Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Leonardo Vittorio Arena: la conoscenza filosofica anziché il potere

Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Paul Gauguin

Una donna ormai anziana si stringe il viso tra le mani, un uccello ai suoi piedi ha il colore del lutto dei polinesiani e, accanto, la fanciulla che forse era stata, mentre un giovane dalle sembianze perfette coglie il frutto di un albero.
In tutto 12 figure simboliche compongono Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? il dipinto con cui Paul Gauguin volle rappresentare la condizione esistenziale della donna e dell’uomo.

Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Paul Gauguin

Ça va sans dire, un argomento di forte attualità.

Mi chiedo quanto un artista, incline alla contemplazione e senza ispide ironie, sia legato al tempo in cui vive e quanto alle immagini del passato o all’eterno ritorno.
In Tarkovskij, nel film Sacrificio, emerge questo concetto nietzschiano: l’idea che senza la morte la vita si ripeta all’ infinito. Un retroterra filosofico, da cui si innalza l’immagine poetica, scarna, contrapposta al suono.

Colei che porta la responsabilità di quest’intervista, voglio dire chi pone le domande, prima di iniziare questo dialogo si è posta un problema: l’arte è un modo di esprimere il proprio ego o rappresenta un percorso conoscitivo attraverso il quale la nostra cultura esprime la spiritualità, la natura profonda di ogni creatura?

Col mondo stretto dentro una gabbia meschina, che fa dibattere altrettanti ribelli, novelli Werther e Ortis, alle prese con l’emergenza più sconvolgente dopo le guerre mondiali, bisogna fare i conti con il presente e riflettere sul mito della fenice e quindi sulla responsabilità di un futuro migliore.

In questa intervista, il lettore se ne accorgerà, alcuni temi di fondo si accostano e si discostano, si congiungono e a volte si intrecciano.
Abbiamo la fortuna di avere con noi un ricercatore universitario, un saggista, che non è solo un grande filosofo, ma anche un artista, un musicista, un indagatore molto discreto e molto profondo delle forme dell’essere, al di là delle parole che lo definiscono.

Leonardo Vittorio Arena insegna storia della filosofia moderna e contemporanea all’università di Urbino, ha insegnato Religioni e filosofie dell’Asia Orientale e Psicologia dinamica; consulente di notissime case editrici; autore di quasi 150 testi di saggistica e narrativa, spazia tra pensiero occidentale ed orientale, tiene corsi di meditazione e unisce nella sua riflessione Nietzsche e il buddhismo, mentre ripercorre in ambito non accademico la filosofia di artisti rock come John Cage, Bob Dylan, Brian Eno, John Lennon.
Non credo si abbia bisogno di didascalie per intendere quello che potremo cogliere dalla testimonianza di uno degli ultimi grandi orientalisti italiani. Sono persuasa che la ricerca autentica, scopo della sua vita, offrirebbe un modo per aiutarci ad intuire le cose, anche se non le vedessimo scritte a chiare lettere.

Grazie Professore per aver accettato di rispondere alle mie domande. Come filosofo, ma anche come analista transpersonale, cosa pensa rappresenti questa pandemia nell’esperienza dei popoli? E a quali risorse interiori possiamo attingere in questo momento drammatico?

La pandemia è apertura al mondo, come Internet. C’è di tutto, gli opposti si rincorrono, pur nella differenza dell’accostamento. Ho sempre auspicato una filosofia del mondo. Pandemia è il riconoscimento di attenzione da parte dei popoli che pian piano stanno conquistando il mondo. La sua provenienza: la Cina. Un caso? Certo, c’è ancora molto lavoro da fare, ma sono ottimista:
un domani questa ricerca di attenzione si tradurrà in fenomeni godibili e positivi. Le risorse interiori non ce le nega nessuno. Questa occasione, la segregazione esteriore e non intima, è il momento per capire quanto di noi conosciamo. Affiorano ossessioni e fobie, i fantasmi, come nelle estati vuote, ma tutto questo fa parte di noi, come rapporto ideale con i nostri nemici interni. Più che gli amici, sarebbero questi da considerare. Vorrei aggiungere che la prossima sfida sarà forse più amara: la lotta contro le macchine intelligenti che ci contenderanno il dominio del pianeta. Non è presto per dirlo. Oggi purtroppo molti perdono la vita per il virus, domani consegneremo la nostra libertà alle macchine, computer e robot.

La malattia più grave del nostro tempo non è il virus, ma la ricerca di consensi attraverso le impressioni suscitate, attraverso il clamore: le parole volano, ma vi soggiacciono intenzioni occulte di manipolazione che mirano ad innescare lotte tra opposte fazioni, portandoci accosti ad una pericolosa guerra civile. Lei, che afferma la conoscenza filosofica anziché il potere e che ha fatto del concetto di nudo -inteso come rinuncia a qualsiasi artifizio- e del nonsense, i cavalli di battaglia della sua concezione filosofica, come ritiene ci si possa tutelare da questa infodemia?

