di una vita, come il compositore deve tutelare ciò che ha fatto non sentendosi padrone della stessa” ricorda Raia, complicando le cose rispetto all’abitudinaria attitudine all’ascolto.

Ma il lavoro di Raia non si riduce all’azione sul suono fissato. In effetti, in compagnia del fidato complice Fiorito, i due sono attivi come performer in diversi contesti, non solo in Italia.

In questo caso si pongono altri problemi, di natura strettamente compositiva in stretto legame con il contesto che circonda l’azione performativa. Così, durante i live, non potendo avere a disposizione sempre luoghi con naturali ed interessanti rapporti con il suono acustico del sax, la scelta di giocare una sorta di dialogo tra sax e l’elettronica di Fiorito difende la natura del racconto, per rimarcare i giochi tra suoni e luoghi, salvaguardando altresì la performance da sterili ripetizioni dei brani.

In aperta continuità con la commedia dell’arte, stavolta spostata ai suoni, durante i live si parte da canovacci per dare vita all’inatteso.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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