Un amore spericolato. Steve McQueen & Ali MacGraw

immagine per Steve McQueen & Ali MacGraw

Quando Vasco Rossi firmò il pezzo Una vita spericolata, nel 1983, erano trascorsi 3 anni dalla morte di Steve McQueen. Volle dedicargli un omaggio indimenticabile.
Un attore dalla personalità complessa, dal carattere difficile, che visse i suoi giorni con grande sprezzo del pericolo, sullo schermo e nella vita, divenendo un’icona del cinema mondiale.
Non stupisce che spericolato lo fosse stato anche in amore.

Ebbe talento e fortuna. Persino quando, nell’agosto del 1969, un contrattempo gli impedì di recarsi a Cielo Drive, a casa di Sharon Tate, dove l’aveva invitato il suo amico Jay Sebring: Steve aveva dato un passaggio ad un’autostoppista e mancò l’appuntamento col massacro di Bel Air.

King cool, come lo definirono quando divenne un simbolo di stile, conobbe Ali MacGraw pochi anni dopo e insieme spensero la loro sete d’amore in un rapporto travolgente e complicato, violento e malato, che finì per divenire l’opposto di ciò che avevano sempre disperatamente cercato.

Devo confessare che avrei voluto scrivere un pezzo sentimentale, ben strutturato e prevedibile, uno di quei pezzi dedicati agli innamorati.
Ma indugiavo e mi sentivo poco convinta: l’idea di saccheggiare la vita di qualcuno per cavarne una storia melensa non mi piaceva, volevo avere a che fare con un racconto che si svestisse tra le croci, che fosse reale.

La storia di Ali e Steve richiamò la mia attenzione per caso,  attraverso una vecchia foto. Avevano tutto il sole della California sui loro corpi perfetti, che profumavano di spuma dell’oceano (un’immagine può avere un profumo, proprio come la musica).

L’idea che me ne ero fatta non appartiene alla storia ufficiale, forse non appartiene neppure alla storia:

Abbracciati in una viuzza silenziosa di un piccolo paesino della Provenza, passeggiano a caccia di souvenir. Il mistral ha spazzato tutte le nuvole dal cielo e il sole splende. Un pavimento costruito a pavé, quadrotti bianchi e lucidi, su cui scivolare leggeri, muri decorati e pietre a nudo. L’aria profuma di rosmarino e timo…  

Oggi, Elisabeth Alice MacGraw è una donna amante dello yoga e della meditazione, che ha collocato al centro della sua vita l’equilibrio, la difesa degli animali e la sobrietà.

Ha vissuto l’apice di tutte le cose: fu una studentessa modello, dispose di una ricchezza sfarzosa al tempo del suo matrimonio con il produttore Robert Evans, che a quel tempo era presidente della Paramount Picture (Il padrino; Il maratoneta; Chinatown; tra i tanti film); una bellezza dal fascino spontaneo, tanto da meritare un servizio per Chanel (nuda, sotto una cascata a Puerto Rico).

Intelligente, piena di interessi e di talento, aveva collaborato come assistente fotografa per Harpers Bazar, ma era stata anche fotomodella e quindi attrice di fama mondiale. Ma poi arrivò lui, Steve.

Fui ossessionata dal pensiero di Steve dal primo momento che pose piede nella mia vita”, scrisse Ali nella sua autobiografia, “mi sembrava che non ci fosse abbastanza aria da respirare per poter cambiare quella sensazione”.

Il senso del vago di cui parlano i giapponesi (yugen) pervade ogni racconto, che si tratti di personaggi famosi o no.

Come in una melodia, il tasto suonato possiede uno spazio attorno a sé, una vibrazione che non è musica, anche se in qualche modo la trattiene e alla quale non possiamo accostarci con la logica del pensiero.

Allo stesso modo questa storia non si era rivelata subito. Avevo letto le biografie dei personaggi e preso atto di diverse testimonianze, tutto però rimaneva in un certo senso superficiale.

Mi faceva sentire insicura a causa della sua passione per le bionde e le tipe alla playboy” ricorda Ali nella sua biografia, “mentre l’ attrazione per me aveva a che fare con la mia educazione. Mi chiamava “la sua intellettuale newyorkese”… ma era anche l’uomo con cui ci si augurerebbe di trovarsi durante una catastrofe, perché sembrava sapere sempre cosa fare…”

Un’attrazione nata quando lo aveva visto recitare in Bullitt (1968):

“Molti uomini e donne sono affascinanti e sexy, ma mi è difficile pensare ad un altro attore, eccetto Marlon Brando che avesse innato in sé un senso di mistero. Non sapevi mai cosa avrebbe fatto o detto, potrei dire che trasudasse pericolo”.

