Requiem per una baby boomer

Dolci al pistacchio e miniature d’avorio, il giusto requiem per una baby boomer.

I primi li sgranocchi seduta al tavolo di un bar, attendendo il prossimo volo per Milano. Ben disposte in una vetrina, statuine finemente intagliate in zanne di elefante, cioccolatini e caramelle Rossana. Colori del film della tua vita. Scatole cinesi, immagine dopo immagine, suggestioni, crudeltà ricusate.

Si salvano solo i pistacchi. Che poi le cerimonie non servono ai morti, servono ai vivi. O agli sciacalli…

Al di qua della vetrina un ragazzo ti sorride, tu gli sorridi; ha un viso simpatico, chissà se gli piaci, chissà se gli piacciono i pistacchi. Cioé, voglio dire, la vita naturale. Chissà se pensa che bisogna smetterla di torturare gli elefanti, gli animali tutti e distruggere l’ambiente.

Sollevi lo sguardo nei locali dell’areoporto, odi fuori campo dei passi che si affrettano, qualcuno sopraggiunge. Una figura, ripresa in diagonale, procede rapida (conta 30 passi dalla videocamera). E’ Diane Keaton, si reca in un ufficio dell’aereoporto di Fiumicino: ad informartene è quel ragazzo sorridente che ci lavora. Siamo nel 1990, l’attrice è a Roma per la prima de Il padrino parte terza, ma tu non lo sai; sere prima l’hai vista in un film dal titolo Baby boom.

Falcata ampia, tacchi bassi, attraversa il corridoio con sicurezza e sembra che non esista altro che la sua determinazione, proprio come nei film di cui è protagonista.

Tu te ne stai lì seduta; potresti sembrare una fricchettona col pallino dell’ecologia, si vede da come sei vestita, con gli abiti colorati di cotone biologico e una lunga sacca di juta per borsa. Ma no, ripensandoci, a quel tempo eri ancora sul tipo superimpegnato ed efficiente. Di sicuro avrai indossato un tailleur, lo stesso abbigliamento di Diane in Baby boom, il film che ti fece pensare che fosse possibile cambiare vita.

Il mattone lo mettesti nello scarico del water a 18 anni, per non sprecare troppa acqua (come prescriveva il mensile Nuova ecologia), ma quello fu niente. Trionfasti nel recupero dalle grondaie, seguì il riscaldarsi con poca legna decidua e cucinarci pure, solo quella che riuscivi a raccogliere in una piccola gerla, e se poi faceva un freddo cane in quella casa nel bosco dove eri andata a vivere, indossavi un secondo maglione.

In quei 20 anni trascorsi senza televisione, non avevi capito che il mondo stava cambiando. Di sicuro non prevedesti l’impatto del digitale sul nuovo ordine mondiale. Battersi il petto non era contemplato, pensavi occorresse agire; quanto a viverci, come facesti tu, a impatto zero o quasi, era considerato un attentato all’economia e chi lo promuoveva, gente fuori di testa.

Ma non dicono lo stesso oggi? In tempi non sospetti di decrescita felice, già vivevi la favola nel tuo Vermont.

Il figlio di un conoscente, nato nel 2004 in una città del nord, di recente ha disertato le lezioni rispondendo alla chiamata di Greta Thunberg. I temi ambientalisti non sono lodati nella sua famiglia (roba da comunisti, li definiscono), quindi è stata la scuola ad introdurre l’argomento. Questa recente occasione gli ha permesso di mettere a fuoco il problema. Perché, parliamoci chiaro, il problema non può essere più posposto ad altro.

E fin qui, tutto bene. Purtroppo la colpa di tutto ciò che sta andando a rotoli sembra essere dei baby boomer, cioè di tutte le persone nate dal dopoguerra al boom economico. Le cose stanno così.

Della gente che organizzava manifestazioni e si preoccupava della salvaguardia dell’ambiente, dai tardi sessanta in poi, ci siamo dimenticati tutti. Dall’altra parte c’era gente al potere che se ne fregava e ci trattava come enfants terribles, a cui tutte le fregole sarebbero passate una volta divenuti adulti e poi c’era gente che stava a guardare. Marinare la scuola per manifestare era punito con una nota in condotta.

