Premio Vasto d’Arte Contemporanea

ANGELO BELLOBONO, Floating bank #5, 2014 - Acrilico su tela, cm.100x150

La quarantottesima edizione del Premio Vasto d’Arte Contemporanea, curata da Lorenzo Canova, ha avuto come titolo L’Arte Magica, prendendo spunto dalla riflessione di Giorgio De Chirico sulla pittura, in un passaggio nel quale l’inafferrabile contemplazione dell’artista, anche nei confronti di un incomprensibile dettaglio, viene sapientemente rivestita d’incanto.

Svariati sono i punti di contatto, o di diversità, tra i 26 artisti in mostra: lo sguardo verso il mondo antico, per esempio, ci viene narrato da Giancarlo Limoni con i colori sorprendenti dei giardini romani di Livia, un paesaggio scompaginato e poi ricostruito nelle sue vibrazioni cromatiche, mentre Massimo Livadiotti preferisce indagare nell’enigmatica cupezza ipogea dell’antichità romana, condensando talvolta nei rebus le suggestioni oniriche che ne sono emerse. E così, proseguendo, incontriamo i mondi rarefatti di Ubaldo Bartolini e Nicola Rotiroti: un’atmosfera densa di sapienti pennellate e, al contempo, ariosa e sfuggente, quella dei paesaggi di Bartolini; disaggregati e solitari, immersi in una dimensione riverberata e invalicabile, i liquidi personaggi di Rotiroti. Uniti dalla comune partecipazione al progetto MAAM, Giovanni Albanese e Veronica Montanino traducono ironia e impegno sociale attraverso opere giocose: Albanese, con assemblaggi da prestigiatore che irride e crea stupore, a fronte dei delicati e coloratissimi interventi della Montanino sui volti dei ragazzi residenti nel Museo più insolito e innovativo di Roma. Il rigore della pennellata che riproduce universi distanti, come quelli di Claudio Bissattini e Marco Verrelli: una modalità esecutiva impeccabile, di entrambi, che scruta però meticolosamente tra rottami e immondizia, cercando di rintracciarne poesia, quella di Bissattini, mentre si solleva oltre l’orizzonte nei cieli esplorati da Verrelli, dove velivoli silenziosi percorrono rotte metaforiche. Vicini e diversissimi Marco Colazzo e Sandro Sanna, cercano entrambi di riprodurre forme mobili sprofondate in vastità affascinanti: siano esse geometriche e situate nel cosmo, come quelle di Sanna, o delicatamente sfumate e avvolte in atmosfere naturali come quelle di Colazzo, delineano le risposte dei due artisti a interrogativi profondi sulla natura e sull’origine dell’umanità. Intrecci che danno vita a circuiti, e viceversa, questi sono i punti di contatto tra le opere di Susanne Kessler e Claudio Di Carlo; tessiture tecnologiche che con il colore si impreziosiscono creando paesaggi fantascientifici nelle tele di Di Carlo; articolati intrecci materici che si dipanano in un paziente processo logico e meditativo dalle laboriose mani della Kessler. Si passa alla magia delle icone, quelle del mondo dello spettacolo, inflazionate più che mai, ma che riacquistano fierezza grazie al premuroso omaggio di Roxy in the Box, che dedica al mito rock Elvis Presley delicati istanti di un’azione performativa; assurgono a divinità i protagonisti del jazz che David Fagioli pone su pilastrini a mo’ di erma, ironizzando simultaneamente sulla classicità e sulle leggendarie figure che hanno fatto la storia della musica; Adriano Nardi interviene invece sulle immagini ormai saturate delle riviste femminili, scomponendo e riducendo gli effetti artificiali atti a creare l’icona e restituendo, attraverso velature e piani sovrapposti, una donna sognante, paradossalmente più vicina al reale.

Si avventurano nella magia del ritratto, Antonio Finelli ed Emanuele Napolitano: spiazzante nel suo iperrealismo incompiuto il primo, con i suoi volti solcati da rughe e attraversati da misteriosi raggi luminosi quasi extraterreni, mentre Napolitano ama perlustrare la sparizione, la più sopraffina tra le arti magiche, operando però sul sottile confine tra oblio e memoria e lasciando tracce vive di fisionomie non più incasellabili nello stereotipo.

Atmosfere fiabesche attraversano i dipinti di Igor Verrilli, con corpi dalla fisicità schietta e genuina che si espongono, sprofondando impassibili, nella loro teatralità, in panneggi barocchi; una corporeità ancora più esibita nel lavoro di Ascanio W. Renda, che ci fa indietreggiare fino al mito di Saturno, presentandoci la divinità terrificante senza edulcorate allusioni, ma con le prove della carneficina ancora addosso, nelle tessere musive che avvolgono il corpo livido.

La bandiera, oggetto e simbolo controverso, è al centro delle ricerche di Massimo Orsi e Mario Vespasiani: due declinazioni diverse, ma in entrambe la bandiera viene privata della sua definizione di granitica appartenenza; per Orsi, vale l’universalità dell’essere umano, il cui profilo si staglia in ogni vessillo; a Vespasiani interessa rimodulare le sicurezze delle rigide campiture cromatiche che stabiliscono i confini territoriali, fino a rendere il tutto armonioso, benché definitivamente indistinto.

Angelo Bellobono compie la magia illusionistica di catapultare lo spettatore in luoghi che mai si sognerebbe d’esplorare: montagne, ghiacciai e cime innevate, dove le tematiche ambientaliste e la sensibilità politica dell’artista si coniugano felicemente a una tecnica pittorica consapevole e raffinata;  il rapporto oscuro dell’uomo con la natura emerge anche nei lavori di Fabio De Santis Scipioni: sorprendenti e ironici, combinano artificiosamente umani e quadrupedi, lasciandoci con l’interrogativo sul significato del termine “inciviltà”.

Si è parlato di magia, ma nel caso di Giuliano Giuliani si può azzardare l’accostamento con l’alchimia. Il travertino, materiale imprigionato da secoli nell’uso architettonico e monumentale, viene liberato e si arrende alla volontà dell’artista: Giuliani decide di alterarne la vocazione di solennità o di mero elemento urbano e trasforma la pietra in panneggio, in tele mosse dal vento, in brandelli di materia sottile.

Per concludere, due artisti che hanno scelto di celebrare il proprio percorso con un inno alla pittura: Stefania Fabrizi e Federico Lombardo, un andirivieni tra passato e presente fa da sfondo al lavoro di entrambi. Lombardo impone agli strumenti digitali la disciplina pittorica, senza scorciatoie di autocompiacimento, ma con un esercizio rigoroso e poetico; la Fabrizi si lascia fluire davanti, con umana consapevolezza, il conflitto, la contraddizione, le infinite lacerazioni del nostro tempo;  chi, se non l’artista, è in grado di sciogliere nodi o intuire soluzioni? Stefania Fabrizi, attingendo nel passato e confrontandosi con il presente, lascia alla materia pittorica, linguaggio d’essenza millenaria, come scrive Canova in catalogo, il compito di trovare percorsi e risposte.

Info: http://www.premiovasto.it/

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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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