Il corpo delle donne

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Il corpo delle donne

Uscito per i tipi di InsideArt, nella collana Autori, il volume dal titolo Il corpo delle donne, di Lori Adragna, è un contributo preziosissimo sullo stato attuale della performance art al femminile nel nostro Paese. Partendo dalla sua esperienza curatoriale, la storica e critica d’arte palermitana riporta, in una sorta di diario, il proprio dialogo con dodici artiste, diversissime tra loro per ambito di ricerca e per la modalità dell’uso del corpo nelle rispettive azioni performative.

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Il corpo delle donne, di Lori Adragna [Insideart]

 

Perché è preziosa questa ricerca?

Lori Adragna analizza con l’attenzione della studiosa il rapporto tra l’utilizzo del corpo femminile in relazione ai significati simbolici più o meno ricorrenti che questa particolare pratica espressiva può contenere.

Il terreno potrebbe essere vastissimo, ma l’autrice si concentra, tra le altre cose, sull’efficacia della comunicazione nell’impiego del fisico come strumento, individuando dettagli e connessioni non sempre immediatamente distinguibili. Così come si materializza l’interiorità e l’intima onestà della ricerca artistica attraverso uno Studio Visit, altrettanto avviene, in ambito performativo, dove l’offerta concreta di se stesse cancella ogni infingimento, svelando la veridicità del processo creativo, della cui autenticità Lori Adragna si dimostra autorevole certificatrice.

Che poi, a voler ulteriormente precisare, la passione infaticabile nel seguire i percorsi artistici, unita alla paziente fermezza nel volerli comprendere e discutere senza ambiguità, è uno degli aspetti più seri e interessanti del lavoro di curatela.

Qui, peraltro, gli artifici alchemici, le pennellate di mestiere, le scorciatoie installative, o i tecnicismi di un video artefatto non hanno lasciapassare. Il qui e ora non fa sconti se alle spalle non c’è un solido background di faticosa esplorazione di se stesse, del mondo e della sintesi narrativa che si vuole consegnare al pubblico.

Dopo l’interessante prefazione di Maria Giovanna Musso, che, tra le altre cose, sottolinea i dati salienti e rivoluzionari degli ultimi decenni italiani di Performance Art al femminile, il racconto di Lori Adragna si addentra alla scoperta dei diversi linguaggi proposti dalle sue artiste:

il viaggio letterario, i riferimenti alle visioni junghiane nel lavoro intensamente poetico di Tiziana Cera Rosco; l’atto liberatorio della murga, manifestazione trascinante e fortemente politica di un impeto di ribellione, che trasforma Laura Cionci in una messaggera di pura energia; i lavori della prolifica e versatile Francesca Fini, regista cinematografica che Lori Adragna ha lasciato libera di muoversi tra le evocazioni “viscerali” à la Frida Kahlo di Kry me, fino allo sciogliersi amorevole di antichi conflitti con la figura materna in Mother Rhythm.

E poi, ancora, la ritrovata manualità nel lavoro di Eva Gerd, artista danese che prende spunto dalla natura per rammentare come la lenta ritualità di alcuni gesti leghi indissolubilmente la donna ai cicli vitali; la restituzione vocale di un testo splendido di Rosa Luxemburg, che è stato al centro del progetto Viste e Riviste di Silvia Giambrone; un’altra voce, anch’essa protagonista, in Oggi, un lavoro di Tamar Hayduke, artista siriana di origini armene che, partendo da un suo testo, costituito da messaggi, o meglio, da sms, ha usato il proprio timbro vocale, educato al canto, per modulare quelle parole in un unico tono profondo e altamente evocativo.

Virtuosistica nella sua capacità di resistenza in una posizione raggomitolata dentro una valigia per alcune ore, Chiara Mu, nella performance l’Origine, ha invitato i visitatori a varcare singolarmente una rosea soglia evocante la vagina, per poi lasciarli immergere nella penombra e nella lettura di un testo filosofico, manifestando la sua presenza dall’interno della valigia, estraendo solamente le mani per offrire un bicchiere di tè.

Una posizione raccolta anche quella di Ginevra Napoleoni, che, nella performance Pieghe, pur partendo da presupposti diversi e con un preciso riferimento iconografico alla celebre Santa Cecilia, scolpita da Stefano Maderno nel XVII secolo, lascia anch’essa fluire in se l’ambiente circostante.

Interazione profonda con il pubblico in Memorie apocrife – All of me, di Francesca Romana Pinzari, che ha trasformato se stessa in confessore (esiste il femminile di questo termine?) trascrivendo diligentemente dei segreti, pur rispettandone l’assoluto anonimato.

Partecipazione collettiva e sensibilizzazione di fronte alla leggerezza nel succedersi vorticoso delle news, sono le tematiche affrontate da Paola Romoli Venturi che, utilizzando alcune frasi di papa Francesco, ha comunicato con il linguaggio dei segni e con quello del proprio corpo, avvolgendo il pubblico con un “Noi” (We) onnicomprensivo, contrapponendolo a un “io” sempre più superficiale ed egoistico.

Alice Schivardi, nella performance Soffio, ha voluto farsi interprete di una riflessione sul corpo femminile avvalendosi di quello di Nicoletta Salvi, una musicista e cantante femminista al settimo mese di gravidanza, per proporre, nella nudità disincantata di una ninna nanna suonata sul violino, una maternità lontana da stereotipi e convenzioni.

E, infine, Silvia Stucky, che esplora le contraddizioni del modello consumistico dominante, le tragedie e le ingiustizie sociali che esso provoca, attingendo, come nella performance Getterò in mare il cuore che ha qualche desiderio, effettuata al Macro, ai versi haiku di Ozaki Hōsai e servendosi di tutta la propria concentrazione per esprimere una ferma resistenza.

A conclusione del volume, una stimolante postfazione dell’artista e arteterapeuta Mona Lisa Tina riassume, in una riflessione del tutto condivisibile, il senso dell’uso del corpo come libero mezzo espressivo, svincolato da categorie, e su quanto esso, attraverso la performance dal vivo, riesca ancora a donare preziosità e unicità nell’incontro e nel contatto autentico tra esseri umani.

Una bella selezione di fotografie consente di cogliere la sostanza e l’intensità delle azioni performative delle artiste, apportando all’analisi seria e appassionata dell’autrice il significato profondo di una partecipazione corale.

Una lettura consigliata a chi ama la Performance Art, ma anche, e forse soprattutto, a chi fatica a comprenderne linguaggio, messaggi e visioni.

 

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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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