Il dovere della memoria

Quarant’anni. In quel 1978 l’Argentina vinceva i mondiali, la voce graffiante di Anna Oxa impazzava alla radio con Un’emozione da poco e Karol Wojtyla saliva al soglio pontificio. È l’anno della legge Basaglia ma anche l’anno di Giorgiana Masi, Aldo Moro, Peppino Impastato e di Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci. Un anno caldo, rovente. Un anno in cui i morti per strada si contano a decine. Sono gli anni di piombo, sono gli anni che segnano l’Italia. Anche oggi, quarant’anni dopo.

Marco Damilano

L’occasione è quella del quarantennale di quegli eventi che scrissero inequivocabilmente la storia del paese, il mezzo è il teatro e la necessità è quella di contribuire alla scoperta della verità e alla sua divulgazione. Per raccontare a chi non c’era e per confrontarsi con chi quei giorni li ricorda bene. Per fare memoria, per “il dovere della memoria” nome del percorso della stagione teatrale 2017-2018 del teatro di Roma in cui si inseriscono, tra gli altri, due spettacoli: Un atomo di verità – Serata in ricordo di Aldo Moro a 40 anni dalla morte, di e con Marco Damilano per la regia di Antonio Sofi andato in scena al Teatro Argentina e Viva l’Italia – Le morti di Fausto e Iaio di Roberto Scarpetti al Teatro India.

Una serata dedicata allo statista democristiano, due volte presidente del consiglio (1963-1968; 1974-1976) quella realizzata dal direttore dell’Espresso, che proprio a Moro ha dedicato il suo ultimo libro, Un atomo di verità. Aldo Moro e la fine della politica in Italia, edito da Feltrinelli. Si ricorda, attraverso fotografie, letture e documenti e alla collaborazione di Antonio Sofi dell’Archivio Flamigni, il Moro politico ma anche e soprattutto uomo. Il tutto, a pochi passi, meno di 100 metri, da quel luogo, Via Caetani, in cui il 9 maggio 1978 il corpo dell’onorevole venne fatto ritrovare dalle Brigate Rosse all’interno del portabagagli di una Renault 4 rossa.

La storia arriva nelle chiuse mura di un teatro e si fa immagini, suoni, parole e significati che si rivelano un tentativo di opporsi al nulla e al crollo, perché – spiega il direttore del teatro di Roma, Antonio Calbi – «il paese trovi la bussola per un nuovo futuro». Un tentativo, nello specifico, di strappare Aldo Moro e la sua figura alla sola immagine cristallizzata di prigioniero politico in mano alle Brigate Rosse.  «Per tutti gli italiani nati dopo il 1978, la storia di Moro comincia quel 16 marzo e finisce 55 giorni dopo, il 9 maggio», afferma Damilano. «La sua immagine – continua – è quella del prigioniero delle BR. Dobbiamo liberare Moro. Ritrovare Moro. Raccontare cosa ha perso l’Italia senza di lui».  Ritrovare Aldo Moro e con lui qualcosa del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro.

Viva l’Italia – Le morti di Fausto e Iaio

Moro, il caso Moro. Quello che scuote l’Italia, la spacca tra interventisti che spingono perché lo stato intavoli una trattativa con le BR e chi preferisce attendere, che riempie le pagine dei giornali e fa impallidire tutte le altre notizie, dal ritrovamento, lo stesso giorno dello statista democristiano, del corpo del giornalista e attivista antimafia Giuseppe (Peppino) Impastato sui binari della ferrovia a Cinisi, fino al delitto di due due diciottenni milanesi frequentatori del centro sociale Leoncavallo diciottenni a Milano, Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci.

Roma e Milano, unite da un filo rosso e da una scia di sangue che lascia a terra senza vita, pezzi dello stato ma anche gente comune, ragazzi giovanissimi. Uccisi a colpi di pistola la sera del 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Moro, intorno alle venti da un commando composto da tre ragazzi venuti, come si scoprirà soltanto dopo, da Roma.

L’omicidio, che inizialmente venne collocato nell’ambito dello spaccio di stupefacenti per via dell’attività di monitoraggio sulla vendita di siringhe nelle farmacie della zona portato avanti dai due ragazzi, venne poi rivendicato dall’estrema destra (Nuclei Armati Rivoluzionari – NAR) – brigata combattente Franco Anselmi). Tante le ipotesi, le piste e i sospetti che poi finiscono giudiziariamente in un nulla di fatto: gli assassini ad oggi non hanno un nome e con il decreto del 6 dicembre 2000, la magistratura mette la parola fine all’inchiesta con l’archiviazione.

Viva l’Italia – Le morti di Fausto e Iaio

È un racconto a cinque voci quello messo in scena da  Roberto Scarpetti per la regia di César Brie. Un mosaico a tante facce in cui ciascuno dei protagonisti mette il proprio tassello: Fausto, inizialmente ragazzo spensierato poi vittima; Angela, la madre di Iaio, con il suo dolore e la sua sete di giustizia per quel figlio strappatole brutalmente dalla ‘politica’; Giorgio, uno dei tre killer arrivato da Roma per una ‘missione’ più grande di lui; Salvo Meli, il commissario della Digos titolare dell’inchiesta che, nonostante i consigli del suo superiore, non si ferma alla pista della droga ma cerca la verità sulla morte dei due ragazzi; Mauro Brutto, giornalista dell’Unità col vizio scomodo di fare domande e di cercare verità.

Tante narrazioni in prima persona che si incrociano dinamicamente sul palcoscenico in una «drammaturgia storica, anzi cinque storie personali che intrecciandosi tra loro ricostruiscono il quadro di insieme». La morte di Fausto e Iaio e il sequestro di Aldo Moro, due fatti distanti soltanto in superficie. Le loro storie si intrecciano: nell’abitazione di fronte a quella di Fausto Tinelli, in via Montenevoso, qualche tempo dopo gli inquirenti troveranno un covo dei brigatisti e all’ultimo piano del suo stesso palazzo, invece, scopriranno un punto di osservazione dei servizi segreti.

Anche in questo caso il teatro torna a farsi strumento di riflessione e memoria viva «suggerendo riflessioni sui fascismi di ieri e di oggi e facendo rivivere la memoria come solo il teatro sa fare, perché la scrittura di Roberto Scarpetti, che non è cronaca storica ma una “finzione basata su fatti reali”, riesce a diventare tragedia civile, canto di passioni personali e politiche».

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Classe 1987. Romana di nascita, siciliana d’origine e napoletana d’adozione. Giornalista professionista, comunicatrice e redattrice freelance. Da sempre appassionata di (inter)culture, musica, web, lingue, linguaggi e parole. Dopo gli studi classici si laurea in Lingue e comunicazione internazionale e in seguito, presso l’università “La Sapienza” di Roma, si specializza in giornalismo laureandosi con una tesi d’inchiesta sul giornalismo in terra di camorra. Ha poi conseguito un master in Giornalismo (biennio 2017 – 2019) presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Giornalista per caso e per passione, ufficio stampa e social media manager per festival, eventi ed associazioni in particolare in ambito culturale e teatrale oltre che per Europride 2011, Trame – Festival dei libri sulle mafie e per Save the Children Italia (2022). Collabora con diverse testate occupandosi in particolare di tematiche sociali, culturali e politiche (dalle tematiche di genere all’antimafia sociale passando per l’immigrazione, il mondo Lgbtqia+ e quello dei diritti civili). Vincitrice della borsa di studio del premio “Giancarlo Siani” per l’anno 2019.
Fotografa, spesso e (molto) volentieri.

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