Ted Neeley. Non solo Jesus Christ Superstar.

Hair - foto originali

Le luci della ribalta si sono appena spente sulle scene del musical Jesus Christ Superstar, giunto al termine del secondo anno della sua tournée teatrale in Europa, un’istantanea di un sipario che non si vorrebbe chiudere, su di un’avventura di cui è difficile ancora farsi un’idea. Uno spettacolo indimenticabile, che ha sorprendentemente raggiunto tutti gli angoli della penisola, affascinando i nostalgici, ma anche i non appassionati di teatro.

Ma a volte tutto accade molto in fretta ed allora la velocità del tempo appare troppo rapida e devi accontentarti di descrivere ciò che sta avvenendo, anziché tentare di darne una spiegazione.

Sulle note di quest’opera abbiamo cantato quasi tutti, giovani e meno giovani, chi perché ancora ci si emoziona al ricordo del film, chi per l’entusiasmo e la bravura di questo cast di talenti straordinari, dispiegati da una produzione lungimirante.

Entrambe i motivi coesistono in una realistica disamina, ma è indubbio che non sia stato solo uno spettacolo, anche se, negli anni a venire, questo  capitolo della storia del teatro, brillerà negli annali italiani perché si è trattato di un vero e proprio fenomeno di costume, grazie soprattutto all’accoglienza dei suoi estimatori e c’è da scommettere che anche questo straordinario tour on stage, rimarrà scolpito nella memoria di molti, come è accaduto per l’omonimo film. Sintetizzando, non solo un ruolo scenico, ma storico e sociale.

E senz’altro è stato decisivo per la sua fortuna il compiersi del miracolo tanto atteso: Ted Neeley, l’indimenticabile Gesù della famosa opera rock, due anni fa era sbarcato in Italia per prendere il suo posto nello show. E se Carl Anderson, il compianto Giuda del film originale, aveva già calcato i palchi italiani, per convincere Ted Neeley erano occorsi invece tanti anni.

Un grande nuovo esordio, per un artista che sembra non invecchiare mai, che ha conquistato gli spettatori di mezza Europa e si è anche preso un posto speciale nel cuore dei suoi ammiratori italiani. Attimi di delizia e delirio, con un pubblico affascinato dalla sua voce, tra entusiastici apprezzamenti e standing ovations a questo interprete di Gesù con gli occhi azzurrissimi, che si è rivelato all’altezza della sua leggenda.

Batterista e cantante rock, hippy della prima ora, anche adesso, a 71 anni, la sua tempra inesauribile ci ha donato un grande momento di aggregazione, abbattendo tutte le perplessità che aveva destato il fatto di presentare un Jesus di età non più adeguata al ruolo.

Prova dell’affetto, una moltitudine di fans vecchi e nuovi affolla i suoi meet and greet (gli incontri con il pubblico a sipario calato), a guisa di cenacoli oramai ambitissimi, dove lui dispensa abbracci, consigli e simpatia, seguito dalla sua schiera di followers che lo accompagna fedele nei teatri di tutta Italia.

Un fenomeno di cultura, ma a anche di costume, un momento di grande comunicazione, che vede coinvolto un pubblico di ogni età.

Ed anche ora, che si sono spenti i riflettori attorno alle esuberanti scenografie di Jesus Christ Superstar, tra applausi scroscianti ed ovazioni infinite, provo un po’ di tristezza e verrebbe davvero voglia di cantare quella canzone del film Could we start again, perché tutto  potesse ricominciare magicamente.

Dopo tanti fasti, nel silenzio che seguirà fino ad un nuovo, prossimo, evento, forse la figura di Ted Neeley prenderà contorni ancora più nostalgici e molti inganneranno la malinconia ascoltando le sue canzoni, non tutte appartenenti all’opera Jesus Christ Superstar.

Perchè musicista ed interprete, Neeley, lo era già stato, prima del film di Norman Jewson ed aveva riscosso successi e plauso anche in altri ruoli.

Ma sopratutto, questo caloroso entusiasmo tributato all’edizione italiana di JCS, mi ricorda l’emozione corale suscitata da un’altra opera teatrale, che muovendo da Broadway, era stata rappresentata nelle più importanti città degli Stati Uniti, poi a Londra ed in Australia.
Correva l’anno 1967 e quell’opera era Hair, due anni più tardi, uno dei personaggi principali, Claude, il contrastato hippy del musical, avrebbe avuto il volto di Ted Neeley.

