Bly manor, specchio delle mie brame

immagine per Bly manor

Solo per voi, figli della dottrina e della sapienza, abbiamo scritto…
Scrutate… raccoglietevi in quell’intenzione che abbiamo dispersa e collocata in più luoghi affinché possa essere compresa dalla vostra saggezza.
Heinrich Cornelius Agrippa Von Netteshein, De occulta philosophia, 2, 6

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Esiste una storia nella storia, un sudario di elementi scritti e mai confessati che ti incalza tuo malgrado sull’orlo del mondo e che scopri realistico, ma pazzesco e difforme. Eventi di questo tipo, curiosi, suggestivi, terrificanti, si verificarono a Bly Manor. Ma potrebbero aver luogo ovunque, non solo nella fantasia di Henry James.

Quando uno scrittore sembra aver scritto di te, per esempio, usato i tuoi ricordi, i nomi cari, non ti aspetti che l’abbia fatto consapevolmente, in una capziosa ricerca di notizie a tuo riguardo, con quella brama visionaria che a volte posseggono certe menti spietate, votate alla scrittura. Piuttosto come se avesse interrogato una tavola ouija, perché così è la fantasia di certi novellieri, intenti a scrivere prima dell’alba. Sei davvero tu o il personaggio di un libro?

Nelle narrazioni distopiche dei nostri giorni c’è anche questo incespicare e visto che la storia personale di ciascuno è privata, perché mai dovrebbe essere violata, a chi interessa?
C’è già tanta paura e bisogno di essere rassicurati, si sente dire. Che farsene dei fantasmi di Bly Manor?

Non divaghiamo, interrogarsi è uno strazio. Ma è vero che nell’attesa della notte stregata per eccellenza, quella in cui ogni sogno assume una via naturale tra gli incubi, l’unica traccia che rinveniamo oscilla blandamente verso la follia.
Allora la vocazione prende per le viscere e confonde lo spirito.

Ed è di conforto che mi sovvenga di un’eroina, santa o strega lo direte voi, assisa accanto ad un lago: immobile, si specchia nella placida conca smerlata che accoglie i miei ricordi. Ne ho così tanti da attingere dal passato che i toni si mescolano facilmente a quelli di altri scrittori, come il Castello di Calvados si mescolò ai racconti di Shirley Jackson  (autrice di The haunting of Hill House).

L’infestazione del castello di Calvados rappresenta il più violento e malvagio caso di infestazione spettrale che io conosca e il lettore che ne leggesse potrebbe credere che questi resoconti assomiglino di più alla sceneggiatura di un dramma che alla realtà.
Il termine casa infestata ha acquisito molte connotazioni col passare dei secoli.

Così appariva la mia dimora ai viandanti che la raggiungevano nelle nebbie dell’autunno: tutta la giocondità della primavera svanita, il lustro dell’estate disseccato e poi dissolto.
Non ci sono mica i fantasmi? domandavano.

Certo, non era un castello, non era Bly Manor. Appariva d’improvviso dietro una curva, poco lontano da un cimitero di paese. Un edificio di pietra grigia e ocra che pareva spaccato a metà, sbilenco, con un faldale del tetto appena abbozzato accanto all’altro di lunghezza normale. Era così alla fine del 1700? Oppure lo era divenuto nel corso di varie riedificazioni?

Una vecchia casa colonica, avvolta da alberi centenari, circondata da campi deserti a perdita d’occhio, ecco come si presentava, immersa nell’informe bruma del pomeriggio ottobrino. Dalla collina intravedevi le luci gialle dei lampioni disegnarne la sagoma evanescente.

Se il gruppo di studiosi che a Cambridge fondò la Society for Physical Research (1882) l’avesse potuta osservare, di certo avrebbe domandato se fosse infestata.
Costoro accumularono con sicurezza molti casi ben documentati.

Parliamo di un’ Inghilterra vittoriana ma i visitatori spettrali e gli spiriti annunciatori di presagi sono presenti da tempi immemorabili nei resoconti della gente e pare che continuino a mostrarsi ai moderni ghost hunters.

