Alfredo Maiorino. Giallo Camera allo Studio Trisorio, Napoli

Alfredo Maiorino. ph Francesco Squeglia

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista “Cognitive Science” da un gruppo di ricercatori dello University College di Londra e dell’Università di Bangor nel Regno Unito, guidati da Hugo Spiers, gli architetti, gli scultori e i pittori descrivono lo spazio in modo differente rispetto alle persone che hanno scelto e svolgono altre professioni.

Gli architetti tendono a descriverlo attraverso barriere e confini, mentre per i pittori è un’immagine bidimensionale. Il punto più lontano nello spazio, inoltre, è la “fine” per i primi e lo sfondo per i secondi. Gli scultori, invece, hanno una percezione delle immagini intermedia rispetto alle altre due categorie.

I soggetti che sono già inclini a vedere il mondo in due dimensioni hanno un maggiore talento per la pittura e quindi intraprendono con più frequenza questa strada anche professionalmente, mentre chi tende a focalizzare la propria attenzione sui confini dello spazio ha più chance di riuscire nel campo dell’architettura.

Tutti questi dati, alcuni molto discutibili, sono spunti di riflessione non solo per i ricercatori, ma anche per gli artisti.

Un approccio che va oltre il confine e il bidimensionale della ricerca scientifica è quella dell’artista Alfredo Maiorino (Nocera Inferiore, 1966), docente di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, che esprime il suo punto di vista nella mostra, Giallo Camera, nelle sale dello Studio Trisorio a Napoli, fino al 30 marzo 2020, già nell’anno 2015 era stato accolto con una personale dal titolo Ri-Velare.

Il giallo invade l’ambiente segnando lo spazio e diventa simbolo di un territorio magico, quello dell’arte, luogo rischioso di avventure e di pericoli, di proiezioni e di possibilità, di figurazione e di desideri. Il colore è il termometro cromatico di esperienza e di ambiguità, nel suo moto oscillatorio tra ascesa e precipitazione, solare e tramontante, prezioso e funesto, risplendente e declinante.

Il percorso espositivo si articola su una doppia scala, percettiva e spaziale, tra tensione architettonica e ricerca pittorica, dove emerge un dialogo fra “contenitore” e “contenuto”. Anche la galleria si trasforma e riproduce le caratteristiche “scatole pittoriche” dell’artista su grande scala. Entrando nelle sale, si attraversa la tridimensionalità dello spazio, le sue modulazioni e la sua luminosità, esplorando le profondità geometriche e cromatiche, in un seducente processo di riflessione e di rifrazione.

Le opere di Maiorino conservano gli elementi strutturali della pittura, il colore, la preparazione e il disegno, che sono assemblati in uno spazio a tre dimensioni, manifestandosi nel fondo delle superfici sotto-vetro che nascondono e rivelano un alfabeto di geometrie.

Dal fondo e dalle cornici scure, attraverso il vetro opacizzato emergono una serie di forme, intuite, ma non rivelate. Sono oggetti che determinano straniamento, che ingannano la percezione visiva, oscillano verso l’interno della cornice e verso l’esterno, in direzione dell’osservatore.

L’opacizzazione innesca un senso di sospensione, di inquietudine, simile alle fotografie della serie Tokyo Compression dell’artista Michael Wolf, incentrate sullo stato mentale e sulle condizioni delle persone nella metropolitana di Tokyo; volti schiacciati contro i vetri delle porte automatiche che sembrano annaspare dietro la condensa del vapore acqueo.

I lavori dell’artista nocerino sono una trasposizione visiva della teoria della Gestalt, corrente psicologica basata sui temi della percezione e dell’empirismo. Ciò che eravamo abituati ad osservare con certezza e consapevolezza, in maniera nitida e decisa, ora ci appare diverso, un enigma tra il riconoscibile e il non visibile. Una apprensione e una mancanza di messa a fuoco che genera tensione, alienazione, priva di qualsiasi punto di riferimento.

Alfredo Majorino. ph Francesco Squeglia

La gamma cromatica delle forme geometriche genera una luminosità che si frantuma nei vetri opacizzati, in antitesi all’involucro che le contiene. In effetti, Giallo camera, è un’opera site specific che nello Studio Trisorio, traduce in esperienza fisica e cognitiva il processo di costruzione del manufatto artistico, spostando in un contesto abitabile l’attenzione sull’assenza e sulla presenza di esso.

Come afferma Marcello Francolini, nella sua critica alla creatività di Maiorino: “mira a colmare quel famoso “Horror Pleni” diagnosticato come ultima malattia da quel medico dell’estetica che era Gillo Dorfles, che ammoniva la necessità di pausare, eletto a strumento di ribellione dell’uomo del Duemila». Dorfles dedica un’approfondita analisi a tutta quella scoria sensoriale e massmediatica che appesantisce il nostro quotidiano. Una soluzione è darci volontariamente dei limiti, contro la vertiginosa corsa alla ripetitività delle immagini, alla eccessiva velocità, all’inarrestabile marea di suoni, di rumori, che rendono ogni giorno più intollerabile la società nella quale viviamo.

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Luca Del Core, vive e lavora a Napoli. E' laureato in "Cultura e Amministrazione dei Beni Culturali" presso l'Università degli Studi "Federico II" di Napoli. Giornalista freelance, ha scritto per alcune riviste di settore, per alcune delle quali è ancora redattore, e attualmente collabora con art a part of cult(ure). La predisposizione ai viaggi, lo porta alla ricerca e alla esplorazione delle più importanti istituzioni culturali nazionali ed internazionali, pubbliche e private.

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