Tra elefanti e Paralipomeni va in scena l’amore secondo Ivan Talarico

Chi fermerà la musica?” si chiedevano qualche decennio orsono i Pooh. Quella di Ivan Talarico, appena andato in scena al Teatro Vascello non sono riuscite a fermarlo né il guasto tecnico che ha mandato in tilt la biglietteria, complicando l’assegnazione dei posti e ritardando l’inizio del concerto, né le casse gracchianti. Il concerto, anzi lo sconcerto come suggerisce lo stesso artista, Il mio occhio destro ha un aspetto sinistro va in scena. E alla grande.

Il titolo del concerto spettacolo lascia aperte molte e variegate interpretazioni soprattutto se si è completamente a digiuno dell’opera di Talarico. Nessuna, o quasi, però sarà quella giusta al cento per cento. Cantantautore, poeta o performer?

Difficile, anche al termine dello spettacolo, incasellare in maniera univoca e definitiva questo giovane artista lecchese. Alla musica si affianca la poesia, il tutto in un continuo cammino sul sentiero del non sense e dell’ironia leggera. La parola, prima ancora che la canzone, è l’arma di Talarico.

Quella con cui arriva al pubblico senza filtri e senza macchinazioni. Ricercate o quotidiane, inventate o reali che siano, infatti, le parole divorate velocemente davanti al microfono e talvolta accostate in maniera insolita e imprevedibile tra loro  creano e raccontano quasi un alfabeto dell’incomunicabilità umana e permette all’affabulatore Ivan Talarico, di tenere lo spettatore incollato alla poltrona per oltre un’ora raccontando con maestria quanto di insondabile e inconoscibile ci sia al mondo: l’amore e l’animo umano.

Se ci si aspetta, però, la melensa retorica cui la musica leggera italiana ci ha abituato negli ultimi anni  si rimane senza dubbio delusi. L’amore di Carote d’amore o di L’elefante non fa rima con sole e cuore.

È un amore che fa ridere (è praticamente impossibile trattenere le risate, anche volendo) e totalmente dissacrante. Diventa ora elefante e ora uno sgombro, catarro o bugia ma resta comunque tenero, amaro e bellissimo perché “non c’è amore che non sia triste a metà”.

E allora non resta che lasciar fluire le parole e le note in una corsa vorticosa tra una fanciulla che legge i Paralipomeni della Batracomiomachia e i “Tu daraùgauga scè mòmòmò derièndo biobo birigò” e rimanere increduli davanti a quel poeta del paradosso che ti racconta in maniera surreale la tua storia d’amore e di non amore come se ti conoscesse da sempre e avesse ascoltato le tue confidenze in un bar.

Oltre ai classici del suo repertorio, come quello che dà il titolo allo spettacolo, porta sul palco inediti e canzoni finite di scrivere in scena.

Ad accompagnare il suo alternarsi tra pianoforte e chitarra ci sono il basso di Paolo Mazziotti e un batterista invisibile: un computer che sintetizza suoni e accordi. Ma anche il pubblico. Continuamente sollecitato e invitato a interagire, infatti, non è solo spettatore della performance dell’artista ma partecipa allo stesso.

Con la poesia del paradosso di Talarico arriva al Vascello il primo episodio della mini rassegna Filetti di Sgombro ideata da 369 gradi, il “gruppo di artisti che stanno confondendo le acque ai romani” sotto la direzione artistica di Valeria Orani, che vede in calendario tre appuntamenti, “tre spettacoli comicamente disperati, tre performer, tre filetti del varietà sgombro”: prossimi appuntamenti da segnare in calendario sono quelli del 25 febbraio con Daniele Parisi (Euhoé) e del 30 e 31 marzo con Claudio Morici (46 tentativi di lettera a mio figlio).

+ ARTICOLI

Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.