Manuela Verdi, Il sogno di Herma. Contributo

Sogno, uno dei trittici in mostra, stampa ai sali d'argento. Foto di Paolo Torella

Difficilissimo difendersi dalla grande seduzione che dopo secoli esercita l’Ermafrodito dormiente, una statua antica, copia romana da originale ellenistico; di dimensioni contenute e con un percorso tortuoso: ritrovata da frati intenti alla costruzione di una chiesa, donata a un cardinale collezionista, restaurata da un celebre scultore del barocco romano, finita in terra di Francia e custodita ora nel museo più conosciuto al mondo: il Louvre. Ma è una delle copie coeve rimaste a Roma ad aver suscitato un’irresistibile attrazione in Manuela Verdi: la scultura, priva di manipolazioni e interventi successivi, collocata nella raccolta di Palazzo Massimo, è stata al centro delle attenzioni della giovane artista, che ne ha colto l’essenza dello slancio amoroso: la ninfa Salmace, che non sa arrendersi al rifiuto del giovane figlio di Ermes e Afrodite, chiede e ottiene di unirsi a lui per sempre, in un corpo che imprigionerà entrambi, uomo e donna.

Una scelta non casuale, nulla è stato dettato dal caso in questo lungo dialogo tra la fotografa e il marmo, tra l’occhio e i dettagli delle ombre, tra gli squarci di luce e le inquadrature sinuose che si adeguano alla flessuosità sensuale dell’incantatore addormentato. Ed è indagando la consistenza della materia e le sue imperfezioni che hanno preso vita altri dettagli, altre ombre, un altro corpo. Un corpo più indecifrabile e sfuggente, che gioca ad inseguire la statua, scivolando sul tessuto, abbracciando la pietra e ripercorrendo la ricerca di un equilibrio sulla superficie instabile. Nega il proprio volto, l’alter ego della statua, contrappone il dimenarsi liberatorio della testa alla compostezza dell’elaborata e immobile capigliatura e azzarda movimenti scomposti, ricondotti alla stasi dall’obiettivo attento dell’artista alla quale non può sottrarsi.

Il ruolo di Manuela Verdi non è quello della spettatrice equa e distaccata, tutt’altro: il suo intento è quello di mettere a nudo sia le contraddizioni e le ambiguità, che i punti di contatto e condivisione tra i due corpi protagonisti dei suoi scatti. Superato il momento della contemplazione, ecco che l’antitesi materica, il mistero dell’identità sessuale e il suo svelarsi ingenuo e innocente, inducono a interrogativi, provocano riflessioni. Ma la garbata provocazione non finisce qui: nella pratica esecutiva, dal momento dell’inquadratura, al successivo scatto, fino alla stampa, anche il dettaglio imperfetto rimane lì, senza cancellature, senza ipocriti compromessi, testimonianza di un indugiare disincantato sull’umano, maschile e femminile. Consegnandoci vibrazioni autentiche, che solo la dimestichezza con la pellicola e l’esercizio della camera oscura possono restituire, Manuela Verdi rende una propria chiave di lettura di questo scenario di indeterminatezza, respingendo interpretazioni scontate, ma ben conscia che il tema, al centro delle polemiche e del dibattito attuale, avrebbe necessità di un approccio diverso. Così, seguendo il suo intuito, è ripartita dal reale, dai soggetti resi vivi e presenti nei suoi scatti; si è appropriata.

Info mostra

  • Manuela Verdi | Il sogno di Herma
  • A cura di Maria Arcidiacono
  • Galleria Gallerati, Via Apuania, 55 I Roma
  • Fino a venerdì 22 gennaio 2016 (ingresso libero)
  • Orario: dal lunedì al venerdì: ore 17.00-19.00 / sabato, domenica e fuori orario: su appuntamento
  • Informazioni: info@galleriagallerati.it; tel. +39.06.44258243
  • www.galleriagallerati.it
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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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