“Ieri sono andato al Foro. Mi sono seduto su un sedile di pietra che affacciava sulle rovine… carri pieni di turisti, venditori di cartoline, venditori di medaglie, venditori di fotografie. Sono tornato tristemente a casa. Roma mi fa pensare a un uomo che si mantiene esibendo il cadavere di sua nonna ai viaggiatori”…
Questo scrisse il famoso poeta e drammaturgo irlandese James Joyce durante un suo soggiorno romano nel 1906. Le cose da allora non sembrano essere molto cambiate, anzi se sono cambiate lo sono soltanto in peggio. Il mercimonio e la mortificazione della storia e della cultura di una capitale europea dove c’è la più grande concentrazione di beni artistici e architettonici del mondo è scivolata in un pernicioso conflitto: un fronte è sotto ricatto delle lobby che si sono incrostate nei meccanismi burocratici con la complicità di anni di immobilismo di tutte le amministrazioni capitoline che si sono succedute negli ultimi decenni. L’altro fronte vede l’attacco di un becero vandalismo spesso spacciato miseramente per Street Art. Questo danneggia tutto il patrimonio pubblico e privato impoverendo e brutalizzando lo scenario urbano senza che gli organi preposti alla vigilanza, alla repressione, e più importante ancora, alla prevenzione accennino ad alcun tipo di intervento efficace e organico.
Proprio in questa grave e profonda lacuna, che più significativamente preferisco chiamare ferita, in questa terra di nessuno dove non c’è controllo del territorio e dove chiunque si sente legittimato ad usare lo spazio pubblico come propria bacheca personale per promuovere attività sempre più spesso illegali, o ad imbrattare e devastare qualcosa che è bene collettivo, è nato un sentimento spontaneo di ribellione ferma ed incontrovertibile da parte di migliaia di cittadini che chiedono oggi all’Amministrazione capitolina e a tutti i soggetti istituzionali interessati il ripristino della legalità. Tale sentimento condiviso ha dato origine ad un vero e proprio fenomeno propositivo che si chiama RetakeRoma [Riprendi(amoci) Roma], indicato anche con le due parole staccate (Retake Roma). Uno straordinario caso di pionierismo.
RetakeRoma è nato circa quattro anni fa dall’idea di una cittadina americana, Rebecca Spitzmiller, residente nella Capitale da quasi 30 anni. Rebecca, sconfortata dallo stato di degrado e di abbandono in cui versavano le strade del proprio quartiere, i muri del suo condominio e dove attacchinaggio abusivo e le tags la inseguivano fin dentro il portone di casa, decise che era venuto il momento di affrontare le cose e tentare di invertire la rotta.
All’inizio, la sua azione era in completa solitudine (appoggiata solo dai familiari), anzi: tra gli sguardi indifferenti degli altri romani che non capivano per quale motivo quella donna scendesse in strada con stracci, solventi e vernici per ripristinare muri, pilastri e si prodigasse affinché anche i negozianti tenessero in ordine i loro negozi liberandoli da adesivi illegali e altri segni vandalici. Così, prima da sola, poi nella risolutiva riunione tenuta nel salotto della sua casa, verso la fine del 2009, insieme ad altre 8 amiche appartenenti ad una associazione che riunisce donne di tutte le nazionalità residenti a Roma, decide di dare il via al suo ambizioso progetto: riprendersi Roma.
“I miei avi si sono mossi da un continente attraversando l’oceano per costruire un Paese intero in un altro continente” dice Rebecca: cosa vuoi che sia liberare a questo punto Roma dal degrado e dall’incuria?, aggiungo io. Il fenomeno, infatti, ha solide radici in paesi di tradizione anglosassone dove fa parte del DNA dell’individuo rimboccarsi le maniche per difendere i propri beni e far rispettare il bene pubblico. E’ principalmente un fatto educativo.
L’approccio che propone Rebecca non è però quello di diventare antagonisti dei romani che non rispettano le regole, al contrario: è di cercare un dialogo, sensibilizzare l’opinione pubblica e le Istituzioni e far comprendere ai cittadini che in un bel posto si vive meglio. Sembra un concetto ovvio, ma evidentemente per molti non lo è affatto, altrimenti questo movimento non avrebbe motivo di esistere.
