Arcacci – vedute contemporanee degli acquedotti romani. Conversazione con Maria Arcidiacono

Stefano Esposito, Acquedotto Claudio (2012)
Stefano Esposito, Acquedotto Claudio (2012)

Una mostra che mostra gli antichi arcacci romani – così furono definiti gli Acquedotti dal volgo – e indirettamente richiama il problema dell’approvvigionamento idrico della città, con un inevitabile e forse necessario sguardo alle attuali condizioni in cui versa questo nostro prezioso patrimonio archeologico, artistico e culturale. Questo e altro è nel racconto che Maria Arcidiacono ha affrontato affiancando pochissime opere – di Andrea Aquilanti (installazione con video e disegno su muro), Stefano Esposito e Gianni Fiorito (entrambi con lavori fotografici) – in un candido spazio polifunzionale capitolino e in collaborazione con l’Associazione Oroincentri. 

A lei, curatrice dell’evento, chiediamo un’introduzione all’esposizione:

“La mostra ha come tema centrale l’antico approvvigionamento idrico della città di Roma, con particolare riferimento agli acquedotti: opere monumentali che resero possibile l’afflusso di ingenti quantitativi d’acqua all’Urbe nel passato, (si calcola che ne giungessero un miliardo di litri al giorno) ma che hanno continuato a suscitare grande ammirazione nel corso dei secoli, suggerendo spunti evocativi negli artisti e negli scrittori moderni e contemporanei.”

Perché questo particolare tema come scelta portante della collettiva?

“L’intento è quello di stimolare una riflessione sulla situazione paradossale vissuta dalla metropoli nell’estate appena trascorsa, considerata tra le più torride degli ultimi decenni.

I cambiamenti climatici, il dissesto idrogeologico, l’assenza di un monitoraggio vigile sulla rete idrica e soprattutto la sua regolare manutenzione, hanno spinto l’attuale amministrazione capitolina a interrompere il flusso dell’acqua in molte fontanelle pubbliche; l’ente gestore e distributore ha dovuto ammettere di poter garantire l’approvvigionamento continuando a sottrarre acqua al lago di Bracciano, il cui livello si è notevolmente abbassato anche a seguito di queste misure, diventate consuetudine, anziché sporadici rimedi dettati dall’emergenza. Inoltre, le prime piogge autunnali stanno già mettendo a dura prova la rete di scarico delle acque, nota anch’essa nel passato come esempio di eccellenza dell’ingegneria idraulica, basti pensare alla Cloaca Massima, che risulta essere il più antico condotto fognario ancora funzionante.”

E pensare che l’acqua – le sue fontane, cantate anche da musicisti come Ottorino Respighi nel 1916 – è sempre stata una caratteristica capitolina…

“Gli acquedotti, come le straordinarie fontane barocche, ci parlano di una città che, oltre ad aver ampiamente sopperito nel passato alle necessità dei suoi abitanti, ha sempre meravigliato i visitatori per l’abbondanza d’acqua.”

Come hanno affrontato il tema Andrea Aquilanti, Stefano Esposito e Gianni Fiorito?

“Il panorama della campagna romana, solcato dalle arcate degli acquedotti, simbolo di questo benessere che apparteneva a tutti, è stato oggetto delle opere dei tre artisti coinvolti; ciascuno di essi ha lavorato in particolari contesti, diversissimi gli uni dagli altri.

Andrea Aquilanti, in accordo con la sua modalità espressiva che coniuga la fissa bidimensionalità del disegno e della pittura con il gioco illusorio della profondità di campo  nella video-proiezione, torna a formulare un’elaborazione sul profilo architettonico dell’acquedotto romano, dopo la mostra del 2011 curata da Franco Purini. Come visitatori ci ritroviamo catapultati nel luogo intimamente scelto e riscoperto dall’artista, interagendo nostro malgrado con suoni, come lo sferragliare di un treno, e con sensazioni a noi sconosciute. Davanti all’opera di Aquilanti, ci si ritrova proiettati in un’atmosfera evanescente ed estranea della quale inconsapevolmente ci appropriamo, trasformandola a nostra volta in modo definitivo e inalterabile; un’occasione di singolare privilegio, un dono che viene restituito all’artista.