Entrando in una stanza piena di gente, McQueen polarizzava invariabilmente l’attenzione: quella delle donne per un motivo, degli uomini per un altro.

Non erano soltanto i suoi occhi blu elettrico a incantare, i capelli cortissimi, di un biondo sabbia, sul cranio perfettamente scolpito o il viso segnato, piuttosto il suo corpo atletico, che ricordava “quello di un animale selvaggio che in un istante poteva decidere di attaccare”, scrisse Ali.

E questa energia vibrante riusciva a trasmetterla attraverso lo schermo.

Affascinante interprete di film cult come I magnifici sette; La grande fuga; Papillon; L’inferno di cristallo e tantissimi altri, non aveva avuto una vita facile.

Abbandonato dal padre a sei mesi, la madre se ne era curata poco, impegnata in una vita sentimentale complicata, sempre accompagnata da uomini che non lesinavano brutalità. Per questo motivo aveva affidato il figlio ad uno zio molto religioso che allevava bestiame in una fattoria.

Fu la relazione materna a pregiudicare la futura vita sentimentale dell’attore? La causa della diffidenza e della sfiducia che avrebbe provato per il sesso femminile? Di fatto fu sempre alla spasmodica ricerca di un ideale di donna che lo rassicurasse e, nel farlo, fu pronto a collezionare ragazze, che d’altra parte andavano pazze per lui.

La verità la raccontò qualche amico dopo la sua morte, forse lui non avrebbe voluto. Celava una grande fragilità, un’estrema timidezza, una vulnerabilità che, ai miei occhi, sfuma il cliché del macho con cui volle essere conosciuto, rendendo più umano questo straordinario attore. Nel leggere i suoi sguardi repentini alla telecamera, nei primi film, lo scorgerete.

Certi fantasmi ancora pullulano nel reset, nel vuoto della misteriosa traslazione, nel cambio direzionale, nella sinergia occulta: fu il grande intrattenimento popolare che modellò la vita degli uomini, li sedusse, ne reinventò ritmi e cagioni, ne istituì i caratteri, sancì e rese lecito l’inopportuno, lo scadente e il negletto. Ma anche la meraviglia.

Un giorno l’arte di Hollywood sarà parte dell’etnologia, scienza delle culture umane, come la religione, la magia, la tecnica e per certi versi anche la scienza.

E quale miglior antidoto all’oscurità dei tempi che viviamo di una storia d’amore, con i suoi stupori, le sue spigolosità e i suoi errori, mi ero detta. Ma non immaginavo che per conoscere chi fosse stato Steve McQueen sarei dovuta arrivare a detestarlo, prima di poterlo capire davvero.

Da ragazzo, Steve iniziò a commettere piccoli reati con delle bande di amici, cosicché la madre lo fece internare in una casa di correzione in California, cosa che il figlio non le perdonò mai.

Quando ebbe 16 anni lo richiamò a New York, dove si era trasferita in cerca di miglior fortuna, persuasa di una convivenza possibile col suo nuovo fidanzato, ma appena lo vide lo congedò: ci aveva ripensato.

Fu allora che il giovane decise di imbarcarsi per lavorare sulle navi e in seguito entrò nei Marines. Più tardi ammise che, senza quella risoluzione, avrebbe preso di sicuro una brutta china.

Dopo il congedo si dedicò ad ogni tipo di lavoro, divenne chiara la sua passione per le moto e per le corse, ma fu anche addetto alle pulizie in una casa di appuntamenti, dove prese l’inclinazione ad una vita sessuale compulsiva.
Non solo le prostitute, ma tutte le ragazze sembravano conquistate dai suoi occhi azzurri e dai capelli biondo sandy, dal fare sicuro da bad boy.

Intanto riuscì a pagarsi le lezioni di Lee Strasberg all’Actors studios di New York dove lui e Martin Landau furono i soli ammessi, nel 1952, su 2000 candidati.

Quando incontrò Ali, era già un attore affermato. Dopo l’esordio a Broadway aveva girato molti film, lei aveva conquistato la fama mondiale interpretando Love story ed era al secondo matrimonio. McQueen aveva chiesto all’amico, il leggendario regista Sam Peckinpah di avere “quella ragazza di Love story” come coprotagonista di The getaway (1972).

