C’è quell’aria di famiglia nella vecchia Marienbad

L'anno scorso a Marienbad di Alain Resnais

Io non amo il futuro, non è per me: lo immagino come una proiezione di remote illusioni, un luogo sconosciuto dove ricamare labirinti di idee; tuttavia sono affascinata dall’assoluto imprevisto del presente, che rompe gli argini della ripetizione (quella in cui Nietszche e Kierkegaard avevano riposto le loro aspettative). Senza contare che il presente consente al passato di risorgere ogni giorno, alla maniera lievemente romantica del ricordo.

Forse per questo motivo ho amato rivedere il film L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais.
La stessa urgenza mi colse per un romanzo, La montagna incantata di Thomas Mann, che mi catturò tanto da alleviare una lunga convalescenza (e su quella montagna volli tornare subito, rileggendolo una seconda volta).

L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais

Del film di Resnais, però, inseguii la traccia più segreta e, come sempre, mi avvinsero i motivi di quei produttori (della Argos film) che, nel 1961, credettero nel progetto. Acclamato dalla critica, riscosse un ben più modesto successo di pubblico; a distanza di tanti anni, posso capire come quella generazione del dopoguerra avesse bisogno di svago e non di un film sulla “memoria”…
Per conto mio, alla proiezione assistei molti anni più tardi, d’estate, in un cinema d’essais e mi apparve come una rivelazione.

Il film di Resnais alzava il sipario su di uno di quei luoghi speciali, dove il tempo diviene un’elegia e riconquista la sola dimensione di cui si possa essere partecipi.
Intrappolare il tempo non è facile, occorre metodo e pazienza, ma ci sono posti dove questo è possibile, dove la mente diviene tutt’uno con l’esperienza che sta vivendo; sono contesti in cui la vita si esprime in tutta la sua potenza, sovente nell’incanto amoroso, proprio quando procede a braccetto con la morte.
Come l’amante, tra le braccia dell’amato, sussurra che la sua gioia è talmente pura che potrebbe anche morire in quello stesso attimo…

E sì, direte voi, ci sono luoghi (e persone) che ottenebrano la mente, regalandoci istanti di immortalità e che poi, al ritorno nel mondo (qualora si decida di tornarvi), ci si riscopre più forti, più completi.
Notte infelice. Impossibile vivere con F. Insopportabile ogni convivenza”, scriveva un giovane Franz Kafka nei suoi diari, dopo una lunga notte insonne, la prima, trascorsa in un albergo di Marienbad, nell’attuale Repubblica Ceca. Il giorno dopo, però, condusse la fidanzata, Felice Bauer, in un altro hotel, il Castello di Balmoral Osborne e, al termine di una settimana di vacanze segnata dalla pioggia, Franz decise di sposarla.
Poi le cose andarono diversamente, ma quella cittadina termale, racchiusa in una conca tra i pini, aveva offerto tutti i presupposti per una vacanza romantica, ad un uomo che non avrebbe mai più pensato al matrimonio.

Kafka sosteneva che la cittadina di Marienbad fosse allora “incredibilmente bella”, allietata da una natura prodigiosa e dal mistero di acque giudicate “miracolose”, dove la leggenda voleva fosse scesa a bagnarsi la madre di Gesù. Di lì il nome con cui era conosciuta, in italiano “Bagni di Maria”.
Per la salubrità del luogo, divenne meta di tanti intellettuali: sin dal tempo delle guerra dei trent’anni, la cittadina boema fu ben nota in tutta Europa e le sue vasche furono frequentate da un pubblico numeroso e anche da molti letterati e musicisti: Goethe, che vi andò due anni dopo l’apertura degli stabilimenti e poi Gérard de Nerval, Nikolay Gogol, Alfred de Musset, Lev Tolstoj, Nietzsche, Fedor Dostoevskij, Hector Berlioz, Gustav Mahler, Johannes Brahms, Chopin… così per tutto l’ottocento, e poi per due decadi dopo il novecento, queste terme furono animate dai rendez vous di moltissimi personaggi.

