Rubens, Van Dyck, Ribera. La collezione di un Principe. Palazzo Zevallos Stigliano, a Napoli

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Peter Paul Rubens (Siegen, Vestfalia 1577 – Anversa 1640) Banchetto di Erode, 1635-1638 ca olio su tela, 208 x 272 Edimburgo, National Galleries of Scotland

Negli spazi di Palazzo Zevallos Stigliano, a Napoli, sede museale di Galleria d’Italia, è allestita fino al 7 aprile 2019, la mostra Rubens, Van Dyck, Ribera. La collezione di un principe.

L’obiettivo dell’esposizione è di riproporre la collezione di Jan e Ferdinando Vandeneynden e di Gaspar de Roomer, mercanti e finanzieri fiamminghi attivi nella città partenopea nel Seicento, con una particolare attenzione alla storia del collezionismo, ai gusti estetici dell’epoca e alle nuove correnti artistiche che influenzeranno, in seguito, anche la scuola pittorica napoletana.

E’ un approccio multidisciplinare che si sviluppa su un duplice binario, da una parte una lunga attività di ricerca scientifica, con una ricostruzione meticolosa archivistica e documentaria delle vicende dinastiche ed ereditarie della famiglia Vandeneynden; dall’altro, la ricerca estetica di acquisire dipinti con nature morte, paesaggi, battaglie, eventi religiosi e mitologici.

Sono 36 opere provenienti dalle più importanti istituzioni culturali nazionali e internazionali, a cui si associano una selezione di dipinti e sculture della stessa Galleria d’Italia, per ricreare gli ambienti del piano nobile dove era anticamente conservata la collezione appartenuta alla famiglia fiamminga, che visse nella sontuosa dimora dagli ultimi decenni del Seicento.

L’inventario del 1688 registra oltre trecento dipinti, tra cui esemplari di Francesco Albani, Paul Bril, Jan Brueghel, Caravaggio, Aniello Falcone, Luca Giordano, Jan Miel, Mattia Preti, Nicolas Poussin, Jusepe de’ Ribera, Salvator Rosa, Pieter Paul Rubens, Massimo Stanzione, Andrea Vaccaro, Anton Van Dyck, numerose opere di altri maestri, per lo più fiamminghi.

Ad accogliere i fruitori nel percorso espositivo sono i dipinti del XVII e XVIII secolo, con la svolta naturalistica impressa dall’arrivo di Caravaggio a Napoli, fino ai fasti dell’età barocca con le opere di Luca Giordano e Francesco Solimena.

Si susseguono nelle sale, i maestri che hanno reso celebre Napoli, Mattia Preti presente con San Giovanni Battista ammonisce Erode, con Banchetto di Erode e Decapitazione di San Paolo, dipinti di caratura religiosa, con ricchezza e cura nella definizione dei particolari, che puntano ad esaltare l’aspetto decorativo dell’insieme, con il risultato di rendere il racconto in un tono profondamente mondano, ed evidenziano una abilità tecnica che doveva risultare particolarmente apprezzata dai numerosi committenti, nobili o borghesi.

Del pittore napoletano Luca Giordano, sono, invece, i due dipinti Piscina Probatica (la guarigione del paralitico) e Nascita di Venere, in cui si affronta diverse tematiche, dalla religione alla mitologia, dal sacro al profano.

Non potevano mancare le opere di un grande pittore spagnolo molto attivo nella città partenopea nella prima metà del 1600, Jusepe de Ribera, autore del Sileno ebbro, acquistata, dopo la morte dell’artista, dal mercante Gaspar de Roomer e, successivamente annoverato nella collezione dei possedimenti napoletani dei Borbone, e la tela del San Girolamo.

I dipinti rievocano una chiara impronta caravaggesca napoletana e si stagliano tra i massimi capolavori del periodo, i cui virtuosismi raggiunti anticipano quelli che verranno acquisiti definitivamente solo a partire dal terzo decennio del Seicento. I passaggi chiaroscurali sono meno evidenti rispetto alle prime opere del pittore, dove il contrasto tra luci e ombre appariva più definito e accentuato.

Molto interessanti sono alcuni dipinti mai esposti in Italia come La merenda di Jan Miel, proveniente dal Museo del Prado di Madrid, e i due Jan Fyt di collezione spagnola (González de Castejón Silva). Inedite sono le opere di Cornelis de Wael, con Scena di porto, Erode con la testa del Battista attribuita a Orbetto, e la Tentazione di Adamo ed Eva di Vincenzo Gesualdo. La presenza di molte opere fiamminghe nel circuito napoletano era dovuta ai rapporti di parentela che legavano la famiglia Vandeneynden a quelle di diversi artisti fiamminghi, i Brueghel, i de Wael e i de Jode, attivamente impegnati nel mercato dell’arte. Tale fitta rete di relazioni favorì la formazione delle due maggiori raccolte napoletane del XVII secolo.

Da una sala all’altra, la collezione segue un ordine cronologico e si giunge alla sezione dedicata al vedutismo, genere che ebbe a Napoli uno sviluppo straordinario nel corso dell’Ottocento.

Si apre con le tele di Gaspar van Wittel, Veduta di Napoli con largo di Palazzo, di una eccezionale precisione topografica, di impostazione prospettica e di accurata definizione dei luoghi, lontana dal paesaggio fantastico. Una cospicua raccolta di dipinti, in piccolo formato, di Anton Sminck Pitloo, che abbandona l’indagine del vedutismo d’impronta classicista e approda a un’osservazione del dato naturalistico decisamente romantica, caratterizzata da una sensibile attenzione alle vibrazioni della luce e dei colori, e dalle suggestioni personali derivanti dall’osservazione diretta dei luoghi. Della stessa caratura sono i due acquerelli di Giacinto Gigante. Essi testimoniano la splendida stagione della Scuola di Posillipo che anticipa i risultati innovativi della più tarda Scuola di Resina e degli originali interpreti che, sul finire dell’Ottocento, accolsero le sollecitazioni dei Macchiaioli e degli Impressionisti.

Le poetiche suggestioni del paesaggio mediterraneo lasciano spazio, a chiusura del XIX secolo, al crescente interesse verso brillanti scene di vita moderna che si distinguono per un gusto pittorico schietto e sincero, teso ormai verso più moderne forme espressive. L’apice di questa poetica è visibile nella vibrante luminosità della Dama col ventaglio di Domenico Morelli, capolavoro pervaso di umori decadenti.

La mostra si conclude con un nucleo di opere di Vincenzo Gemito. Terrecotte, bronzi e disegni che dagli anni Settanta dell’Ottocento agli Venti del Novecento, documentano la straordinaria parabola dell’artista; un percorso intrecciato con il dramma personale di una esistenza minata da profondi squilibri psichici che comportarono lunghe interruzioni dell’attività creativa.

Info mostra

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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