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The getaway, 1972 diretto da Sam Peckinpah, interpretato da Steve McQueen e Ali MacGraw

Dapprima l’attrice disse di no. Non perché non fosse abbastanza convinta del soggetto, della sceneggiatura o della parte che le era riservata, piuttosto le fu chiaro che, senza ombra di dubbio, si sarebbe innamorata di quell’uomo. Viveva una relazione felice e aveva un figlio di due anni, dunque perché rovinare tutto?

Pressata da agenti, produttori e dallo stesso marito, accettò. Come previsto, Ali perse la testa e l’amore divampò. Esaltazione, brama, concitazione, l’aria satura di elettricità: a volte le scene di un film dicono più di tante parole.

Se aveste avuto l’ impressione che Steve fosse un duro non sbagliereste,  considerando come si era svolta la sua vita. Così non ne volle sapere di impersonare il manierato Jay Gatsby, nel ruolo tratto dal romanzo di Francis Scott Fitzgerald. Ali rinunciò a malincuore alla parte di Daisy, che poi sarebbe andata a Mia Farrow.
Con lui non la spuntava, Steve riusciva sempre ad avere l’ultima parola.

Un’amica che condivise con lei un appartamento a New York, la descrisse cambiata durante quell’infatuazione, dimentica di tutte le conquiste femminili, voleva solo divenire il tipo di donna desiderata da Steve. Era pazza di Steve e lui tentava di nascondere il suo amore, forse per timore di perderla. D’altra parte, era un tipo di poche parole.

I fans li adoravano. Dalle copertine dei rotocalchi, la coppia incarnava un ideale di libertà ed anticonformismo che piaceva al pubblico.

La vita con Steve era quella di molti hippy girovaghi, in moto, a zonzo sulla costa o in qualche bettola a bere birra. Una volta, in uno di questi ritrovi scalcinati, condussero l’allora ex governatore Ronald Reagan con la moglie Nancy. Pare che questo sia stato il motivo per cui Ali non fu mai invitata alla Casa Bianca…

I momenti magici sulle sabbie dell’oceano, negli agrumeti della California, lo stato di estasi tra droghe, alcol ed eccitazione nervosa, le folli corse in auto, tutto ebbe la meglio su Ali, che non si accorse di quel che le stava capitando. Una sera, Steve tornò nei bungalow della produzione con due ragazze.  Ali fece finta di nulla, ma ne soffrì moltissimo. L’indomani le telefonò chiedendole di preparargli la colazione. L’incredibile fu che lei lo fece.

Un’altra avvisaglia la ebbe durante una vacanza, all’epoca dei primi ciak di Papillon in Spagna. Erano a cena in un bistrot di Parigi e avevano bevuto champagne e ballato fino a notte tarda. D’un tratto Steve la invitò a smettere di condurre il ballo. Furono queste parole a provocare in lei una rabbia cieca.

Ali si abbandonò al furore e gridò fino a svenire. Emerse la verità sul suo alcolismo, se ne accorse prima di tutti il marito Bob, che le propose di dimenticare tutto e riprendere la loro vita insieme. Trascorsero anni prima che Ali potesse capire che la frase da cui tutto era scaturito, era la stessa pronunciata da suo padre il giorno in cui le aveva insegnato a ballare il tango.

Oggi sappiamo perfettamente che le ragioni di un amore malato vanno cercate in un trauma dell’infanzia, ma allora l’attrice non voleva ricordare quanto dolore le avesse procurato suo padre, un uomo autoritario e violento, di cui aveva sempre desiderato l’affetto.

Se Ali e Steve fossero stati consci di tutti i problemi nelle reciproche storie familiari, forse avrebbero potuto comprendere quello che stava accadendo.

I giorni trascorsi assieme sul set di Papillon, per fortuna furono sereni. Ali si divideva tra la nuova casa da mamma divorziata, in California, e la Jamaica.

Steve beveva e fumava ganja, divenne una buona forchetta, ingrassando persino un po’, cosa che obbligava i costumisti ad allargare la sua divisa da carcerato, che indossava nel film, per farlo apparire più magro; l’opposto di Dustin Hoffman, coprotagonista del film, che si nutriva solo di una noce di cocco al giorno per entrare nel personaggio.

Quando le aveva proposto di sposarlo, l’attore lo aveva fatto nel consueto modo brusco, al termine di una lite: “Se vuoi, domani ci sposiamo, domani o mai più”. Le fece anche firmare un contratto prematrimoniale svantaggiosissimo, in caso lo avesse lasciato.

Mesmerizzata da Steve, Ali si adattava a tutto quello che gli faceva piacere. Rinunciò persino ad abiti e trucchi, per divenire acqua e sapone, in jeans e tshirt.