Ecco allora che un altro baluginio più segreto, ma non meno sfavillante, si accende nella memoria: non fatico ad immaginare Ted come quel giovane cantante di allora e non posso fare a meno di chiedermi se avesse sempre avuto quello sguardo tenerissimo e risoluto al contempo.

Hair fu una produzione teatrale molto fortunata negli Stati Uniti, in un’epoca in cui la crisi dei valori e dei costumi, nonché gli orrori di una guerra aborrita, rendeva gli animi tumultuosi. Questa pièce fu conosciuta in Italia sopratutto grazie al film omonimo, nel 1979, quando oramai l’ardore della rivoluzione hippy si era via via chetato. E probabilmente la storia dei due protagonisti (Claude e Berger, i due personaggi in cui gli autori del musical si erano riflessi), vista sul palcoscenico, poteva offrire tutt’altra suggestione.

Così, quando una cara amica di Ted Neeley ha accettato di rievocare, per i lettori di art a part of cult(ure), il suo incontro con il celebre cantante, avvenuto sul set di Hair, è stata una gioia inaspettata. Non capita tutti i giorni di avere una testimone speciale, che possa schiudere uno spiraglio nella storia e descriverci lo spirito del tempo. E lei, che era già militante in quelle folle di sognatori avversati, fu poi una spettatrice, ma anche un’aspirante interprete di quelle rappresentazioni che fecero la storia della musica, da Woodstock ad Hair.
Grazie alla sua preziosa testimonianza, possiamo oggi conoscere Ted Neeley da ragazzo e con lui gli entusiasmi ed i sogni di un’ intera generazione.

Il suo nome è Roberta Potter, che molti affezionati fans di Ted Neeley conoscono come Bobbie, che ci accompagnerà in questa recherche con  grazia e simpatia.

Grazie di aver accettato di rispondere alle nostre domande, Bobbie, ti siamo molto riconoscenti della tua disponibilità nel parlarci del cantante, nonché tuo grande amico, Ted Neeley. I tuoi ricordi risalgono, come sappiamo, ad un periodo anteriore al mitico film, puoi raccontarci come avvenne il vostro incontro?

Certo, ma per farlo dovrò parlarti delle produzioni live di quel tempo. Era il 1969, vivevo a Chicago ed in quei giorni avevano iniziato le audizioni per i personaggi del musical Hair (che fu rappresentato contemporaneamente in vari stati, dopo la prima avvenuta Off Brodway nel 1967, n.d.R.) e questo avveniva a soli cinque isolati da casa mia; a quel tempo ero attrice in un gruppo teatrale e partecipare all’audizione fu come trovarsi ad “America Idol” (la trasmissione televisiva statunitense che si prefigge di scoprire nuovi talenti, n.d.R.), ma quando ascoltai gli altri artisti cantare, mi resi conto di non poter competere con loro. Confesso che non fu solo questo a scoraggiarmi; una cosa, in particolare, mi indusse a tornarmene a casa… Infatti mi chiesero se avessi problemi con la nudità sul palco…(ride).

Ricordo di aver letto che ci furono molte polemiche a causa di questo,  durante la messa in scena degli spettacoli, ma che i temi scelti dagli autori James Rado e Jerome Ragni, erano quelli della rivoluzione sessuale, della pace e della cultura hippy in generale…

È quasi impossibile parlarne così, senza avervi assistito. Lo spettacolo era talmente bello e coinvolgente che semplicemente non  facevi caso alla nudità, perché tutto avveniva con molta armonia e quel che contava erano le emozioni per la rappresentazione nel suo insieme. Vi tornai ogni week end, perché  rimasi affascinata dall’opera, dai personaggi e da tutta quella gente che concorse a rendere possibile questo lavoro e che fu nota in seguito come la tribù di Hair. Ma non fu lì che conobbi Ted.
Poco tempo dopo, infatti, io ed il mio fidanzato partimmo per un road trip da Chicago alla California e, arrivati a Los Angeles, grazie ad un’amica, avemmo i biglietti omaggio per un’altra rappresentazione di Hair, in scena all’ Aquarius Theater.
Quando lo show iniziò, ero emozionata come la prima volta che vi avevo assistito; il giovane che interpretava Claude emergeva sulla scena e c’era qualcosa di diverso in lui, rispetto agli attori che avevano interpretato lo stesso personaggio.
Questo giovane uomo era Ted Neeley.
Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso e la sua voce era meravigliosa. In seguito ho visto molti documentari ripresi durante quella rappresentazione, ma a mio parere niente era paragonabile al potervi assistere dal vivo. Inoltre, vedere Ted Neeley recitare in Hair, era come avere di fronte a te il personaggio e non l’attore. Ted era davvero Claude.
L’unica cosa che potei dire al mio fidanzato fu:

Ne sentiremo parlare ancora molto di questo ragazzo!”.