Con l’avvento di Hitler al potere, invece, iniziò la decadenza di tutta la regione e persino la sinagoga di Marienbad fu data alle fiamme.
Forse per questo motivo, Alain Resnais, il vate della Nouvelle Vague francese, dopo il successo di Hiroshima mon amour, vi ambientò il suo secondo film?

Potremmo supporre che il regista avesse scelto quel contesto termale, in virtù dei ricordi che da esso scaturivano, la notorietà di cui aveva goduto, le élites intellettuali che l’avevano frequentato, ma ci fu dell’altro: il ricordo dell’Amore, che in quel luogo diveniva nostalgico.
D’altra parte, non mi sorprenderebbe affatto se in quelle terme si potesse perdere il senso del tempo: le lunghe degenze, lo spettro della sofferenza, mentre amore e morte si sfioravano e si riconoscevano come la realtà ultima della vita.
Per questa ragione Thomas Mann aveva descritto i ritmi e le passioni della sua Montagna incantata in un sanatorio e, in tempi più recenti, la scrittrice Susanna Tamaro ha scelto proprio una località termale per l’incontro della protagonista del suo libro con l’unico amore (nel romanzo Va dove ti porta il cuore).

Allo stesso modo, il triangolo delle terme Boeme, dove Resnais ambientò il suo film, non fu solo una scelta ideale in una fabbrica della salute, come era definita la cittadina di Marienbad, con una cinquantina di fonti termali e una foresta inaccessibile.
Non fu solo alberghi scenografici (come quelli bavaresi in cui ambientò il film), belvedere suggestivi o passeggiate indimenticabili.
Da quel riadattamento del romanzo L’invenzione di Morel, dell’argentino Adolfo Bioy Casares, Resnais realizzò qualcosa di completamente nuovo nella tecnica, come pure nella portata del messaggio. Anticonvenzionale, dissacrante delle prospettive borghesi, riuscì a mettere su pellicola il suo incontenibile desiderio di rinnovamento, con i dialoghi magistralmente scritti da Alain Robbe-Grillet.

Ma di certo il regista anelava anche a svelare un segreto…

Avete notato come, nei suoi film, le sequenze dei ricordi non vengano segnalate tramite i flash back, tipici della filmografia? Al contrario fanno parte del continuum del racconto (qui, come in Hiroshima mon amour).
Ne L’anno scorso a Marienbad, il protagonista del film implora la sua amata, sposata con un altro uomo, affinché ricordi la stagione trascorsa assieme nella località termale, esortandola a mantenere la promessa di fuggire con lui, abbandonando il marito. E sebbene la donna neghi con fermezza l’accaduto, permane nello spettatore un dubbio o addirittura un senso di alterità di memorie o illusioni di altri vissuti, reali o immaginari, che in qualche modo coesistono, creando un gioco di specchi e di possibilità.

Sarà lo spettatore a intervenire con il suo giudizio (se vorrà), intuendo quella che potrà definire la ragione dei fatti.
Perché in un’estetica della memoria, i tempi sono prima esposti, poi rievocati e di nuovo organizzati. Così che il racconto della decadenza degli esseri possa divenire una catarsi annunciata.

Come il temps perdu e il temps retrouvé di Proustiana memoria: “Non va compreso né giudicato, dato che non ha inizio ne’ fine”, spiegò Proust.

Ma io credo che, per Resnais, la memoria, l’arte della memoria, non rappresentasse solo uno straniamento, ma fosse un po’ come il kintsugi (l’arte giapponese che ripara gli oggetti con l’oro), ossia clemente e che colma vuoti, richiude ferite e reincolla le parti, arricchendo ed evidenziando gli incresciosi incidenti della frantumazione, attraverso un disegno nuovo, senza eguali.
Un’armonia dell’imperfezione, quindi. Anche se in occidente, dove tutto è governato dalla fretta, dove i ricordi sono spesso zavorra di cui liberarsi, riparare è un’arte per pochi.
Si vuole mantenere il bello ed il nuovo ad oltranza, l’apparenza regna incontrastata, a danno della storia, anche individuale.

