How to make a movie. Valerio Ventura e il film Winter

Winter - Riprese -foto: James Hunter e Todd Popp

Nell’arcobaleno del genere noir, che ancora patisce la disattenzione e la perdita delle motivazioni in cui ha vissuto per molti anni, ogni nuova alba che sorge finisce per perdersi nel suo passato. Non è così per la prima regia dell’artista romano Valerio Ventura, già apprezzatissimo ad Hollywood come disegnatore e creativo, che sul crepuscolo del noir ha costruito una nuova sfida.

Avevo preso una vacanza dal lavoro ed avevo deciso di spassarmela in una maniera strana: tutti i giorni al bar. In quel periodo, a Los Angeles, stavano iniziando a diffondersi i coffee shop, così decisi di passare due settimane in uno di questi: tutti i giorni alla stessa ora con il mio laptop, scrivendo minimo 3-4 ore...

Inizia così il suo racconto Valerio Ventura, che ho incontrato per discutere del suo film Winter:

Immagina che da ragazzino passavo sempre davanti a un bar del Quadraro, il quartiere dove vivevo a Roma negli anni settanta e il 99% delle volte non avevo soldi per comprare niente e ogni volta vedevo ragazzi e uomini che erano lì e facevano lo stesso.

Vorrei poter dire che la storia del film ha avuto inizio proprio in quel bar tanti anni prima, anche se non è andata esattamente così: l’idea, infatti,  è maturata assistendo una sua cara amica, un’attrice conosciuta, alle prese con il suo primo film. Una sinergia elettiva, dunque, che questa avventura letteraria si augura di ricalcare, divenendo a sua volta un’occasione per entusiasmare altri aspiranti cineasti.

Per cominciare, un’affermazione convinta: Winter, lo short film di Valerio Ventura, costituisce l’impalcatura di un più complesso meccanismo, una sorta di work in progress che non si esaurirà in quest’opera prima.

Se per taluni aspetti è evidente la predilezione per i generi, dall’altra le modalità di approccio sono peculiari nelle intenzioni e negli esiti: ambiziose le prime, eccellenti i secondi.

Il film, ideato prima del 2000 è stato portato a termine solo nel 2008 ed ha meritato molti riconoscimenti, che si sono aggiunti agli innumerevoli premi già conferiti allo straordinario talento di questo creativo, tra cui l’Award alla regia allo Zero film festival, come anche il Purple Heart Award e lo Special Mention Award, nonché diversi altri riconoscimenti tributati al film e molti altri alla brillante produzione artistica dell’autore.

Mentre in Italia il mercato dei corti appare deplorevolmente depresso, la produzione californiana che ha portato alla realizzazione di Winter, vanta nomi magnifici: uno di questi è Gay Lawrence, produttore del film ed amico di lunga data del regista, con il quale aveva già collaborato curando i disegni e lo sviluppo visivo di famosi sequel disneyani.

“Volevo confrontarmi con la complessità della realizzazione di un film in tutte le sue fasi”, spiega Ventura nella presentazione del film su You Tube.

Vi accorgerete anche voi che, come nelle tavole dei suoi disegni (una parte della pregevolissima raccolta, la troverete  in Altereted scapes), Ventura crea nel film situazioni visive suggestive ed intriganti, girate sulla scia di due o più risonanze, per confluire in una realtà univoca, dove l’inaspettato è sempre dietro l’angolo e ne diventa la caratteristica predominante.

E comunque la storia della carriera artistica di Valerio Ventura, non ha mai cessato di incuriosirmi: da Cinecittà a Roma, giunge ad Hollywood in California e solo pochi anni dopo inizia a collaborare ad opere memorabili nel campo dell’animazione, arrivando a vincere un Emmy Award nel 2015.

Ma conoscendolo ne ho apprezzato anche l’abilità nel raccontarsi, del tutto simile al suo tratto pittorico, come quando mi ha narrato alcuni aneddoti che hanno preceduto la realizzazione di Winter, nei quali mi è sembrato di poter cogliere altrettante scene di possibili film…

La capacità di Valerio Ventura di unire la penna al talento visivo, gli ha consentito di misurarsi con il film di genere, offrendo al pubblico una generosa fruibilità dell’immagine.

Da solo ha realizzato un thriller/neo-noir appassionante che si svolge in uno scenario da incubo, dove killer spietati citano Shakespeare, mentre Winter, la letale protagonista, non perde mai il controllo, procedendo implacabile nella sua determinazione. Un cast di grandi attori che include James Garrett, un inaspettato Jeff Wolfe e Lisa Simmons splendida eroina noir.

Il film racconta il contrasto tra storia ed individuo, tra oggettività e soggettività e si conclude con una sorta di volontario martirio della protagonista.
In un quartiere “bene” di Los Angeles, Winter e il fidanzato Josh alternano una vita spericolata a momenti di estrema quiete; Winter, nonostante tutto, sa che il futuro è in pericolo e che, solo grazie alla sua abilità, potrà metterlo in salvo. Anche a costo della vita. Tanto che, quando il sacrificio è compiuto, la quiete tornerà nella realtà, anche se non dissolverà del tutto la precedente incertezza.