A questo proposito volevo chiederti se le due esperienze (filmica e teatrale) furono per te interessanti allo stesso modo.

Beh, naturalmente quando il film uscì ne fui contenta, ma si trattava solo di un film e non poteva avere lo stesso impatto delle produzioni live e mai ne avrà. Una  caratteristica di quelle rappresentazioni era che il pubblico aveva l’opportunità di partecipare allo show. La tribù di Hair faceva in modo che ti sentissi parte dello rappresentazione assieme a loro. Era un’avanguardia teatrale ed uno spettacolo coinvolgente. Ci furono anche degli aspetti divertenti, ad esempio il fatto che certa gente avesse comperato i biglietti solo per assistere alle scene di nudo o magari per criticarle. Ma come ti ho già detto, le scene di nudo non erano assolutamente offensive e non c’era in esse alcuna volgarità.
Credo di essere stata molto fortunata per aver potuto seguire le rappresentazioni per tanto tempo, anche se non dimenticherò mai quella volta in cui Ted Neeley interpretò Claude: come pochi riuscì a rendere  l’emozione , il senso di destrutturazione e la depressione dei ragazzi di quel tempo.

Se ben ricordo, la storia narrava della scelta del giovane Claude, che, in procinto di partire per la guerra, rimaneva invece suggestionato dai temi pacifisti  e dalla cultura hippy… e da quel che mi dici, Ted Neeley  si rivelò convincente anche in quel ruolo, al pari di quello che è accaduto con Jesus.  Fu quello il giorno in cui lo conoscesti?

Fu esattamente così. Come ti ho già detto, io ed il mio fidanzato avevamo avuto in regalo i biglietti per l’ Aquarium Theatre di Los Angeles, grazie ad una ragazza che lavorava nella produzione. E fu la stessa che ci invitò in seguito a conoscere il cast nel backstage. Ricordo ancora oggi, con emozione, quando fui presentata all’attore che impersonava Claude. Fui molto contenta dell’atmosfera che si respirava lì, di grande cordialità e simpatia. E non mancarono momenti  molto teneri e commoventi: ero talmente felice che raccolsi una piuma da terra, sai di quelle indossate dagli artisti in scena? Se hai visto le foto dello spettacolo, ricorderai che Ted aveva una piuma tra i capelli; quella sera era stata lasciata accanto a dove sedevamo: era una moda di quel tempo intrecciarle tra i capelli, ma anche una manifestazione di sostegno alle antiche stirpi nativo americane. Ero titubante, ma poco dopo mi accorsi che ce n’ erano parecchie sparse sul pavimento ed allora ne raccolsi una, che conservai per ricordo di quel giorno. Avevo la sensazione netta di stare vivendo un momento importante.
In seguito, fummo invitati al party che le maestranze avevano organizzato dopo lo show e fu in quell’occasione che ebbi la prima lunga, meravigliosa conversazione con Ted Neeley, che a quell’epoca aveva solo 26 anni. Ne ricevetti una grande impressione, mi sembrò che la sua anima andasse al di là delle normali anime. Mi parlò a voce bassa e la sua attenzione era totale, mi sembrò una persona molto profonda e spontanea.

Se dovessi descrivere Ted Neeley, a quel tempo, con tre aggettivi, quali sceglieresti?

Brillante dotato, intuitivo.

Cosa puoi raccontarci a proposito della sua interpretazione in Hair?

Ted e pure il resto del cast furono bravissimi, ma rispetto a quelle viste in precedenza, l’interpretazione che ne offrì Ted fu di gran lunga la migliore, anche migliore di quella di James Rado, uno degli autori, che pure aveva interpretato Claude, a Los Angeles e che poi Ted aveva sostituito. Anche le musiche erano magnifiche!

