Associazione Scarlatti di Napoli e Musica al Teatro Sannazzaro

immagine del Teatro Sannazaro, interno
Teatro Sannazaro, interno

Differenze tangibili tra il tempo del paese e il tempo della città emergono grazie all’azione del calendario. La ferialità del 2 novembre coincide infatti con i ritmi frenetici napoletani, mentre scorre diversamente in paesi che quasi si fermano per la commemorazione dei defunti.

L’Associazione Scarlatti ha eletto il giovedì quale giorno da programmazione concertistica e quest’anno il 2° appuntamento della stagione è caduto proprio il 2 novembre, al teatro Sannazzaro di Via Chiaia – un luogo che meglio si addice ad un ente da sempre impegnato nella diffusione della musica a Napoli.

Le operazioni in ingresso risultano rallentate dall’affluenza di un pubblico che solo a Napoli è capace di far slittare l’orario di inizio delle rappresentazioni. Così, molti ne approfittano per fare due chiacchiere, raccontarsi dell’accaduto nella cesura che intercorre tra le due stagioni.

Francesco Libetta, l’interprete della serata, richiama il pubblico da un lato per la sua potenza esecutiva, dall’altro per l’arditezza del programma proposto.

Al secondo applauso, in attesa il concerto abbia inizio, il pubblico inaugura il suo fade-in verso il silenzio.

Camille Saint-Saens fu eletto nel 1870 vicepresidente della Societé national de musique, ente impegnato nel favorire e sostenere le esecuzioni di musica sinfonica e cameristica francese – quando ancora l’azione delle scuole nazionali era evidente nella produzione artistico-musicale; un musicista impegnato, la cui esperienza contestualizza il moto della rinascita strumentale francese di cui il concerto offre il caprice sur les airs de ballet d’Alceste de Gluck (https://www.youtube.com/watch?v=oZ9CjqGJ_p0 ).

Si tratta di una rielaborazione, o meglio una trascrizione per pianoforte dall’opera Orphée et Euridice di Christoph Willibald Gluck, importante operista del Classicismo viennese, autore di una riforma che incoraggiava un equilibrio tra musica e canto. Tocco leggero, suono potente che fende l’aria e ci comunica il timbro, il colore in una sapiente ricerca e costruzione delle dinamiche per un brano che mostra e dimostra il classicismo lindo di Saint-Saens.

Ferruccio Busoni è un autore decisivo nella codificazione di quei tratti di emancipazione del suono che caratterizza il Novecento.

Empolese di nascita, tedesco di formazione e quasi di adozione, si afferma come pianista pur essendo un autore di scritti decisivi nel dibattito sulla musica dei primi decenni del secolo.

Polo dialettico della riflessione sulla musica teso tra la chiarezza, la semplicità, la leggerezza e il superamento dei limiti in continuità con la ricerca musicale e titolare della cattedra di composizione alla Accademia delle Arti di Berlino, propugna una nuova estetica della musica. In Sonatina super Carmen (https://www.youtube.com/watch?v=8MhBOYl8WsQ ) ripercorre il modello della fantasia su temi d’opera già cara a Liszt.

Apprezziamo così l’interpretazione di Libetta che ne evidenzia l’apollineo di proporzioni oggettivate dal libero fraseggio.

Chiude il primo tempo La Valse (https://www.youtube.com/watch?v=_fDonkC31co ) di Maurice Ravel. Nasce come poema coreografico nella versione per orchestra, trovando poi traduzione nella versione per pianoforte (n. 109), fino ad una versione per due pianoforti (n. 110), entrambe del 1919.

La prima esecuzione in concerto si tiene a Parigi, al Théâtre du Châtelet il 12 Dicembre 1920 mentre la prima rappresentazione col balletto ad Anversa, presso l’Opéra Royal Flamand il 2 Ottobre 1926.

L’esecuzione di Libetta, puntuale e corposa, dà modo a tutti noi di ascoltare l’intricata struttura compositiva che trama il movimento delle parti, quando la mano destra e la mano sinistra smettono di essere simmetriche per completarsi nell’arto musicale.

Nell’aia della platea il pubblico viene stato lasciato alla libertà di ingannare il tempo parlando. Intervallo.

immagine del Teatro Sannazaro, interno
Teatro Sannazaro, interno

Al rientro incontriamo Franz Liszt, autore ungherese che ci porta ai tempi dell’impero, quando si afferma come virtuoso di pianoforte, che lo impegna in tour tra le varie città europee.

Possiamo definirlo forse come l’inventore del moderno recital, cioè il primo a tenere un concerto basato interamente su musiche per pianoforte ed il primo ad eseguire a memoria un intero programma, secondo un rituale che si sarebbe affermato al punto da lasciarne immutati i tratti ancora oggi.

Nella sua produzione, la composizione per pianoforte, quantitativamente imponente, può essere distinta in quattro distinte categorie: opere originali, studi, trascrizioni e parafrasi.

A quest’ultima è ascrivibile Parafrasi Miserere du Trovatore S. 433, composizione di deciso impegno creativo che assecondava la moda dell’epoca di proporre reminiscenze, fantasie e pot-pourris di celebri brani operistici o da camera.

Una cosa ben diversa dalla cover dei nostri giorni – eppure se volessimo accogliere entrambe nell’ambito della rielaborazione di un motivo già dato non cadremmo in errore.

Chiude il programma la Sonata in la bemolle maggiore op. 110 di Ludwig van Beethoven (https://www.youtube.com/watch?v=pk0QJYoLCPQ ), il cui ascolto misura l’enigma che si cela nell’ultima fase della sua produzione.

Basta fare un giro in rete per trovare diverse esegesi che raccontino della composizione, ma resta evidente il nucleo della “disintegrazione” delle norme che organizza la forma sonata con la composizione in questione.

La fuga che trova spazio nel finale, poi, ha un che di maestoso e conclude vibrante lo scorrere di una composizione che nella sua purezza cristallina risplende del suo carico di mistero.

Il concerto termina tra clamorosi applausi e diversi inchini mentre l’interprete scarica la tensione grazie al suo bel sorriso. Assolutamente a suo agio a pianoforte, si siede per concedere due diversi bis che incorniciano la sua prestazione.

Così, ci lascia sulle note di La cura di Franco Battiato, ripercorrendo il leit motiv della rielaborazione pianistica di composizioni già esistenti, sebbene la complessità non sembra sfiorare affatto il dettato musicale del cantautore siciliano.

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Antonio Mastrogiacomo vive e lavora tra Napoli e Reggio Calabria. Ha insegnato materie di indirizzo storico musicologico presso il Dipartimento di Nuovi Linguaggi e Tecnologie Musicali del Conservatorio Nicola Sala di Benevento e del Conservatorio Tito Schipa di Lecce. Ha pubblicato “Suonerie” (CD, 2017), “Glicine” (DVD, 2018) per Setola di Maiale. Giornalista pubblicista, dal 2017 è direttore della rivista scientifica (Area 11 - Anvur) «d.a.t. [divulgazioneaudiotestuale]»; ha curato Utopia dell’ascolto. Intorno alla musica di Walter Branchi (il Sileno, 2020), insieme a Daniela Tortora Componere Meridiano. A confronto con l'esperienza di Enrico Renna (il Sileno, 2023) ed è autore di Cantami o Curva (Armando Editore, 2021). È titolare della cattedra di Pedagogia e Didattica dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria.

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