Trascorsero più di 10 anni anni dalla fondazione di quella società, prima che venisse pubblicato, da Breur e Freud, Studien über histerie. Ma lo scrittore Henry James doveva averne letto, dato che 3 anni dopo diede alle stampe la novella da cui questo articolo trae fondamento: Il giro di vite ( The turn of the screw, 1898).

Il titolo evoca una tortura antica, la garrota, dove ad ogni giro corrisponde una più dolorosa pena. Magari pur senza leggere Freud, James ne venne a conoscenza, chissà? Oppure fu il diario impressionante della sorella Alice, prematuramente morta di una malattia inguaribile, che fornì allo scrittore l’ispirazione giusta.

Ma fu solo cento anni dopo, in un sabato di ottobre del 1998, che io, Jo Gabel, iniziai a stilare gli strani eventi che si verificarono nella mia dimora.

……….

Tutto converge nella mente: è irrilevante domandarsi rispetto agli eventi che osserviamo se ci siano realtà anteriori a quegli stati interiori o se sia apprezzabile un’ispezione personale degli stati mentali, scrisse Dewey, che iniziavo a studiare proprio in quei giorni di vacanza a La Mansueta.

Sarebbe come schioccare con le labbra in pubblico se evitassi di parlare degli antefatti: un tempo, dice quell’autore, questo era considerato ineducato. Invece con le cattive maniere oggi si ottiene tutto.

Per risalire alle origini del racconto, dovrei parlare di uno dei tanti film tratti dal libro di James. Suspense, del 1961, dove Deborah Kerr  interpretò Miss Giddens, un personaggio dal contegno algido in cui intravidi appena certi turbamenti. Ci piace intuire, più che conoscere, dato che la mente è intrigata dal mistero.

 

Di Jack Clayton, regista raffinatissimo di quel film, avrei apprezzato pure Il grande Gatsby: anche in quell’occasione avrebbe collaborato con Truman Capote se non gli fosse stata imposta la sceneggiatura dell’autore.

E fu proprio Capote, amico d’infanzia di Harper Lee (di cui ricordiamo Il buio oltre la siepe) ad aver coscritto Suspense… vi suggerisce qualcosa?
Tutto e subito, protesterà l’appassionato di horror, assuefatto ai film di Sam Raimi. Così diversi da quella fotografia di Suspense e dai filtri ottici delle sue inquadrature agghiaccianti.

Era una storia senza tempo né chiarezza”, si dolse a riguardo Piero Citati,  “vaga e senza particolari, oscura e imperfetta, appena l’ombra nell’ombra; ma conteneva una nota di mistero e terrore che avvinse subito la fantasia di James”.

 Non immaginavo che Il giro di vite sarebbe divenuto l’emblema di quello che considero horror per eccellenza, da cui molti maestri dovettero rimanere soggiogati (scommetto persino William Peter Blatty, autore de L’esorcista).
De Il giro di vite se ne scrive come di un racconto gotico, ma di gotico possiede solo l’ambientazione e la falsariga della persecuzione dell’eroina.

Rispetto Dracula il vampiro, pubblicato l’anno prima, siamo un passo avanti nella complessità della mente umana, dove la paura non scaturisce da ciò che si percepisce come reale e terrifico, ma dai chiaroscuri dell’incertezza.

Bastoncelli
e non coni, come direbbe lo scienziato che studia i recettori percettivi. E dunque sia, visione periferica, non nitida e in bianco e nero…
Alla storia ci introduce un arcivescovo, ricordando i fatti narrati da una conoscente, che a sua volta ne aveva sentito raccontare.
Casi psichici ripuliti di ogni bizzarria come fossero stati messi sotto il rubinetto di un laboratorio non destavano più il terrore di una volta e allora il lettore si rincuorava, confortato dalla propria fede nella psicanalisi:
Solo una nevrotica con fantasie erotiche represse, concluse a proposito della protagonista una parte della critica.

Fatto sta che Henry James, durante quel pomeriggio di chiacchiere e té con l’arcivescovo di Canterbury, annotò la storia nel suo notebook. Poi la Collier Review gli chiese di scrivere un contributo e lui mise mano a quegli appunti.