La memoria di aver vissuto, il ricordo, viene coltivato nell’ombra, come certe passioni salvifiche e segrete. E c’è chi si affanna per dimenticare, inseguendo imperativi molesti. “Vivi nel presente” che non significa dimenticare il passato.
Perché “ricordare” è un’attività che non si svolge affatto nel passato.

L’amore, nel ricordo, diviene assolutamente sublime, come nelle terme boeme, dove gli effetti di quelle acque dovettero davvero allietare il cuore, oltre a ritemprare lo spirito ed il fisico. Per molti, Marienbad, significò innamorarsi perdutamente.
Come accadde a Johann Wolfgang von Goethe, che vi passò circa venti estati e, due anni prima di morire, perse la testa per Ulricke, una fanciulla di 16 anni che avrebbe voluto sposare. In tarda età lo scrittore immaginò Marienbad come una terra selvaggia, simile all’America (che lui non aveva mai visitato) e ne fu ispirato per la composizione de Le elegie di Marienbad, la sua ultima opera.

Anni prima, nel 1812, questo grande della letteratura, aveva incontrato, proprio in Boemia, un altro personaggio assai più sfortunato in amore, Ludwig Van Beethoven, che era in cura negli stabilimenti di Teplice per alleviare le tantissime malattie da cui era afflitto.
Anche la comunità ebraica a Marienbad era benvoluta, prima degli anni 20 del novecento, e aveva contribuito alla notorietà del luogo, dove si erano recati persino alcuni regnanti (dal 1901 Edoardo VII d’Inghilterra, che vi aveva soggiornato per sette estati, costringendo Francesco Giuseppe a raggiungerlo per affari di stato).

Richard Wagner e Friederich Nietzsche vi si ricoverarono per i loro disturbi di nervi, tra la metà dell’ottocento ed il novecento, mentre, grazie al sostegno di Friedrich Engels, nel 1874, Karl Marx e la figlia Eleanor, si fermarono ben tre stagioni a Karlsbad (il triangolo termale era composto da tre cittadine: Marienbad, Karlsbad e Franzenbad, anche se Kafka giudicò la prima infinitamente più bella).
E la fama della fabbrica del benessere arrivò fino negli States, visto che un faceto Mark Twain, arrivò a Marienbad nel 1892, per conto del giornale per cui scriveva, il Chicago Daily Tribune. Scrisse scherzosamente di voler giudicare di persona la veridicità di tale notorietà.

E fu solo l’avvento del nazismo ad attrarre le prime nubi fosche su quel paradiso, mentre le presenze nella cittadina calarono progressivamente da 40000 a 20000 l’anno, con un lento ed inesorabile decadimento di strutture e servizi.
Dopo l’occupazione russa, la cittadina rinacque con un nuovo nome, Mariànské Làzne e, ai nostri giorni, la memoria dei suoi trascorsi aleggia nelle passeggiate incantevoli, tra gli edifici eleganti, attraversa il colonnato in ghisa stile liberty, icona della città, e si esprime in una vivacissima vita culturale tra teatri ed eventi…

Trovare l’armonia nella cicatrice, può essere un modo per valorizzare una storia e offrire ad altri il modo di riconoscere la propria.
Ecco che la trama de La scorsa estate a Marienbad appare ricca di crepe preziose, tutte unite da una visibile e sconcertante saldatura, un monumento prezioso all’amore che non possiede temporalità. Ma potrebbe anche raccontare la nostra storia o quella che avremmo sognato di vivere, forse.

 

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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