E se la diafana protagonista rassomiglia all’immaginario inquieto dei miti e sembra quasi confrontarsi con i domini dell’archetipo femminile, nel film affiora anche una sorta di raffreddamento intellettualistico, mentre la riflessione sui meccanismi di fondo diviene rifiuto e negazione, effetti sublimati nella storia del personaggio principale. Ciononostante il gioco viene portato fino al termine e Winter, la protagonista, non manca, nella sua scelta, di misurarsi con lo spazio infinito dell’immaginifico oscuro del suo ruolo, in cui non vengono censurati sangue, sensualità e disperazione. Da questa lettura deriva dunque la necessità di coinvolgere emotivamente il pubblico utilizzando i veicoli conosciuti (il genere) e i mezzi tradizionali (il procedere lineare della narrazione), affinché la storia non rimanga stritolata dagli ingranaggi della macchina cinematografica.

Contrapposte le figure maschili appaiono meno scolpite, ma apprezziamo  l’interpretazione del talentuoso James Garrett, nei panni del politico corrotto, con i drughi al seguito (tra cui  eccelle David Shark Fralick), come pure il personaggio del fidanzato di Winter, interpretato da Jeff Wolfe, attore californiano con un impeccabile pedigree che rappresenta l’aspetto materialistico dell’esistenza: una natura più semplice se paragonata alla complessità di Winter, sia pure nei soli dialoghi. La telecamera indugia su di lui da diverse angolazioni, e sembra rintracciare sul suo volto i tratti spigolosi di quei ragazzi di vita romani, cari al nostro cinema e di cui senz’altro il regista conserva memoria; d’altro canto la prestanza fisica di Josh – un po’ Jack the lad, un po’ amante appassionato – risalta sulla scena, contrapponendo l’ambizione esasperata per una vita lussuosa, ad ideali più borghesi, che però lo condanneranno ad un ruolo subalterno rispetto alla sua compagna.

Confesso che parlare del film Winter con Valerio Ventura, sia pure in un’intervista email, è stato quasi come poterlo incontrare in quel coffee shop di Los Angeles, dove nel 1998, quest’artista scrisse la trama del suo film….

Come nasce l’idea di affrontare la regia di un film, ed in particolare cosa ti ha spinto a scrivere la storia descritta in Winter?

L’idea di affrontare la regia è nata dalla voglia di imparare il processo di filmmaking, e quindi ho pensato ad una storia senza troppa azione che potesse essere abbastanza semplice da poterla realizzare senza sforare il mio budget. L’obbiettivo prestabilito era quello di fare un corto che sarebbe stato solo un test e non un corto che avrei cercato di vendere, un corto che potessi usare per mettere in mostra le mie abilità di filmmaker per poi farne la versione “estesa” di cui ho già pronto lo script completo.

Potresti definire Winter un genere thriller neo-noir ed eventualmente a quali varianti del canone hai scelto cui ispirarti?

Sì in effetti il neo-noir ed ovviamente il thriller sono i miei generi preferiti. L’idea di avere una protagonista donna che ha potere su tutti ma non su se stessa era il punto di partenza, come in Nikita di Besson, ma senza l’azione; ho pensato più ad un thriller psicologico in cui non fosse subito chiaro che lei è un’assassina. Winter è una killer su commissione che sta attraversando un periodo di autodistruzione, ma deve portare a termine un nuovo incarico, mentre Josh, suo amante e partner da lungo tempo, cerca per l’ennesima volta di persuaderla a rinunciare alla sua “carriera” con un’onestà brutale che Winter fatica ad accettare.
Nello stesso tempo il bersaglio di Winter, Sir Charles Barton, un membro del parlamento britannico che ha rubato ventidue milioni di dollari, scopre che il denaro è sparito. Ingannato da uno dei suoi gregari Sir Charles perde il controllo e decide di ingaggiare una escort specializzata in pratiche sadomaso, ma la chiamata viene intercettata da Winter che si presenta travestita da prostituta. Il gioco ha inizio.

Puoi raccontarci delle varie fasi della realizzazione del film ed indicare quelle salienti che ti hanno maggiormente impegnato?

Innanzi tutto è stato molto difficile girare la scena dell’Hotel a casa mia; la stanza d’albergo è stata ricostruita dove c’era la stalla del nostro cavallo… Eh si, come avrai visto nelle foto del backstage, quella non é la stanza di un albergo, ma la stalla. Mentre giravamo la scena in cui Sir Charles cammina verso Winter recitando alcuni versi di Shakespeare, il povero James Garrett continuava ad inciampare sui binari del dolly posti sul pavimento e non poteva guardare in basso perché doveva continuare a guardare Winter negli occhi. Dopo 20 ciak, James stava perdendo il senso dell’orientamento ed era completamente affannato, sia fisicamente che mentalmente, tanto che ad un certo punto aveva deciso di abbandonare la parte. Veramente non so come ci sono riuscito, ma l’ho calmato e l’ho convinto che stava facendo un lavoro geniale. Mi è stato facile dirlo perché era la verità: lui è sempre stato una delle rocce del mio progetto. In quel momento ho pensato veramente che non avrei più fatto il film. Devi sapere che io non avevo più di due o tre giorni per la preparazione e solo due giorni per girarlo. Quel giorno il grande James ha iniziato alle sette di mattina ed abbiamo finito la scena finale alle due di notte. Non so come ha fatto, è stato veramente grande.