Stefano Esposito ha scelto il raro silenzio innevato della periferia romana per srotolare una pellicola, un treno in corsa nel bianco insolito dell’inverno 2012, un’immagine effimera, straniante, talmente irreale da sembrare costruita artificialmente. Lo spettacolo naturale, breve e irripetibile come una performance, non ha trovato impreparato Esposito, che ha saputo restituire sorpresa all’immutabilità di quello scorcio di paesaggio romano, indifferente all’infinito scorrere dei secoli. Una pausa attonita, in grado di aggiungere ulteriore emozione a forme che non sembrano più realizzate dall’essere umano: il manto protettivo le confonde e le avvolge, assimilandole ad architetture naturali, trasformate unicamente dal lungo e ineluttabile avvicendarsi delle stagioni.

Gianni Fiorito, sul set del film La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, ha ritratto emblematicamente il protagonista Jep Gambardella, elegantissimo in abito bianco, che passeggia lungo la sequenza di arcate dell’acquedotto Claudio. Oltre all’accostamento ai numerosi dipinti e disegni che ritraggono i visitatori ottocenteschi del Grand Tour, lo scatto evocatore di Fiorito suggerisce un’ulteriore lettura, riconducendo il personaggio interpretato da Toni Servillo al suo ruolo di re della mondanità capitolina; un osservatore smaliziato, che non solo non ha nulla a che vedere con gli aristocratici europei assetati di cultura, ma vede con disillusione il degrado morale e culturale del proprio tempo, smascherando con un pizzico di cinismo le furbizie di chi tenta di spacciarsi per artista o intellettuale. Fiorito individua così un doppio registro esottolinea, con attenzione e sensibilità proprie, gli istanti significativi della narrazione cinematografica.

Gli acquedotti, i giganti sostanziati dall’acqua, sembrano oggi “file di prigionieri stretti nel paesaggio periferico di costruzioni fitte e invadenti”, ci dice l’Arcidiacono, aprendosi alla speranza: infatti, nonostante invasioni barbariche, moderna incuria, e attuale peggioramento, “scandiscono e solidificano con la loro materia semplice un orizzonte che riesce ancora ad attirare irresistibilmente il nostro sguardo”.  Qualcosa che nel corso dell’inaugurazione, è stato focalizzato nel reading a cura dell’attore Teo Bellia, con una breve antologia di brani letterari di autori antichi e moderni.

L’evento è inserito in RAW – Roma Art Week, il progetto indipendente e no profit per un collegamento delle diverse realtà espositive capitoline al fine di tentare un’ulteriore ipotesi per la valorizzazione dell’arte contemporanea in città. https://romeartweek.com/it/progetti/?id=39

Invito

Info mostra

  • Arcacci – vedute contemporanee degli acquedotti romani | Andrea Aquilanti, Stefano Esposito, Gianni Fiorito
  • 09/10 –  14/10/2017
  • Magma
  • Via degli Scipioni, 132 / via Pietro della Valle 13c
  • ingresso gratuito
  • http://www.magmalab.eu/
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Paolo Di Pasquale si forma studiando prima Architettura poi Disegno Industriale a Roma, specializzandosi in Lighting design. Nel 2004 è co-fondatore dello STUDIOILLUMINA, dove si occupa principalmente di Architectural Lighting Design e Luce per la Comunicazione: lo Studio progetta e realizza allestimenti espositivi e museali, ideazione della luce, corpi illuminanti, scenografia notturna - nel settore della riqualificazione urbana e in progettazione di arredi (porti turistici, parchi, giardini, piazze etc.)-, piani della luce per alcuni Comuni italiani e spettacoli di luce. Nel 2007 fonda lo Studio BLACKSHEEP per la progettazione di architettura di interni e di supporto alla pianificazione di eventi, meeting e fiere. E' interessato alla divulgazione della cultura della luce e del progetto attraverso corsi, workshop, convegni e articoli. Ha insegnato allo IED e in strutture istituzionali. E’ docente di Illuminotecnica presso l’Istituto Quasar - Design University Roma di nel corso di Habitat Design e in quello di Architettura dei Giardini. E' Redattore di art a part of cult(ure) per cui segue la sezione Architettura, Design e Grafica con incursioni nell'Arte contemporanea. Dal 2011 aderisce a FEED Trasforma Roma, collettivo di architetti romani che si interroga sul valore contemporaneo dello spazio pubblico esistente, suggerendone una nuova lettura e uso con incursioni e azioni dimostrative sul territorio metropolitano.

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