Patrimonio Archeologico a Roma a rischio. Cittadinanza attiva, fare rete e il principio della sussidiarietà

Crollo di intonaci dalle arcate dell'Acquedotto Felice sul passaggio pedonale

“La bellezza, è come l’alcool o il confort, ci si abitua, non ci si fa più attenzione.”
(Louis Ferdinand Céline)

 “Il tempo della delega è finito”. Questa asserzione sta diventando un mantra tra i tanti cittadini organizzati in associazioni, comitati, gruppi spontanei o che agiscono semplicemente da singoli per tamponare le numerosissime falle del sistema politico-amministrativo italiano precipitato in una caduta che sembra inarrestabile. Nel solco di questa che si sta palesando come una vera rivoluzione sociale e civile, RetakeRoma si è distinto come “brand più famoso d’Italia”  (come ha recentemente scritto “L’Espresso”, 30 dicembre 2014), insomma, d’appeal e virtuoso; è animato da una cittadinanza attiva nella Capitale, che coopera.  Migliaia di volontari scendono in strada quasi ogni giorno e si prendono cura – in accordo con le istituzioni –  dei beni comuni: sensibilizzando le istituzioni ai temi della rigenerazione urbana, della città accessibile ai disabili, della lotta al degrado; e ribadendo l’importanza del patrimonio archeologico e artistico che è tessuto consistente e identitario di Roma. E migliaia di occhi guardano quello che molti cittadini abbrutiti da una persistente disarmonia e incuria in cui è precipitata la città non vedono più – o fanno finta di non vedere? – continuando a delegare, a cercare risposte altrove e, in ultima analisi, disintegrando via via una già fragile coesione sociale. Il rischio palpabile è la chiusura nell’indifferenza o in una sovversione rabbiosa senza soluzione.

Proprio grazie a questa fitta rete di volontari si sono scongiurate due vera sciagure che attengono anche ai Beni Culturali.

Nella notte del 14 gennaio scorso, un post apparso alle 0.25 su Facebook (e sottolineiamo qui l’importanza e l’intelligenza di usare alcune piattaforme cosiddette “social” ) e scritto da un cittadino registrato alla pagina RetakeRoma Appio Latino Tuscolano (uno degli oltre 60 gruppi di questa galassia romana di particolare volontariato), dava la notizia del distacco consistente di una parte degli intonaci dalle arcate dell’Acquedotto romano nell’omonimo Parco. Una foto allegata confermava tale incidente. In pochi minuti è partito il tam-tam tra i retaker che hanno inserito ad hoc nella denuncia-conversazione il Consigliere del VII Municipio Francesco Laddaga, competente in materia in quanto archeologo. Crolli danneggiano l’Acquedotto Felice: chieste rapide verifiche sulla stabilità. Il mattino successivo Laddaga ha  fatto un sopralluogo, verificando che l’area era già stata recintata dall’Ente Parco. L’assessore ai Lavori Pubblici del VII Municipio Franco Morgia ha quindi verificato con l’ ufficio tecnico che l’area fosse esterna alla fascia di competenza del Municipio e di conseguenza è stato contattato telefonicamente l’ufficio tecnico dell’Ente Parco. Contestualmente, dalla stessa pagina Fb citata è stata postata una fotografia a conferma dei primi lavori in corso. La situazione è ora un work-in-progress ed è, come molte altre, monitorata dagli stessi retaker
(anche su Fb: https://www.facebook.com/retakeroma?fref=ts).

Qualche giorno prima del 14 gennaio, un’altra cittadina e militante di RetakeRoma segnalava il recente imbrattamento compiuto per mano di qualche vandalo ai danni dell’Oratorio di San Giovanni in Oleo, a Porta Latina. Ancora una volta è la Rete ad attivarsi, sollecitando l’intervento istituzionale: attraverso la pagina Facebook dello stesso gruppo RetakeRoma sono state, quindi, coinvolte le autorità competenti che hanno attivato il ripristino del manufatto con un primo intervento a cura della Sovrintendenza archeologica del Comune di Roma e successivamente con l’interessamento e il completamento dell’operazione da parte della Sovrintendenza archeologica nazionale.