Vorrei fantasticare un po’ su Bly Manor, dove si svolge l’azione, e a proposito di Miss Giddens, l’istitutrice che ora siede di fronte a noi, presso il focolare dell’antica casa di campagna nell’Essex, prospiciente il lago.

C’è un altro personaggio che si staglia tra le quinte: è lo zio dei bambini a lei affidati. Bello, ricco e affascinante, proprietario della tenuta, nella migliore tradizione che fa seguito a Jane Eyre, dardeggerà le pruderie mai confessate della miss, rischiando di apparire tra i viali del giardino al pari degli spettri.

Poi la governante, signora Grose, robusta, con un’aria rassicurante, che a me ricorda un po’ la cuoca di Downton Abbey, con Flora e Miles, i bambini protagonisti, belli, puri, perfetti tanto da sembrare descritti in tal modo per trarci in inganno. Lo stesso direi dell’istitutrice, così simile a certi personaggi di Emily e Charlotte Brontë o a quelle icone di assennatezza descritte da Jane Austen.

Accanto a loro, un vuoto. Abitato da ricordi e… fantasmi: “Da tenere presente la storia di fantasmi che mi è stata raccontata ad Addington la sera di giovedì 10 dall’arcivescovo: per quanto vaga traccia senza un preciso dettaglio. Bambini di numero indefinito lasciati alle cure dei domestici in una vecchia casa di campagna dopo la morte dei genitori. I domestici corrotti e depravati corrompono i bambini che diventano cattivi e maligni in misura sinistra….

….i domestici sebbene morti ritornano a visitare la casa e rivolgono ai bambini richiami perché vadano da loro passando in posti pericolosi, come il profondo fossato di una recinzione crollata. Se i bambini rispondono, se entrano in loro potere, possono rimanere annientati e perdersi per sempre”

 Dal canovaccio alla composizione il passo sarà breve, scriverà lo stesso James ne The notebook pubblicato nel 1947:

Tutta la storia è quanto mai oscura e imperfetta, ma c’è pure in essa un effetto stranamente raccapricciante”….
Nei paesi di lingua inglese l’interpretazione de Il giro di vite divenne una specie di sport nazionale, un esercizio collettivo a cui ciascun paese collabora durante gli ozi domenicali. Questioni come i bambini sono o non sono corrotti? gli spettri sono reali o allucinazioni? Come muore Miles?
Sembrano più decisivi dei titoli a Wall street, del nuovo capo del Cremlino o della dichiarazione di una guerra.
(Piero Citati)

Guardare alla genesi del terrore può essere considerato terapeutico; al pari di un trattamento omeopatico, può guarirci. Ma c’è anche un altro modo: si può accettare l’inconoscibile come un dato di fatto.

La mente di uno scrittore come James è aguzza, ci conduce nostro malgrado all’abbraccio mortale, lo stesso con cui il genio Capote, coautore della sceneggiatura del film Suspense, fece morire il piccolo Miles.

Con Miles muoiono le nostre certezze circa l’esistenza degli spiriti: la tanto decantata e mirabile istitutrice in realtà è solo un’isterica che ha inventato tutto. Quest’interpretazione taciterebbe ogni dubbio, pur riconoscendo la strategia dell’autore. Dall’altra conforterebbe un’altra certezza: i bambini sono sempre al di sopra degli eventi, innocenti.

L’idea appena ventilata della corruzione dei minori da parte dei domestici pervertiti è così orribile che viene più volte considerata e subito abbandonata dalla mente del lettore, in un’opera di sottile slittamento. Allo stesso modo in cui le allucinazioni dell’istitutrice circa i fantasmi producono un effetto deletereo sui piccoli: la dolce Flora sembra invecchiata e sfiorita alla vista della defunta signorina Jessel.

Il sorriso di Miles di fronte alle tentazioni del fantasma del cameriere, finisce per mostrarsi agli occhi di Miss Giddens falso e sardonico. Impossibile non domandarsi se i bimbi avessero preso parte al gioco messo in scena dai domestici depravati.
A ben guardare sull’opera domina uno sguardo grottesco e satirico, ma profondamente lucido nei fini: intrigare il lettore facendolo partecipare al racconto con le sue convinzioni circa il bene e il male.