Faccia un paio di bambini e metta la testa a posto, mi dissero un giorno durante un volantinaggio. Un attivista invece mi confidò che erano giunti alle minacce per farlo desistere dal protestare per lo scandalo della Gola della rossa, dove si continuava a trivellare una montagna nonostante i divieti. Ho famiglia, si scusò.

Fu allora che pensai che le idee dovessero tradursi in un preciso impegno? Forse. Non volevo solo parlarne, volevo provarci. Lasciare la vita comoda di città, il lavoro, la famiglia, le convenzioni, per vivere in armonia con la natura, era solo un’utopia?

Diane faceva supporre che potevi tentare.

Raccontava di una donna in carriera, come tante, in gamba, preparata, sempre in lotta per i suoi diritti, che lavorava 70 ore a settimana in un’azienda, senza riuscire ad affermare il suo talento.

Quando le veniva affidata la figlia di un parente, morto in un incidente, una pupetta di un anno di nome Elisabeth, si decideva a mollare tutto.

Baby boom-erang: eccomi.

Un frutteto lo possedetti anche io, come la protagonista del film.

Ricordo quintali di mele sbucciate in soffitta, tante che finii per intossicarmi (le mele producono vapori e pelarle in grande quantità, a finestre serrate, fa star male).

Persistetti, ostinata come la stirpe del barile cui appartengo. Possediamo un’intraprendenza innata, trasmessa da un trisavolo irlandese giunto ai nostri lidi dopo un naufragio in mare. Si salvò aggrappandosi ad un barile: di lì il soprannome della discendenza.

Quel ramo della mia famiglia è stato popolato da avventurieri; di alcuni, espatriati in luoghi lontani, si son perse le tracce: a paragone la scelta mi apparve tiepida. Classificata obiettivo 5B dalla CE, ossia una delle regioni depresse, a minor tasso di sviluppo della penisola, apparve perfetta per vivere nel selvatico.

Credo che il binomio donne-natura sia connaturato. Preoccuparsi del clima, del degrado ambientale, della pace, del buon cibo, corrisponde all’attuazione di una filosofia interiore assimilata geneticamente, trasmutata da teoretica ad attuativa. Le donne, anche quelle meno interessate ai cambiamenti climatici, si preoccupano di fare della casa e del posto di lavoro un luogo sano e spesso si arrabbiano per il mondo che va in malora. Un programma che spinge alla creazione di un alveo compatibile con la vita.

Dove crescere la prole, sento ripetere da qualcuno, ma io in parte dissento: è una necessità a priori per chiunque. Non si tratta di annullare tutte le impostazioni della Società Industriale, ma neanche considerare involuzione tutto quello che lo non sia: occorre spianare la strada a nuove opportunità di cui la Nuova Era Digitale sarà portavoce, primo fra tutti il recupero e la salvaguardia dell’ambiente. Nel frattempo dobbiamo andare avanti, tra chi resiste e chi si adatta, in nome di quella giustizia economica che tanto equa non è. E parlare di donne è parlare di uomini, inevitabilmente, e di responsabilità da condividere.

Fate l’amore non la guerra, invitava la controcultura americana del secolo scorso e in Italia si cantava una canzonetta che invitava a mettere fiori nei cannoni, a vivere nella natura, nella pace, come alternativa alla corruzione di un mondo gestito dagli interessi di parte.

Però ricordare uno slogan non significa esserne stati gli artefici, piuttosto decidere se si tratti o meno di un valore ideale ancora sostenibile.

Affermare che gli individui di varie generazioni siano tutti uguali, invece, è un’iperbole. Io sarei uguale a mia madre, nata nel dopoguerra? Anni ben diversi, che di sicuro avranno determinato desideri di emancipazione differenti. Ridurre alla stessa leva le classi di età, significa indurre un’omologazione, un appiattimento, sollecitando tendenze identitarie di un gruppo a discapito di un altro.

In passato una generazione si ribellava alla precedente, non c’era nulla di strano, una fase indispensabile nella crescita degli individui, mentre i baby boomer sono frutto di una ricapitolazione meccanicistica.