Difficile stilare una differenza di patologie nell’ambito del pensiero, che qui mi interessa. Nel mare magnum ci orientiamo, e oggi è possibile accedere alla scatola nera, la cornucopia delle informazioni. Ricordo quando dalla provincia si doveva andare a Firenze, a Milano, ecc., per trovare un disco d’importazione. Ora le informazioni sono lì, e possiamo vagliarle. Superfluo dire che anche qui la scelta è difficile e porta a convincerci che l’inferno sono gli altri, come da Sartre. Però in Internet c’è anche il decentramento del potere, libertà di dire, anche qui con pro e contro. Non dimentichiamo, poi, l’equivoco, la categoricità della parola scritta, per cui rischiamo, come minimo, l’incomprensione dell’interlocutore. Che talvolta non conosciamo di persona. È il raddoppio del reale, in un virtuale promettente, talora fin troppo. La cautela, l’esitazione, evitare il superfluo, il ridondante sono armi a disposizione di tutti, cerchiamo di farle valere in quella che potrebbe essere la lotta contro l’ignoto, l’anonimo, ma può diventare altro.

Riporto una sensazione diffusa: la ricerca e l’ analisi dei fatti storici che prima erano valori portanti della politica, sono ora divenuti appannaggio di pochi intellettuali. Dall’altra parte si osserva un affiorare di narrazioni, distopiche e discordanti, millantate come realistiche, che di base non offrono certezze ma suggestioni…

Credo che ciò che chiamo il nonsense sia gratificato dall’assenza di nuove narrazioni credibili, come pure dal costante naufragio del politico. Max Stirner aveva individuato valori che il marxismo, purtroppo, ha eluso. Non è il pericolo, oggi, ma può ripresentarsi. La teoria del nudo, che è non-teoria, cerca di reggersi non sui punti fermi, le certezze che possono dare adito con facilità a nuovi dogmi. Lyotard aveva messo in guardia dalle narrazioni, di qualsiasi tipo. Nell’oceano dei mondi, virtuali e non, meglio andare alla deriva consapevole per trovare nuovi lidi. Se non ci saranno, pazienza, oggi più che mai la ricerca è individuale, come nell’epoca aurea del primo taoismo in Cina.

Come interpreta le proposte dei giovani filosofi (intendo quelli che hanno fra i 30/40 anni)? Una generazione, la loro, cresciuta e formata, sia come idee che come abitudini, nel trentennio in cui sono state distrutte, man mano, le conquiste sociali e sono stati glorificati nuovi parametri. Trova che siano in grado di approcciare la realtà con uno sguardo che non sia totalmente legato alla loro formazione?

Non sono molto aperto, mi rincresce, a ciò che quella generazione può apportare. Va anche detto che auspico una filosofia con agganci al mondo antico, arcaico, non direi come integrazione ai mali del presente, ma piuttosto come complemento. Preferisco rileggere Nietzsche o Schopenhauer che l’ultimo filosofo tedesco o italiano, poniamo, in quella fascia d’età. Questo nel filosofico, ma un po’  anche nella musica. Salvo i Radiohead, per esempio. Nel cinema può andar meglio, ma non qui in Italia, o qui meno. Dipende sempre da una ricerca del passato, la mia, che tenta di risalire al corso remoto dei secoli, più che al contemporaneo. Quantunque,
come Zeitgeist, vi sia legata. Vorrei rivalutare i pregiudizi, come i miei, da cui c’è molto da imparare. Non invidio i recensori degli ultimi romanzi o saggi in commercio. Li rimanderei, se non ai Classici, agli ultimi momenti degni di nota della letteratura mondiale. Che non sono questi. Mi pare che la filosofia sia alla fine, ma anche questo può essere ben visto dal nonsense.
A che pro studiare filosofia a scuola, riducendola a un insieme di nozioni inutili, mnemoniche? È la generazione di cui si sta parlando, quella dei Bignami filosofici, e con tutto il rispetto per Bignami che aveva colto qualcosa. Meglio togliere filosofia dalle scuole, e dalle università, dove si estende il monopolio della filosofia della scienza, una filosofia che non pensa, come avrebbe detto Heidegger.

A proposito della condizione delle arti e della filosofia nell’Oriente attuale: cosa accade in India, ad esempio, o in Cina? Cosa si è perso? Cosa si è guadagnato? Cosa è diverso dal passato?