Voi lo intravedete il fantasma di Quint che osserva dietro il vetro o in cima alla torre? Di bell’aspetto, col panciotto del suo datore di lavoro, forse rubato, come suggerisce la signora Grose. E perché costei asserisce di non aver mai visto quell’apparizione, in un moto di reticenza malcelata?

… Ma lui è lì e noi lo vediamo nella descrizione che ne fa James: i capelli rossi con le basette, il viso pallido e allungato, quei suoi occhi penetranti in modo orribile, che si muovono esaminando la stanza alla ricerca del suo pupillo…

E che dire dell’altro spettro che appare presso il lago? Una figura eretta, vestita di scuro, che emerge dal canneto ed emana rabbia più che dolore, anelando alla bimba. Come se quei morti si nutrissero delle energie liete dei fanciulli.

In un ultimo sprazzo di chiarezza, il lettore attento che dispone degli elementi introdotti dall’autore, si domanda di cosa si potrebbero incolpare i domestici defunti. Di essere stati amanti? Di aver alzato un po’ il gomito? Oppure solo di aver insegnato parolacce ai bimbi?
Un tentativo strenuo perché il male che produce le visioni ha una forza a sé stante che sopprime la logica.

Le narrazioni si intrecciano e divengono lusinghiere, affascinano, segregano o rassicurano, secondo la volontà dell’incantatore di turno. Abbandonare la nostra percezione per afferrare la più conveniente, quella che non violi la nostra sicurezza interiore, è ciò che facciamo quotidianamente per proteggere la mente dall’isteria.

Ma nel farlo possediamo almeno un lacerto di verità? A meno che non sia proprio questo il limite da oltrepassare per scoprire che il mondo è fatto di racconti, come sosteneva Pirandello. Forse la verità è da qualche parte in uno di essi. Forse è un po’ in tutti. Forse in nessuno.

Come Buzzati, vorrei osservare con occhio esperto i compromessi, con spietata lucidità, guardare al subreale mantenendo un punto di vista etico.
Almeno finché l’impressione non scompagini l’intento.

Come quella volta in cui la porta della mia camera da letto si spalancò e gli eventi tra mezzanotte e la una del mattino si palesarono in un’allucinazione che durò giorni.
Ero sola nella grande casa di pietra dalle mura possenti, chilometri distante dalla civiltà.

La paura si nutre di paura, ecco il perché dei fenomeni poltergeist, mi dissi.
Occorre mantenere freddezza di fronte alle impressioni della mente e rintracciare le cause fisiche dei fenomeni. Alzarsi con circospezione dal letto, accendere tutte le luci. Controllare che il cane in giardino non abbai e che tutte le finestre e gli usci siano serrati. Per escludere la presenza di estranei.

Ecco cosa feci.
Secondo me, in quella notte del 1998, non entrò nessuno nella dimora sui campi. Perché poi tutti gli avvenimenti inspiegabili si fossero verificati tra mezzanotte e l’una, non l’ho mai capito: anche loro schiavi della tradizione? O esiste davvero un ponte tra i mondi? Avrei detto quello che galleggia alle 3 e mezzo del mattino, quando sbarro gli occhi per qualche momento e mi alzo. Chi mi vedesse vagare nella luce incerta potrebbe immaginare che io sia uno spettro, anziché una persona in carne e ossa.

E dunque lo siamo? Siamo aliti del passato? Come in quell’altro famoso film sussurrato dalla fantasia di James, The others ?

Una vera storia di fantasmi

In quei giorni, come vi dicevo, qualcosa accadde di molto insolito. Ad ogni calare delle tenebre fu dato seguito ad un copione prestabilito per conquistare la mia anima all’inconoscibile.

La notte seguente a quella in cui l’uscio della camera si era spalancato da sé, allarmando i cagnolini che dormivano sul mio letto, mi risolsi di bloccare la maniglia con una sedia, visto che la porta non era provvista di chiave. Mi misi a letto con un romanzo, troppo provata per continuare lo studio per l’esame universitario che preparavo.
A motivare lo spalancarsi della porta, ne ero persuasa, era stata una corrente d’aria. Fuori il vento proveniente dalla gola tra le montagne si alzava in rapide folate e le imposte tremavano.