Aggiunge Rebecca:
“Riempire i muri di scritte per molti serve per colmare il vuoto che si ha dentro. È qui che bisogna intervenire…”
Il Graffitismo e la Street Art sono altra cosa, una politica antagonista e resistenziale che con la sgraffiata ignorante e mal fatta non ha nulla a che fare.
“Portare questi imbrattatori, i vandali e certe persone divenute insensibili dalla nostra parte è una delle nostre mission che può arricchire interiormente ed evidenziare certi valori. I valori di Retake Roma”.
Il movimento, quindi, dopo alcuni significativi interventi nel corso del tempo è praticamente esploso all’inizio di questa estate (2014) quando da pochi gruppi territoriali operanti sulla città, che facevano riferimento al principale RetakeRoma, ha raggiunto ad oggi il numero di oltre 30 ed è in vertiginosa costante crescita di simpatizzanti e attivisti, trovando una saldatura sociale con altre realtà simili: comitati di quartiere, parrocchie, centri sociali, associazioni culturali.
L’elemento di novità assoluta sta nell’aggregazione spontanea di individui di ogni età, fascia sociale, ideologia politica e credo confessionale, tutti uniti sul tema del recupero del decoro generale e della legalità. Un unico corpo che respira lo stesso sentimento e che ne condivide la finalità.
Va puntualizzato che questa che è una forma di volontariato non si vuole né si deve sostituire in pianta stabile a quelli che sono i doveri e le competenze di Comune, Provincia, Regione o Stato: è un supporto ed un interlocutore temporaneo, un rimboccarsi le maniche nell’urgenza e soprattutto un segno che riporti certi comportamenti perduti ad essere (intesi) come qualcosa di normale, abituale e virtuoso. Tanto è vero che si organizzano vivaci reti di networking e spesso si recupera e si diffonde informazione (di indirizzi email e telefoni dei PICS, dell’Ufficio Giardini e simili organismi deputati ad interventi urbani), si fanno esposti e si attuano contestualmente strategie di sensibilizzazione a problemi di sempre maggiore pesantezza per le persone (come barriere architettoniche, dissesto dei marciapiedi, buche sulle strade, “cartellopoli” abusiva etc.). RetakeRoma, quindi, si svela in linea con il principio della sussidiarietà migliore (http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_sussidiariet%C3%A0) ed è un manifestarsi che va oltre un’azione unica e ben al di là del presidio e della pulizia di strade, piazze, monumenti e aree pubbliche poiché mira a riprendersi il territorio ingiustamente sottratto alla libertà individuale, violato, maltrattato e piegato ad altri interessi che arricchiscono pochi e impoveriscono molti.
Il Retake, insomma, è soprattutto un fatto culturale. E’ inteso anche come ripristino e promozione del bello, del giusto, della solidarietà, della condivisione, del sapere da recuperare e restituire a questa città ricca di storia e di beni artistici, architettonici, archeologici, promuovendo anche le nuove sensibilità artistiche derivanti alla vera Street art in progetti partecipati con i cittadini. Quindi va inteso come una vera e propria pratica per un nuovo Rinascimento culturale deciso a recidere una volta per tutte quella rappresentazione e quella sostanza di metropoli dove nell’immaginario collettivo “tutti i vigili sono sempre al bar a prendersi il caffè”, dove “eh, sono tutti uguali”, e “tanto non cambia nulla…” e di quel blaterare privo di sostanziali e brillanti orizzonti del “noi a Roma c’avemo er Colosseo”. Certo, il Colosseo: e poi?
Una delle linee di pensiero portanti diventa quindi anche di riconvertire in positivo il senso della romanità andato perso e degenerato in quello volgare e incolto del “romanaro” che vive febbricitante il tessuto urbano come estensione privata di tutte le sue distorsioni e regressioni culturali e dove chi lo deve riportare alla norma, alla regola (le istituzioni), si limita ad osservarlo distrattamente se non proprio ad ignorarlo favorendo il collasso definitivo della società, dei servizi e di conseguenza della Capitale. Questa – perché qui si parla di Roma, seppure il discorso è estendibile alle altri centri italiani – è diventata un’assoluta concentrazione di cinismo, arroganza, sciatteria, strafottenza che dà spazio a quel senso continuo di laissez-faire inteso in maniera cialtrona e furbetta sia da parte di molti che amministrano la cosa pubblica sia da parte di tanti dei sui abitanti adagiati e anestetizzati in un perenne status quo convinti che nulla possa mai mutare in meglio. La città eterna, eternamente irrisolta. Come quella abitata dall’androide “coatto” preconizzata nel 1978 da Stefano Tamburini e di Andrea Pazienza (che preparava i bozzetti a matita) coadiuvati dal grande talento di Tanino Liberatore: Ranxerox (http://www.artapartofculture.net/2014/03/30/pionieri-12-roma-e-ranxerox-la-capitale-inattesa-a-30-anni-dal-cyberpunk/).