In secondo luogo, si dice che siano proprio i baby boomer ad aver privato le generazioni successive di opportunità, accumulando possedimenti, godendo di pensioni d’oro. Ma fa notare la giornalista e scrittrice Loredana Lipperini che in Italia questo è poco veritiero, dato che la maggior parte dei nostri anziani si trova alle soglie dell’indigenza.

La preoccupazione che un gruppo di gente stia togliendo qualcosa alle nuove generazioni, è motivato dal fatto che una gran massa di persone stia andando verso il pensionamento in un periodo critico di deflazione tecnica.

Emblema di questo tipo di persone è Alan Ford, il protagonista del fumetto di Magnus & Bunker, con la sua ingenuità, la sua propensione a fare la cosa giusta e una certa dose di indolenza con cui sopporta le avversità. In una storia lo vedevi in preda all’angoscia, scambiato per uno stramiliardario nascosto sotto le spoglie di uno squattrinato (in bolletta lo era davvero: calzini rammendati e qualche toppa); quando lo interpellano perché confessi, Alan si chiede se la sua colpa risalga all’unica volta che ha gettato la stagnola.

E qui devi essere baby boomer per sapere che ci fu un tempo in cui, recando ai centri di raccolta quel tipo di carta, potevi ottenere un minimo compenso. Quella malinconia piaceva alle donne, tanto che Dylan Dog potrebbe essere suo figlio.

Il battage contro i boomer iniziò nei paesi anglosassoni e fece pensare alla possibilità che i governi intendessero revocare qualcosa. Il primo a parlarne, nel 2012, fu David Boking su Der Spiegel. Seguì un coro di ovazioni da parte di molti scrittori (alcuni titoli danno l’idea : “Come i baby boomer si sono appropriati del futuro dei loro figli”, di David Willetts; “Una generazione di sociopatici: come i baby boomer hanno tradito l’America”; “I barbari. Come i baby boomer, l’immigrazione e l’Islam hanno fottuto la mia generazione”di Lauren Sauthern)

Francamente non mi sembra che i giovani di oggi abbiano svantaggi rispetto a quelli della mia epoca, di sicuro non possiamo rimproverare lo stato attuale ai cittadini, semmai ai governi, incapaci di tener testa ai grandi cambiamenti in atto. A ben guardare, furono le voci del dissenso della generazione del ‘68 ad avere radici fondate e non la polemica in voga ora.

Elementi a sostegno furono tratti dalla letteratura, dall’arte, dalla sociologia, convergendo nei gruppi pacifisti, nella condanna della violenza. Di contro, la crocefissione dei boomer sembra frutto di uno sforzo teso a confondere. Gli ideali fioriti al tempo dei Beat, vengono sistematicamente criminalizzati in vari modi.

Un fenomeno iniziato quando la canzone dei Beatles, Helter Skelter, fu presa a prestito per il titolo di un articolo che sbalordì l’America col massacro di Bel Air, perpetrato da un gruppo di hippie balordi, dove perse la vita la sfortunata Sharon Tate. La protesta più grande di ogni tempo doveva essere sedata, farlo ponendola sotto un’altra luce, poteva considerarsi la strategia ideale, come pure dimostrò l’ultimo atto di Osho di Rainesh in Usa…

Invece di denunciare la violenza ed incentivare l’impegno comune contro le guerre, a favore della Pace, a tutela dell’infanzia, contro gli sfruttamenti delle multinazionali, contro le fabbriche della morte, degli allevamenti lager, responsabili della deforestazione del pianeta e dell’inquinamento delle acque, oggi inventano lotte tra vecchi e giovani, ricchi e poveri, nord e sud. Chi trae lucro da ciò?

Come detto sopra, i moti repressivi possono celarsi sotto nuove maschere, il sistema escogita sorprendenti difese per mantenere i suoi privilegi, nell’intento di intimorirci, indebolire la nostra speranza, soffocare i moti idealistici ed ugualitari, facendoci sentire minacciati da nuovi mostri e offrendoci come desiderabile una vita conforme alle regole della sperequazione economica.

Sulle montagne si sta bene, ma ogni tanto occorre che ne scenda…

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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