La seconda notte, un nuovo colpo di una potenza senza eguali si era abbattuto sulla porta. Non aveva ceduto, non si era spalancata, ma i tre cagnolini erano balzati dal letto abbaiando e ringhiando come la notte precedente. Fui certa che oltre la soglia si celasse un intruso, ma impiegai un po’ per trovare il coraggio di aprire.
Mi si voleva far paura?
Solo l’anziana governante aveva modo di entrare e lei abitava oltre la collina. Forse le chiavi le erano state sottratte?

Perlustrai tutta la casa senza trovare anima viva. Su tutto incombeva una specie di strana immobilità, l’avrei detta un’atmosfera di attesa. Il ticchettio della pendola mi era di conforto. I volti dei miei bisnonni apparivano attenti nelle vecchie foto, lo sguardo degli antenati ritratti nei dipinti sembrava seguirmi attraverso la sala. Pronti a raggiungermi per prendere parte alla festa. Cercavo di fare dell’ironia, ma i sensi stavano all’erta.

Dei fantasmi non devo preoccuparmi, mi dissi. Semmai degli umani, ma di quelli non v’è traccia. La notte passò senza che mi riaddormentassi e l’indomani studiai poco.

Provai a recarmi in città per distrarmi, ma al ritorno lottai col cancello che non voleva chiudersi a causa del forte vento.
In casa riacquistai coraggio: la governante aveva acceso un bel fuoco nel grande camino in pietra e sul lettone con il monogramma dei bisnonni era stato steso un copriletto stampato inglese, a fiori.

Verso la mezzanotte la mia sicurezza venne meno. Iniziai a percepire quel sottile cambiamento. Con un po’ di apprensione, mi rannicchiai nel letto e rimasi in ascolto. Degli scricchiolii provenivano dal piano di sotto. Il rumore stava crescendo di intensità: sembrava che qualcuno stesse trascinando le poltrone del soggiorno da un capo all’altro della sala.

Mi alzai e raggiunsi il corridoio rischiarato dalla luna. Alla cieca, in preda al terrore, cercai un’ arma per difendermi: sfilai un’alabarda spagnola posta accanto al pettorale di una vecchia armatura. Badando a non fare rumore, scesi le scale nel buio.

*****

L’indomani mi recai a parlare con il parroco, che però era a letto ammalato e non poté ricevermi. Di malavoglia avevo seguito il consiglio della maestra della scuola, che da anziana gestiva lo spaccio del villaggio: Lo sanno tutti che quella è una casa infestata, aveva commentato apprendendo i fatti che le avevo narrato, in tanti hanno visto bagliori strani dalle finestre. Dia retta a me, non si può sapere cosa abbiano combinato in passato in quelle vecchie case di campagna. Chiami il prete e faccia benedire la casa.

Accennò a feti umani occultati nelle pareti di pietra di certi conventi e soldati francesi di cui erano state rinvenute le spoglie murate. Racconti sconcertanti, anche veritieri, ma non le badai: la notte precedente, scendendo dabbasso, non avevo visto proprio nulla. Sopratutto nessun mobile era stato spostato.

Tra me e me optavo per una spiegazione razionale ai fenomeni annotati dalla maestra: qualche pettegolo aveva riferito che la figlia della governante soleva introdursi di nascosto nelle case dove la madre lavorava. Profittando dell’assenza dei proprietari, organizzava festicciole con gli amici. Ecco la ragione delle luci. Qualcun altro diceva poi che la stessa governante si recasse in orari inconsueti nelle case a lei affidate per sbrigare qualche incombenza.

Certo che nella sceneggiatura di un film l’intervento di un esorcista sarebbe stato d’ effetto… Invece quella sera me andai a letto risoluta a non farmi suggestionare. Eppure, sotto sotto giocava la mia curiosità: come veniva a svolgersi il rapporto tra mistero e realtà? Non dovetti attendere molto.