Aver cura del proprio paese (conoscete “Broken Window Theory”, la “teoria della finestra rotta” indicata nel 1982 dai criminologi James Q. Wilson e George Kelling?http://it.wikipedia.org/wiki/Teoria_delle_finestre_rotte) è un dovere di ogni cittadino ma è anche un dovere delle autorità competenti creare le condizioni affinché gli spazi collettivi, i mezzi di trasporto pubblico, le piazze, i parchi e i monumenti siano adeguati, sicuri e mantenuti in maniera decorosa; e che venga attuato un efficace e rigoroso piano di manutenzione (parola pressoché sconosciuta ai molti che si occupano di bene pubblico) che oltre ad offrire uno scenario urbano più accogliente e vivibile possa nel contempo creare l’occasione di nuovi posti di lavoro e restituisca quel senso di dignità completamente smarrito sotto la pesante cappa dell’abbandono e dell’ indifferenza.
Riprendiamocela noi, questa nostra città!
Altre info:
Paolo Di Pasquale si forma studiando prima Architettura poi Disegno Industriale a Roma, specializzandosi in Lighting design. Nel 2004 è co-fondatore dello STUDIOILLUMINA, dove si occupa principalmente di Architectural Lighting Design e Luce per la Comunicazione: lo Studio progetta e realizza allestimenti espositivi e museali, ideazione della luce, corpi illuminanti, scenografia notturna - nel settore della riqualificazione urbana e in progettazione di arredi (porti turistici, parchi, giardini, piazze etc.)-, piani della luce per alcuni Comuni italiani e spettacoli di luce. Nel 2007 fonda lo Studio BLACKSHEEP per la progettazione di architettura di interni e di supporto alla pianificazione di eventi, meeting e fiere. E' interessato alla divulgazione della cultura della luce e del progetto attraverso corsi, workshop, convegni e articoli. Ha insegnato allo IED e in strutture istituzionali. E’ docente di Illuminotecnica presso l’Istituto Quasar - Design University Roma di nel corso di Habitat Design e in quello di Architettura dei Giardini. E' Redattore di art a part of cult(ure) per cui segue la sezione Architettura, Design e Grafica con incursioni nell'Arte contemporanea. Dal 2011 aderisce a FEED Trasforma Roma, collettivo di architetti romani che si interroga sul valore contemporaneo dello spazio pubblico esistente, suggerendone una nuova lettura e uso con incursioni e azioni dimostrative sul territorio metropolitano.
Bravo Paolo Di Pasquale! Brava Rebecca! Bravissimi RETAKE!! Grazie art a part of cult(ure). Vorremmo solo aggiungere qualche cosa in più sulla TEORIA DELLA FINESTRA ROTTA, che giustamente l’AUTORE cita…
Negli anni ’80, i due criminologi George Kelling e James Wilson fecero a una particolare teoria secondo la quale la presenza di una prima finestra rotta in un palazzo (abbandonato, vuoto…) porta i vandali a romperne una loro, e poi altri a romperne un’altra e via via genera tanti altri atti di vandalismo. Il degrado dell’ambiente, cioè, non stimola la collettività a rispettare quell’ambiente ma a non vedere più la bruttezza e a portare altro degrado. Se quindi una persona si abitua a vedere sporcizie varie, spazzatura, brutte architetture, rotture, crepe, attacchinaggio illegale e piccoli abusi quotidiani non avrà scrupolo a portarne dei suoi e ad accoglierne senza fiatare altri. Tollerando o contribuendo. Viceversa, in un ambiente pulito, sano, colorate, bello, attrezzato adeguatamente sarà naturale non portare il degrado e anzi difenderlo dalla bruttezza. Ne è un esempio la riqualificazione della Metro di New York negli anni 80 e 90 che ha portato a una diminuzione del vandalismo e della criminalità “minore”. Chiaro, no?? Provare per credere!!
