Fred Astaire. Un ricordo di fascino ed ironia fra variety e balli cheek to cheek

Stella del firmamento cinematografico  e ballerino  di grande talento, Fred Astaire merita un omaggio speciale per le sue doti ineguagliate, interprete di un’epoca sfarzosa e magnifica che fu denominata vaudeville, ma Tony Pastor, padre riconosciuto del genere, vi preferì subito il più schietto e preciso variety e fu proprio quella revue che ospitò i primi passi  di Mr. Astaire.
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Ma se l’esordio teatrale di Fred non fu sensazionale, il mezzo cinematografico,  in una fantasmagoria di musica e luci,  lo incoronò subito re del musical.  E sebbene la  vita del vaudeville o variety americano  possa  essere  considerata  breve o lunga al tempo stesso (durò infatti  60 anni), furono sessant’anni di cui Fred Astaire  fu l’eroe incontrastato.
Proprio  un grande critico, Douglas Gilbert, nella sua opera più conosciuta, It’s life and times, dichiarò l’onorevole fine del variety nel 1932, quando il New York Palace chiuse i battenti, incurante che nel 1933, inaspettatamente, Broadway  avesse riaperto le porte dei suoi teatri per una stagione: fu così che il musical risuonò nei cinema e nelle strade come un canto di speranza e di fede nell’avvenire…

Quando le ombre della guerra  si allungano  sulla storia,  il  fascino di quelle note ed il  viso autoironico  di Fred  appaiono ancor più confortanti e divertenti, non è vero?  Sarà per questo che adesso il  pensiero corre a te, Mr. Astaire,  con il  cuore grato per questi  attimi di intensa astrazione?

Certo che fu un ballerino di eccezionale arguzia muscolare, come lo definì un critico del New York Times, ma anche un interprete elegante e fine, acclamato “mito degli anni trenta”… e, a chi si chiedesse se nel nostro paese la sua fama fosse stata tale, rispondo francamente di sì:  le sfumature  della sua intensa attività  recitativa  possono riaccendere più di una luce nella memoria…

E dunque cosa rappresentò Fred Astaire  per quella  generazione di giovani di ieri mentre, tra gli spettri della società di allora, si ballava al suono magico di Cheek to cheek?

Col tuo aiuto, Fred potrei, senza accorgermene, colmare il divario e ristabilire quel nesso mai mancato tra i giovani di sempre e la storia intima  di un paese, che pochi conoscono oramai…
Sembra esagerato a qualcuno? Davvero qualcuno è sicuro che Fred non abbia lasciato un po’ di sé in noi, in quelle generazioni che della guerra hanno solo sentito parlare, ma che, invece, era ben viva nei ricordi dei  nonni o, perfino, dei propri genitori?

Ma tu, Mr A., tu eri tutto tranne che dolore, ottundimento e grigiore: eri brillantezza, buon umore e buoni propositi. Una patina di irrealtà che però non fa mai male.
Non ricordo quando ascoltai per la prima volta le tue canzoni, ma l’evento sembra risalire all’epoca dei miei primi passi, tanto che in famiglia c’era chi giurava che dalla radio risuonassero proprio  in quel momento le note di un motivetto di un musical… e forse fu per quello che, più che camminare, amai ballare e lo iniziai a fare ancora prima di riuscire a reggermi bene in piedi.
Fred Astaire divenne così parte della mia vita, come un dato di fatto, un qualcosa di cui era composta l’esistenza: quelle arie appena fischiettate e quei visi  più distesi… mentre lui era lì, magro e affusolato, elegante, col suo aspetto molto inglese, lontano da ogni ideale di macho di quell’epoca che furono gli anni trenta.

Piano bar, whisky, gente di un’altra generazione: “No ice please, one for my Fred, one for the road”. Ma quella generazione dell’Italia che fu, oh sì, se lo ricordava bene, anche se fu per pochi, non per tutti:
“The way you wear your hat, the way you sip your tea, the mem’ory of that all. They cant take that away from me”.
E  per un attimo mi sembra anche di sentire il rumore del ferry che si allontana, le luci di  Manhattan e un eco di jazz: “Slap that bass!”.

È vero che dai nonni di buona musica se ne ascoltava e, di tanto in tanto, un grammofono suonava, mentre da bambina correvo su e giù nei lunghi corridoi di quella grande casa di Via Piave, magico mondo della mia infanzia, nella vecchia Roma. Più di tutto mi incuriosivano  quelle foto che tappezzavano le pareti dello studio dello zio,  tutte in bianco e nero e  lucidissime… e  tra  tanti attori la cui memoria si  è persa nel tempo, risaltava lei, la bella Ginger Rogers.

Ma davvero non l’hai mai amata, Fred? Giurerei di sì, come molti di quell’epoca, che ne erano follemente innamorati: è stata una collega a scuola, una compagna di giochi scatenata… una moglie bambina (e la rivedo per un attimo mentre esclama :“oh David!”, rivolta ad un giovane David Niven…).