Seguiva lui e Peckinpah che scorrazzavano sulle jeep con le loro old ladies e in fondo era contenta di essere la più importante di tutte le ragazze del gruppo. Essere definita “my old lady” da Steve non le era mai piaciuto, ma fingeva che le andasse bene.

Stava rinunciando poco per volta a sé stessa, schiacciata dalla personalità del compagno, dalle paure che riversava su di lei. Nel frattempo la sua vita sociale e lavorativa iniziavano a naufragare anche perché a Steve dava noia che amici o agenti le telefonassero.

Quando Ali volle a tutti i costi posare per un book di un amico (il fotografo Francesco Scavullo che desiderava ritrarla assieme ad altre bellezze dell’epoca, Brooke Shields, Barbara Walters e Margaux Heminguay), McQueen minacciò di divorziare e di lasciarla senza il becco d’un quattrino. Lei partì lo stesso, lui la inseguì a New York e, la notte prima degli scatti, le piombò in casa ubriaco e setacciò l’appartamento in cerca di indizi di un tradimento. Poi fecero l’amore.

Vivevano in un’epoca ribelle, nuove consapevolezze nascevano accanto alla vetusta tolleranza sociale per certi abusi di genere.

Poi lo spirito selvaggio e solitario di lui, la sottomissione di lei, la violenza che ne scaturì, l’esigenza di completarsi a vicenda, l’alcol, le droghe, il martirio di un’esistenza disconnessa, nell’eterna fuga dai propri incubi. Sovente si manifestano gli stessi problemi in certe relazioni, quando non esitano tragicamente, senza che nessuno abbia potuto accorgersene e chiedere aiuto per tempo.

Intanto Steve si era fatto arredare un appartamento di un hotel di Beverly Hills, con la scusa di voler vivere in un posto tranquillo durante i lavori di ristrutturazione alla casa di Malibù. Inutile dire che divenne un pied à terre del sesso, dove riceveva modelle e aspiranti attrici.

La moglie decise di ignorare i pettegolezzi, ma quando fu lei a doversi assentare per prendere parte ad un nuovo film, su richiesta esplicita di Peckinpah, Steve la minacciò ancora.

Le offrì anche dei soldi per rinunciare, ma lei fece di testa sua, ribattendo che aveva bisogno del suo lavoro per stare bene. Il film riuscì malissimo, ma durante le riprese il marito si recò sul set conducendo con sé il figlio di lei, Josh, e questo pose fine ai litigi per un po’.

Anche durante una meravigliosa vacanza al parco di Yellowstone ad Ali sembrò di poter rivivere la magia dei primi tempi, ma una immotivata crisi di gelosia, che durò giorni, la ferì moltissimo, alla fine si convinse addirittura di essere nel torto. Capì che non sarebbero potuti andare avanti.

Lasciò Steve dopo 6 anni di convivenza. Non si sarebbe sposata mai più, la sua carriera terminò di lì a poco. Steve la cercò, un paio di volte si incontrarono. Si desideravano ancora come la prima volta, ma Ali sentì che non doveva cedere.

McQueen continuò ad interpretare film e si risposò dieci mesi prima di morire. A 49 anni si era ammalato di tumore e aveva cercato di tenere nascosta la notizia, che però era trapelata lo stesso. Non aveva voluto curarsi, quando lo fece, fu tardi.

“Amò Ali MacGraw più di quanto avesse amato qualunque altra nella sua vita. Fino al giorno in cui morì, fu follemente innamorato di lei”, di questo si disse certo un intimo amico di Steve.

Poche settimane più tardi, Ali fu invitata alla commemorazione che la terza moglie aveva organizzato, in accordo con le volontà del defunto.

Si trattò di un ritrovo per la cerchia degli intimi dell’attore, dove ascoltare musica e bere, in ricordo dei vecchi tempi; alcuni aviatori, coi loro apparecchi, disegnarono nel cielo una croce di fumo in onore dell’amico perduto. A quella vista Ali scoppiò in lacrime e si chiese se Steve avesse capito che lei lo aveva perdonato.
Dovunque egli fosse, sperava che si sentisse amato.

Forse un giorno, questa storia diverrà un film.

Forse un giorno, molto lontano, guarderanno ad un film come noi ad un’antica terracotta decorata, con impressi semplici segni dell’unghia o bastoncini, ma intuiranno la follia dell’amore che sconvolse i cuori dei protagonisti?

“L’umanità è un flauto di canna sospeso sugli abissi”. Rumi

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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