La femme fatale, in Winter, è un personaggio complesso e affascinante, un po’ “child & vixen” (più vixen, che non child): puoi parlarci dei personaggi e della tua esperienza nel dirigere gli attori?

Certo, per il personaggio di Winter, come ho detto, ho tratto ispirazione da Besson, Tarantino, Cronenberg, Fellini, Victoria Secret e chissà pure da Jacovitti… Scherzi a parte, anche leggere un certo libro di Robert Rodriguez, mi ha riempito di energia e fiducia in me stesso.

Winter si presenta in un momento di dissidio e conflitto interiore. Lei ignora il volere dei boss e dell’agenzia facendo di testa propria e anche i
“bad guys” perdono la testa e iniziano ad agire senza una logica, perché non gli interessa più nulla, perché cominciano a capire di aver perso tutto… senza sapere che anche Winter, a sua insaputa, sta pian piano perdendo il controllo, anche se in maniera meno evidente/più sottile. In quel momento lei è come una marionetta dove i fili sono maneggiati dal subconscio e non più dai boss dell’agenzia.

Poi Jeff Wolfe ha aiutato moltissimo. Lisa in quello che era il suo primo ruolo non sapeva nemmeno come baciare un attore sulla scena, lei era molto…”green”. Lavorare con Lisa e Jeff è stato un divertimento assoluto, e poi lui è molto comico, ma allo stesso tempo anche molto serio e professionale e devo dire che non mi stupisce affatto che sia arrivato al suo livello, nella sua carriera ad Hollywood.

È stato molto bello quando ci siamo incontrati alla cerimonia degli Emmy Awards nel 2015, quando io ho vinto il Primetime Emmy Award e lui quell’anno era tra i nominati ma aveva già vinto lo stesso premio l’anno prima. Veramente una bella sorpresa.

Per un thriller la musica svolge un ruolo oserei dire fondamentale, cosa ci dici a proposito delle musiche del tuo film?

Per la musica ed il sonoro di Winter ho avuto la fortuna di avere mio fratello, Bruno Ventura, che mi ha potuto aiutare a creare una colonna sonora che riflettesse in pieno il mio stile. E, avendo lui adattato anche il sonoro, ne è venuto fuori un capolavoro. La musica crea un senso di suspense sin dal primo secondo, io non volevo che il film iniziasse lentamente, volevo più un tipo di inizio alla Spielberg in Poltergeist: appena inizia il pubblico si rende subito conto che c’è un problema, come l’inizio di una montagna russa. Per quanto riguarda un suono particolare per esempio, la sfida è stata ricreare il suono che fa il collo di Jimmy quando “lo scrocchia”, ma dopo qualche incontro abbiamo deciso di usare il suono originale, anche se inizialmente ci sembrava un po’ finto.

La trama di Winter si snoda su di uno scenario duale, che riserva a sua volta sorprese e disvelamenti: avevi previsto ogni soluzione creativa o ne sei stato ispirato a tua volta, durante le fasi della regia?

Sì, avevo previsto ogni soluzione creativa, io volevo che gli spettatori pensassero che Winter fosse una prostituta e poi volevo vedere come reagivano quando scoprivano che in realtà era un’assassina, la femme fatale. Che cos’è peggio, essere una prostituta od essere un’assassina? Darà un senso di “sollievo” scoprire che lei non è una prostituta? Molti spettatori, sai, preferiscono la violenza al sesso (io no). Cosa fa più paura alla nostra moralità? E poi ho voluto aggiungere la metafora transgender, facendole nascondere la pistola in un posto molto improbabile ma con un riferimento sessuale piuttosto ovvio. Winter ha qualcosa in mezzo alle gambe, ma che cos’è?

E poi non bisogna dimenticare che Josh è sulla via della redenzione e Winter, che sta affrontando i suoi demoni e a livello inconscio, si chiede come sarebbe una vita con Josh dove non ci sia più violenza ma solo una lunga via verso la pace. Ma la pace può anche essere la morte e nella scena finale non si sa bene se lei voglia la vita o piuttosto desideri la morte perché in quel momento lei si ritrova esattamente nel mezzo.

E questi sono solo i primi 20 minuti del film che ho scritto.

Quindi il nostro viaggio non si ferma qui: Winter, l’eroina noir, tornerà probabilmente ad impressionare la nostra fantasia, perché l’immaginario di Valerio Ventura è pronto ad una nuova sfida cinematografica.

Nel salutarlo, lo ringrazio di averci illustrato in modo così vivido il backstage del suo film e con il suo stile essenziale, semplice ma articolato, averci condotti con lui sotto il sole di Los Angeles, in quel coffee shop che vide la stesura della sceneggiatura del film…

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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