Eppure, al tempo di Follow the fleet, ci scommetto che non eri a tutti simpatico. Un volto da comico di varietà tipo Vernon Castle, quel comico di seconda fila della compagnia di Lew Fields!”, avrebbe detto  zio, che di vaudeville se ne intendeva certo più di me… E poi quella  tua voce esile, Fred: ce ne deve essere voluto di tempo per capirti, e mi chiedo: si saranno abituati a soffrire, quando stringevi tra le braccia la dolce Ginger, visto che hanno continuato a fischiettare The continental per un decennio? E quando vi divideste, tu e Ginger, non può essere stato un sollievo per nessuno perchè di sicuro più di qualcuno di quei giovanotti italiani con i calzoni troppo larghi, ricavati da quelli del papà, aveva già iniziato ad apprezzarti.

Mi sembra di poter immaginare quelle feste di famiglia, dove sul  grammofono finiva sempre Cheek to cheek (“cambiate la puntina! Non rovinate il disco!”) e anche se pochi di quei ragazzi sapevano cosa significasse cheek, ma guancia a guancia ci  ballavano eccome!

E quanta nostalgia scoprivo nei tuoi racconti, zio: nostalgia, sentimenti e sentimentalismo… qualche lacrima segreta ricordando quanti di quegli amici  avevi salutato per sempre tra le sabbie del deserto, in una guerra  che aveva portato via in un lampo tutta la  tua giovinezza. E anche adesso una melodia di ottanta anni fa corre nel cuore stringendolo un pò troppo. Come quando mi avevi stretto un’ultima volta le mani sul letto di ospedale e poi, uscendo di lì, ero entrata in un bar  dove risuonavano da una radio accesa quelle note….

Heaven, I’m in Heaven,
And my heart beats so that I can hardly speak;
And I seem to find the happiness I seek
When we’re out together dancing, cheek to cheek”…

E se è vero che, a ben guardare, la vita è fatta di incontri magici, tu sei davvero appartenuto a quella generazione che aveva apprezzato Fred, quella  generazione da “due-film-lire-una-e-luce”,  tu tra quelli che ammiravano questo ballerino diverso dai machos GableFairbainksFlynn, dai belli Taylor e Powell:  perché Astaire  era magro, astuto, arguto, ingenuo, ma capace di risolvere tutto cantando e ballando.

Se penso a te, zio, che hai tanto amato il musical americano,  da scriverne un’incredibile storia di 600 pagine,  per poi  non darla alle stampe, “perché senz’altro l’editore l’avrebbe privata di quei brani di conoscenza che erano per te essenziali”,  è allora che io ti vedo di diritto tra i volti di quei giovani di prima della guerra; di nuovo ragazzo assieme a loro, ai piedi della scala del paradiso  dei  tanti film, col volto perennemente rivolto in alto, a guardare volteggiare Fred con Ginger Rogers,  Fred con Rita Hayworth, Fred con Cyd Charisse,  Fred con Eleanor Powell

E  anche Rita… che se ne è andata solo qualche giorno prima di Fred: “You were never lovelier”, non era mai stata così bella, così abbagliante e così desiderata come tra le braccia di Fred…

Mi raccontavi che in You ll never get rich, Fred cantò per lei una splendida canzone di Cole Porter: So near and yet so far:

“Mia cara, ho la sensazione che tu mi si sia così vicina/ eppure così lontana/ mi appari come una stella radiosa/ prima così vicina/ poi così lontana” .

No, forse non credo negli incontri nelle vie del cielo e neanche alla danza paradisiaca di Fred e Rita: ma che se ne siano andati assieme, questo sì : perchè è il  tempo che se n’è andato, è volato via che neanche a pensarci… e come dicevi tu, zio: “Ma.. se appena ieri…

Ed era ieri di tanti anni fa, il 6 luglio 1987 che Schickel scriveva sul “Time”: “Molti degli immortali della danza non hanno potuto lasciare traccia della loro grandezza che nell’aria, invece Fred Astaire è per sempre racchiuso nei suoi film. Ma quando lui è morto la  settimana scorsa, questa consolazione è stata resa opaca dal pensiero che la cultura che lo aveva generato e in particolare gli autori di quelle canzoni cui lui aveva offerto le ali, era anch’essa scomparsa”.

Non sappiamo se le cose siano andate davvero così, poche memorie e saggi si  sono interessati davvero di Fred, della solitudine di Fred, del perfezionismo di Fred, del cinema per fissare il meglio di se’ per sempre… forse solo le parole che un grande inimitabile danseur come Mickhail Baryshnikov rivolse al nostro grande ballerino, ci chiariscono la sua meritata fama:

Quando vidi i suoi film, Mr Astaire, pensavo che tutti in America fossero così bravi e mi dissi: Non danzerai mai ragazzo mio!”.

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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