Ne convengo, anche se, curiosamente, Galt Mc Dermott,  che le aveva composte, sembrava che fosse un personaggio meno affine alla sfera degli hippies di quel tempo…

Quel che posso dirti è che Hair è un’opera destinata a tutti, cui collaborarono talenti incredibili e che non era necessario essere hippy per apprezzarla o per prendervi parte. Tutto il lavoro realizzato fu esaltante e Neeley era davvero calato nel personaggio che stava interpretando e non dava l’impressione che stesse recitando, ma che stesse vivendo un’esperienza, momento, dopo momento sulla scena… nessuna azione era meccanica o scontata. C’era grazia, armonia e partecipazione. Poi la sua voce era meravigliosa. Capii immediatamente che sarebbe andato molto avanti e quella sera lasciai il teatro desiderando di riascoltarlo molte e molte volte ancora. Confesso che le rappresentazioni teatrali mi hanno sempre entusiasmata moltissimo, ma quella la ricordo tra le più emozionanti della mia vita.

E dimmi, Bobbie, ritieni che Ted Neeley sia cambiato durante questi 47 anni della vostra amicizia?

Assolutamente no! Ed è molto strano: quando ci dicemmo arrivederci nel 1969, una delle cose che non dimenticherò mai, fu quello che disse:

Sai, potremmo rivederci la prossima settimana, o il prossimo anno o non vederci affatto per diversi anni, ma riprenderemo sempre da dove ci siamo lasciati”.

Ed ebbe ragione, infatti non ci vedemmo sino al 1993, quando lui e Carl Anderson furono a Fresno per interpretare i loro ruoli in JCS. Poi ci reincontrammo nel 2013, quando, con mio marito, mi recai a Sacramento, in California, per l’anniversario del film JCS e… cosa posso dirti?  Fu davvero come se ci fossimo lasciati il giorno prima!
Era lo stesso uomo che avevo incontrato nel 1969, certo un po’ più vecchio: gli anni sono passati per entrambi, ma la sua personalità era rimasta la stessa di allora. Ancora oggi non posso pensare ad alcun altro per quel ruolo di Jesus. E pensandoci bene, no: secondo me Ted non è cambiato neanche interpretando Gesù. Suppongo che in cuor suo sappia che qualche cosa è successo, nel modo in cui i fatti si sono svolti, facendolo diventare uno degli attori più conosciuti al mondo, grazie a quel ruolo. Ma non sa spiegarsi ancora perchè sia andata così. E direi che, se anche dentro di sé un cambiamento fosse avvenuto, è stato possibile grazie a ciò che già era come essere umano. Forse per questo ha potuto esercitare, nel corso della sua vita, un’influenza benevola su tutti coloro che ha incontrato, amici, ammiratori o solo spettatori delle sue rappresentazioni.

Concludiamo salutando Roberta Potter, ringraziandola per averci reso partecipi della sua esperienza, ma sopratutto per averlo fatto con la stessa  spontaneità di quella ragazza che aveva raccolto la piuma sul palco, tanti anni prima.

Hair infranse i tabù di quel tempo e, con essi, il velo di Maya: abbiamo incontrato un Ted Neeley diverso, meno Jesus, ma straordinariamente coerente e brillante nelle sue doti di attore, cantante ed essere umano: anche noi abbiamo raccolto la nostra piuma della memoria, soffice e lieve abbastanza da permettere ai nostri ricordi di volare.

 

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Fulminata sulla via della recitazione a 9 anni, volevo fare la filmmaker a 14 e sognavo la trasposizione cinematografica dei miei romanzi a 17. Solo a 18 anni ho iniziato a flirtare col cinema d'autore ed a scrivere per La Gazzetta di Casalpalocco e per il Messaggero, sotto lo sguardo attento del mio​ indimenticato​ maestro, il giornalista ​Fabrizio Schneide​r​. Alla fine degli anni 90, durante gli studi di Filosofia prima e di Psicologia poi, ho dato vita ad un progetto di ricettività ecologica: un rifugio d'autore, dove gli artisti potessero concentrare la loro vena creativa, premiato dalla Comunità Europea. Attualmente sono autrice della rubrica "Polvere di stelle" sul magazine art a part of cult(ure) e collaboro con altre testate giornalistiche; la mia passione è sempre la sceneggiatura, con due progetti nel cassetto, che spero di poter realizzare a breve.

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