L’ululato cupo del mio barboncino si levò nell’oscurità. Accesa la luce, con il cuore in tumulto, lo osservai: il piccolo si era fatto silenzioso e fissava un angolo della stanza. Osservava qualcosa a mezz’aria e spostò lo sguardo seguendo un traiettoria precisa, fino alla testata del letto e poi sopra di essa. Avrei detto che stesse fissando un quadretto che ritraeva l’Ultima Cena. Poi si accucciò assieme alle altre bestiole.

Giurai a me stessa che avrei lasciato quel posto prima possibile.

Ma alle prime luci del giorno tutto riprese un aspetto sereno. Ero stanchissima, così mi dissi che sarei potuta partire il giorno dopo e che quella notte avrei chiesto alla governante di rimanere a farmi compagnia.
Avevo dormicchiato tutto il giorno e dopo cena mi ero appena immersa nella lettura del solito romanzo, quando il telefono squillò: la signora mi faceva sapere che non avrebbe potuto raggiungermi.

Miss Grose di Bly Manor non mi avrebbe mai lasciata sola, mi dissi. Mancava poco alla una quando chiusi il libro e spensi la luce.
Trascorsero solo pochi minuti e iniziai a udire qualcosa intorno al letto, come se delle pietruzze cadessero dal soffitto.

Prima una, qua e là, poi come una vera sassaiola, che però non colpiva me, ma tutt’attorno. Mi figurai un problema del tetto, prima ancora di un evento paranormale. Accesa la luce il rumore era cessato del tutto. Volli controllare il pavimento: nessuna traccia dei sassolini.

Coloro che avevano dormito in quella stanza prima di me, e altri che vi dormirono in seguito, quando la casa divenne un b&b, sostennero di aver percepito strane presenze. Negli anni 70 qualcuno aveva descritto il fantasma di una donna velata di bianco, che sfiorava gli uomini in dormiveglia con una carezza o un bacio leggero. Qualcun altro disse che era il dondolo decapé di nonna Rosaria ad oscillare, o quel tavolinetto zoppo della trisavola marchesa, a non finirla di traballare.

Altri insistevano che, aprendo la porta, una sagoma si rizzasse a sedere sul letto, per una frazione di secondo rimaneva visibile, come una dormiente colta da un incubo che si svegliasse all’improvviso. Più spesso una signora anziana era vista scivolare leggera davanti alle porte aperte.

Qualche ospite lamentò di essersi sentito osservato e di avere avuto scrupolo nell’aprire la porta scorrevole del box doccia, una volta terminato di lavarsi. Molti sognavano una donna intenta a cucinare presso il camino del primo piano, dove in effetti c’era stata la cucina fino agli anni 40 del secolo scorso. Costei si lamentava perché in casa c’era troppa gente.

Per conto mio, nella stanza infestata non dormii più, ma altri descrissero le loro esperienze nel libro degli ospiti.
E dunque, poté trattarsi di suggestione collettiva? Sono forme pensiero quelle che si manifestano? Poco a poco, a parte il rumore dei passi sulle scale di legno, che sembravano percorse in su e in giù, nessuno udì o vide più nulla. O forse non ne parlò.

Mi persuasi che La Mansueta fosse permeata finalmente da un’energia lieta, man mano che gli anni passavano e io vi trascorrevo la mia vita.

Anche se qualche volta, durante assenze cui mi vedevo costretta per esigenze familiari o di lavoro, ero stata informata di strani rumori che provenivano dal primo piano, disabitato (Topi? Niente topi signora Mac Neil…).

Una volta alla dog sitter era sembrato di udire uno scalpiccio insistente, un andirivieni sul pavimento sovrastante; un’altra volta una signora raccontò che alla sera, dal piano di sopra, proveniva un gran baccano, come fosse una sala gremita di gente (Buona sera Mr Torrence / Buonasera Lloyd / bourbon con ghiaccio è quel che ci vuole/ Midnight, the stars and you…)

 Il mestiere di raccontare mi prese la mano in quegli anni. Mi chiedo se quelle esperienze non mi siano venute in aiuto per infondere vita all’inanimato, per cimentarmi nel richiamo del surreale, l’arte di vedere dietro l’apparente normalità delle cose.

Dobbiamo ammettere che Henry James ha vinto. Quel cortese, mondano, sentimentale vecchio signore, riesce ancora a farci avere paura del buio.
Virginia Woolf

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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