Esiste anche il sito Riprendiamoci Roma, dal 2008!
Molto chiaro e dettagliato, grazie. Segnaliamo anche https://www.youtube.com/watch?v=9wpZqbfzBR4 – di Ludovica Liuni e Benedetta Michelangeli. Reporter Nuovo. Scuola di giornalismo Luiss. Pubblicato il 18/set/2014
Grandissimo articolo e grandissime azioni cittadine. grazie di queste informazioni. Aggiungo che il importante, bellissimo e citato intelligentemente da Lei Principio di Sussidiarietà all’estero dove io vivo e ovunque in giro internazionale è una base fortissima nella società civile, non solo amministrativa e legislativa, o Europea, ma applicata e funzionale nella vita di tutti i giorni:
1. Definizione.
Il principio di sussidiarietà (riconosciuto dal trattato dell’Unione Europea di Maastricht) riguarda i rapporti tra Stato e società. Esso é un fondamentale principio di libertà e di democrazia, cardine della nostra concezione dello Stato. Esso si articola in tre livelli:
a) Non faccia lo Stato ciò che i cittadini possono fare da soli: le varie istituzioni statali devono creare le condizioni che permettano alla persona e alle aggregazioni sociali (famiglia, associazioni, gruppi, in una parola i cosiddetti “corpi intermedi”) di agire liberamente e non devono sostituirsi ad essi nello svolgimento delle loro attività. Questo perché la persona e le altre componenti della società vengono “prima” dello Stato: l’uomo é principio, soggetto e fine della società e gli ordinamenti statali devono essere al suo servizio. Per questo motivo lo Stato deve fare in modo che i singoli e i gruppi possano impegnare la propria creatività, iniziativa e responsabilità, impostando ogni ambito della propria vita come meglio credono, risolvendo da soli i propri problemi. In questo modo, si uniscono insieme il massimo di libertà, di democrazia e di responsabilità, sia personale che collettiva.
b) Lo Stato deve intervenire (sussidiarietà deriva da subsidium, che vuol dire aiuto) solo quando i singoli e i gruppi che compongono la società non sono in grado di farcela da soli: questo intervento sarà temporaneo e durerà solamente per il tempo necessario a consentire ai corpi sociali di tornare ad essere indipendenti, recuperando le proprie autonome capacità originarie.
c) L’intervento sussidiario della mano pubblica deve comunque essere portato dal livello più vicino al cittadino: quindi in caso di necessità il primo ad agire sarà il comune. Solo se il comune non fosse in grado di risolvere il problema deve intervenire la provincia, quindi la regione, lo Stato centrale e infine l’Unione Europea. Questa gradualità di intervento garantisce efficacia ed efficienza, libera lo Stato da un sovraccarico di compiti e consente al cittadino di controllare nel modo più diretto possibile. Applicando questo principio, lo Stato si mette davvero al servizio dei cittadini, aiutando la formazione di un cittadino attivo e autonomo, che non sia un suddito passivo e sempre bisognoso di assistenza.
2. Origine.
Il principio di sussidiarietà é uno dei fondamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. Di esso si trovano tracce già in autori quali, per esempio, San Tommaso d’Aquino e Dante.
In tempi più recenti, di esso parla nella Rerum Novarum (1891) Leone XIII, ma la formulazione classica é contenuta nell’enciclica Quadragesimo Anno (1931) di papa Pio XI: “…siccome non é lecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le loro forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così é ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare.” Ne deriverebbe “un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società” poiché “l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa é quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium afferre) le membra del corpo sociale, non già distruggerle ed assorbirle.”
Di conseguenza, “é necessario che l’autorità suprema dello Stato rimetta ad assemblee minori ed inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minore importanza”” per poter “eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei sola spettano (…) di direzione, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità.”
N.B. Il Trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) dichiara che il principio di sussidiarietà é la direttrice fondamentale che guida il processo di formazione dell’Unione Europea.
James De Consoli
Ma ce ne fosser come voi!!!
paola pallozzi
YEAH!!