Mi chiedono spesso questo, quando parlo di filosofia orientale. Non dico sia mal posto, ma, nel mondo, oggi, c’è poco interesse per la filosofia. Io poi studio la Cina e l’India antica, non le loro brutte copie, stolide emulazioni dell’Occidente – Stati Uniti, poi, perché la vecchia Europa è al capolinea.
Da conoscenze e amici cinesi e giapponesi, vedo che la filosofia non trova spazio, e parlo di persone colte. Un tenore cinese conosceva tutti i grandi cantanti lirici italiani, ma stentava a parlare di Confucio! In Giappone va un po’ meglio, e fino agli anni 50 del secolo scorso ci sono state ottime filosofie, come quella della Scuola di Kyoto, Nishida e altri. Ma sono eccezioni. In India ci sono stati i guru, nel secolo scorso, penso ad Aurobindo, Krishnamurti, Nisargadatta, ma poco o niente di filosofi stipendiati, accademici. Nelle arti abbiamo avuto opere molto valide, al cinema o in pittura, l’avanzata della Corea per esempio, Kim Ki-duk e altri. Mondi in parte ancora da scoprire. Il confronto con il passato, però, in genere, è impietoso, a scapito del presente. Il romanzo, ecco, in Cina e in Giappone, ha avuto momenti felici, Acheng, Mishima e altri. Per secoli la filosofia in questi ambiti si è annidata nelle opere che diremmo letterarie, quindi c’è continuità con il passato. Si è persa l’identità culturale, in molti casi, non nei nomi citati. La globalizzazione ha avuto effetti disastrosi, com’era evidente. Del resto, qual era l’alternativa? La riproposta di un passato glorioso? Sì, di certo accattivante, ma frustrante per la creatività. Ah, la musica giapponese contemporanea è interessante, Lì c’è l’equivalente estetico di una filosofia del mondo. Sakamoto e (pochi) altri.

Lei è un filosofo, ma anche un musicista compositore: quale il ruolo della sua arte nella contemporaneità?

Qui balziamo nell’oggi: mi piace non essere nel passato o nel presente a tutto tondo, e nel nonsense le distinzioni temporali vengono vanificate, o ammesse a scopo orientativo. La mia musica risente del nudo. Per la maggior parte è improvvisata e questo ha a che fare con il nostro tempo: io sono qui, nel retaggio dei gruppi e degli artisti che mi hanno formato nel corso degli anni. Il mio strumento principe è il sintetizzatore, che uso anche, virtuale, nell’ipad. Ho realizzato un sogno adolescenziale: avere tutti i migliori synth in commercio nei 70, ora dentro Ipad. È un vantaggio dei nostri tempi: certo, sono app del valore di pochi euro l’una, ma offrono quello che si vorrebbe in suono e prospettiva. Amo il campionamento e se un koto virtuale suona bene non vedo perché dovrei comprarne uno “reale” e investire tempo, tanto, per suonarlo. Anche la musica dev’essere del mondo: non buttiamo via nulla dell’eredità europea, ma filtriamola con strumenti “esotici”, come i giapponesi fanno da tempo, con un medley di Oriente e Occidente. Questa è la strada, di nuovo del nonsense. Senza steccati, senza illusioni. Il paradosso: siamo dentro le nostre stanze, ma con la musica penetriamo nel padiglione cosmico e programmiamo un riff di 7/16 sulla batteria elettronica destinando l’assolo a uno shamisen campionato o allo shakuhachi. Il filosofo musicista ha più chance. Credo alla interazione dei due ambiti, e diffiderei di un filosofo che non sapesse suonare o non amasse la musica.

E infine, una domanda attinente al percorso intimo di ciascuno di noi, che il pittore Gauguin dipinse nei paradisi polinesiani: esiste un paradiso dentro di noi, esiste un inferno? Da dove veniamo? Chi siamo ? Dove andiamo?

Questo mi porta all’altro mio grande interesse, sviluppato da tempo: la meditazione. Con questo strumento, artistico a suo modo, possiamo scoprire molto di noi stessi: per esempio, il nemico interno, che, collaborando, può diventare l’opposto, l’inferno e il paradiso. La meditazione è la nostra indagine fenomenologica del reale, delle nostre percezioni, gli stati d’animo e molto altro. La concepisco come meditazione creativa e propongo viaggi negli stati di coscienza alternativi. Le domande conclusive spingono a una risposta nuda: veniamo, siamo e andiamo. Talvolta, dice il nonsense, non ci basta e corriamo dietro al cespuglio per cercare ciò che vi avevamo nascosto noi stessi. E ce ne meravigliamo: l’avevamo dimenticato. Ma il senso celato siamo noi, siamo noi la grande illusione che è anche la scoperta delle cose come sono. Lo hanno detto in molti, ma vaghiamo ancora “nella landa dell’ampio Nulla”. E, peraltro, ne godiamo.

immagine per Leonardo Vittorio Arena
La via del risveglio, Leonardo Vittorio Arena

Note:
Per chi volesse approfondire l’opera di Leonardo Vittorio Arena, indichiamo a seguito una bibliografia essenziale:
In ebook:
Nonsense o il senso della vita
Note ai margini del nulla
Togliersi le idee
Il Tao del non suono
Sul nudo (Mimesis).
Considerando la brevità di questo nostro omaggio, ci sentiamo di suggerire al lettore che si interessi di ricerca filosofica di consultare il catalogo completo delle pubblicazioni dell’autore.

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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