Questi due episodi riportano due semplici, rilevanti fatti: il primo è l’importanza che ogni singolo cittadino ha all’interno della società quando diventa attore all’interno di un processo propositivo di tutela e di sviluppo; il secondo è che vivendo le istituzioni non come corpi estranei ma parti dialoganti ed integranti, si può assistere alla saldatura tra gli interessi del singolo, quelli della collettività e quelli della struttura amministrativa che vanno appunto a formare l’identità di una comunità e quindi di un’intera metropoli e – ragionando su una scala maggiore – di un intero Paese.

L’affrontare i problemi, procedere direttamente per sollecitare chi di dovere a rimboccarsi le maniche,  partecipare in prima persona alle soluzioni che riguardano una comunità non è solo l’unica vera rivoluzione possibile oggi per tentare di cambiare le cose: è anche il compimento reale del senso di res-pubblica ed è più puntualmente l’attuazione dell’art. 118 della Costituzione Italiana. Questo codice, in nome del principio della sussidiarietà recita così: ” “Stato, Regioni, Province, Città Metropolitane e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio della sussidiarietà”. Tale assioma implica che le diverse istituzioni debbano creare le condizioni necessarie per permettere alla persona e alle aggregazioni sociali di agire liberamente nello svolgimento della loro attività. Specialmente quando riguarda il Bene Comune. L’intervento dell’entità di “livello superiore”, qualora fosse necessario, deve essere temporaneo e diretto a restituire l’autonomia d’azione all’entità di “livello inferiore” lavorando su un livello orizzontale tra cittadino ed ente territorialmente più vicino.

Purtroppo, ad oggi sono ancora molti, troppi i cittadini che si nascondo dietro l’alibi della convinzione che debbano essere unicamente le istituzioni a risolvere i problemi; così, si auto-escludono da questo processo virtuoso, non comprendendo che con tale comportamento passivo stanno perdendo la grande occasione del superamento dello Stato come unico ente erogatore “verticale” di servizi e di processi decisionali, che inevitabilmente decideranno i destini e la qualità della vita delle persone. Perché, quindi,  rinunciare a dire la propria, e alla politica partecipata?

Per documentarvi meglio: 

Sui Beni Artistico-culturali in oggetto:

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Paolo Di Pasquale si forma studiando prima Architettura poi Disegno Industriale a Roma, specializzandosi in Lighting design. Nel 2004 è co-fondatore dello STUDIOILLUMINA, dove si occupa principalmente di Architectural Lighting Design e Luce per la Comunicazione: lo Studio progetta e realizza allestimenti espositivi e museali, ideazione della luce, corpi illuminanti, scenografia notturna - nel settore della riqualificazione urbana e in progettazione di arredi (porti turistici, parchi, giardini, piazze etc.)-, piani della luce per alcuni Comuni italiani e spettacoli di luce. Nel 2007 fonda lo Studio BLACKSHEEP per la progettazione di architettura di interni e di supporto alla pianificazione di eventi, meeting e fiere. E' interessato alla divulgazione della cultura della luce e del progetto attraverso corsi, workshop, convegni e articoli. Ha insegnato allo IED e in strutture istituzionali. E’ docente di Illuminotecnica presso l’Istituto Quasar - Design University Roma di nel corso di Habitat Design e in quello di Architettura dei Giardini. E' Redattore di art a part of cult(ure) per cui segue la sezione Architettura, Design e Grafica con incursioni nell'Arte contemporanea. Dal 2011 aderisce a FEED Trasforma Roma, collettivo di architetti romani che si interroga sul valore contemporaneo dello spazio pubblico esistente, suggerendone una nuova lettura e uso con incursioni e azioni dimostrative sul territorio metropolitano.

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