Terra di Rosa. L’urlo di liberazione di Rosa Balistreri

immagine per Rosa Balistreri
Foto Simone Boiocchi

La terra, le radici. Quelle che legano anche quando respingono. È tutta in una valigia la terra di Rosa, una donna che la sua terra ha imparato a conoscere e ad amare soltanto quando era ormai altrove. Perché Rosa Balistreri fu costretta ad abbandonarla la sua Sicilia e a trasferirsi a Firenze. E lì, soltanto lì, Rosa diventa Rosa Balistreri, la voce del sud, di quella terra ca nun senti e che quella sua voce rauca e potente prima non la stava ad ascoltare. Anzi, avrebbe preferito metterla a tacere.

Nessuno, del resto, è profeta in patria. C’è allora il bisogno di allontanarsi dalla propria terra per cantarla. Destino che, paradossalmente, appartiene alla protagonista e in parte anche all’attrice. Perché Terra di Rosau cantu ca vi cuntu, spettacolo di e con Tiziana Francesca Vaccaro e con le musiche di  Andrea Balsamo, nasce da un’artista sicula (catanese) ma in terra meneghina. «Ho iniziato a scavare dentro la vita di Rosa Balistreri poco tempo dopo essermi trasferita», racconta. «Non so bene – continua – cosa cercassi, forse cercavo semplicemente la terra. L’ho trovata, e non solo quella. Ho trovato il canto, che più che canto mi è sempre sembrato un urlo, come quello dei commercianti al mercato. Urlo di liberazione e rivoluzione, urlo come racconto, memoria, strumento che disvela ciò che si cela dietro le consuetudini, le violenze quotidiane, la società sorda. Sorda la società, ancora oggi, soprattutto oggi».

Galeotto fu nell’ottobre 2012 un laboratorio teatrale (Laboratorio cittadino di Teatro degli Incontri diretto da Gigi Gherzi) sulla figura di Antigone. Una donna che combatte, che si batte contro le ingiustizie, che ha il coraggio di rischiare il tutto per tutto. Anche l’emarginazione. Una donna piena di passione e di vita, Antigone come Rosa.

È una scenografia essenziale (una valigia piena di terra e una sedia) quella in scena perché la protagonista è la storia, la voce di quel cunto che, inevitabilmente, diventa canto. Ed è la mimica e la gestualità dirompente, almeno quanto l’espressività vocale, di Tiziana Francesca Vaccaro a dargli corpo. Il canto e il cunto che si fanno vita. Anzi vite, come recita non a caso il sottotitolo dello spettacolo. Perché Rosa ha avuto più vite: come i vermi che, nella terra, si spezzano e si ricostruiscono infinite volte, Rosa è nata, morta e rinata infinite volte.

A Licata, la prima. Nel porcile di Via Martinez dove nasce e cresce combattendo con la fame, la miseria e la sopraffazione. In quella Sicilia in cui per le donne, soprattutto se povere, ben poche alternative c’erano all’essere mogli e madri sottomesse al potere maschile del padre prima e del marito poi, Rosa trova la sua arma per sopravvivere e per affrontare i dolori e le sofferenze di una vita difficile, aspra, appassionata: il canto, la sua voce. «Rosa, smettila cu stu cantu! I fimmini non cantunu, cantunu sulu i buttani!», le ripetono.

Ma Rosa canta, canta per sfidare i pregiudizi e le avversità, per farsi coraggio nei momenti più duri. Il suo canto è un urlo di liberazione, di sfida e di lotta. Anche quando, esaperata, sceglie di abbandonare quella terra tanto sorda quanto ostile. Ecco allora Firenze e una nuova vita fatta di emancipazione e di incontri, primo fra tutti quello con il pittore Manfredi Lombardi con cui scoprirà finalmente l’esistenza di un amore privo di violenza e sopraffazione. Ma anche Dario Fo e poi Renato Guttuso, Cicciu Busacca e Ignazio Buttitta perché, paradossalmente, è a Firenze reincontra la sua terra.

La “cantatrice del Sud” come la soprannominò il poeta Buttitta con il suo canto quella terra e le sue tradizioni le porterà in giro per il mondo, riscoprendo e riportando in luce la tradizione popolare e il folk siciliano. Per poi tornare nella sua terra, a testa alta. Sfidando ancora una volta i poteri forti e le ingiustizie, anche e soprattutto quando questi si chiamano mafia. Attivista più che cantante vista anche la natura politicamente impegnata dei suoi canti. Si può fare politica e protestare in mille modi, il suo è il canto: «Io canto, ma non sono una cantante. Sono diversa, diciamo che sono un’attivista che fa comizi con la chitarra».

E tante vite ha anche lo spettacolo. Nato come un breve monologo di 10 minuti, comincia il suo viaggio passando per il centro di rifugiati politici di viale Fulvio Testi a Milano, dove con l’universalità del messaggio teatrale e del linguaggio musicale travalica ogni confine linguistico e culturale, e comincia a trovare forma in luoghi non teatrali e non convenzionali come case e salotti privati. Vita dopo vita prende forma e consistenza, diventando uno spettacolo sempre più definito e corposo, nei tempi come nei contenuti, conservando e se possibile arricchendosi di emozioni. Milano, Cologno Monzese, Torino e poi la Sicilia (Catania, Aci Castello, Enna, Serradifalco) e Roma dove l’occasione lo scorso 30 maggio è il Festival Inventaria – la festa del teatro off presso il teatro Studio Uno. Lo spettacolo, infatti, è tra le ventuno le proposte, selezionate tra le oltre 400 candidature pervenute da tutta Italia e dall’estero, in concorso nella sezione monologhi. Tante vite ancora da vivere, non ultima quella di graphic novel illustrata da Elena Mistrello.

Tante vite come vermi. Ma, a differenza di questi, non sotto terra ma alla luce del sole e a testa alta con la consapevolezza di una donna scomoda ma libera e pronta a lottare sempre per la sua libertà e per quella della sua gente. «Un verme così, di quelli che sono stati strappati dalla terra, con il corpo da una parte e la testa dall’altra. Un verme che andava un po’ qua e un po’ là, cantando e cuntando, in diverse terre, di una stessa terra, la sua Sicilia». Forte, come un urlo, risuona il canto strozzato e autentico di quella voce inconfondibile che racconta di una Sicilia sfruttata e calpestata, ferita nell’orgoglio ma sempre pronta a riscattarsi e ad amare.

+ ARTICOLI

Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.