Tota Italia alle Scuderie del Quirinale. Intervista a Stéphane Verger

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Traendo spunto da un passaggio delle Res Gestae di Augusto: “iuravit in mea verba tota Italia sponte sua” (l’Italia nella sua interezza ha prestato giuramento per me spontaneamente), la mostra Tota Italia alle Scuderie del Quirinale punta a presentare un panorama della penisola nei secoli che precedettero il consolidarsi del dominio romano al principio dell’età imperiale, esplorando da diverse angolazioni le realtà, i popoli e le culture con le quali Roma ebbe a confrontarsi. 

Un mondo variegato, rappresentato in mostra attraverso circa 400 oggetti che sono stati scelti con estrema cura per aiutare il pubblico a focalizzare l’attenzione su tematiche che vanno dai costumi funerari ai processi di omologazione linguistica -partendo dal ceppo indoeuropeo alla latinizzazione-, dai culti, con la loro connotazione fortemente identitaria che finiranno con l’incardinarsi nella religione dell’Urbe, fino alla completa romanizzazione dell’età augustea. 

Abbiamo rivolto alcune domande al nuovo Direttore del Museo Nazionale Romano, Stéphane Verger, curatore della mostra assieme a Massimo Osanna, Direttore generale dei Musei del MIBAC, anche lui di recente nomina dopo aver guidato dal 2014 la Soprintendenza Archeologica di Pompei. 

Gentile direttore Verger, come è nata l’idea di questa mostra?

È stata un’idea di Massimo Osanna: in occasione della riapertura dei musei, voleva coinvolgere la rete museale dell’Italia in una mostra sulla romanizzazione.

Partendo dalle grandi diversità delle popolazioni dell’Italia antica e dal processo di unificazione che conservava queste diversità, si è pensato di chiedere opere sia ai grandi musei (come il Museo Nazionale Romano e quello di Napoli, musei regionali di Ancona e di Este) che a quelli più piccoli, come i musei civici di Ascoli Satriano, di Guidonia, etc., per dimostrare come questi ultimi conservino non solo dei capolavori, ma anche dei documenti storici altrettanto importanti.

Ecco, abbiamo voluto sottolineare la grande varietà del paesaggio museale italiano che permetteva di far conoscere meglio questo processo di romanizzazione.

In tempi recenti è venuto a mancare un grande archeologo, Mario Torelli, che a questi temi aveva dedicato lunghe e appassionate ricerche, oltre ad essere stato un maestro per generazioni di studiosi, l’esposizione vuole in qualche modo rendere omaggio alla sua figura?

Sì, Massimo Osanna è stato allievo di Mario Torelli e abbiamo pensato di ricordarlo, in particolare esponendo un’opera, la cosiddetta sedia Corsini che fu oggetto di un suo memorabile studio nel 1990; fu lui ad individuarne una lettura che ne sciolse la complessità interpretativa collegandolo alla storia di una famiglia romana di origine etrusca, che sul finire dell’età repubblicana fece realizzare un modello in uso fin dall’VIII secolo a.C. nell’Italia centrale e non solo in contesti funerari.

Aggiungerei che, secondo la mia opinione, e non solo la mia, il trono si può ricondurre anche all’ambito della cosiddetta Arte delle Situle (contenitori bronzei con decorazioni incise e a sbalzo diffusi nell’area veneta tra il VII e il IV secolo a.C. N.d.R.)

Uno dei pezzi più belli è senza dubbio la magnifica statua bronzea del Pugile a riposo, verrebbe da dire a riposo dopo i tanti viaggi che ha fatto: lo sa che, nonostante fossero residenti a Roma, alcuni cittadini hanno affrontato code all’estero per vederlo? Evidentemente non ci si stanca mai di ammirarlo. Oltre a questo capolavoro, quali tra le opere esposte ritiene siano più significative per raccontare il tema che la mostra si propone di rappresentare? 

Il Pugile potrebbe ripartire nuovamente per una nuova meta, per poi riposarsi un po’ più a lungo. Siamo fieri dell’allestimento che consente di vedere molto bene la scultura anche nei dettagli.

Tornando ai propositi della mostra, per consuetudine ci sono stati nel passato molti progetti nei quali o si parlava dei popoli dell’Italia preromana, oppure di Roma, è piuttosto raro trovare insieme i due aspetti, quello delle grandi diversità e quello del processo di unificazione di tutta la penisola.

Per questo la prima sala mi sembra esemplificativa: oltre al trono Corsini, ci sono i marmi provenienti da Ascoli Satriano, il primo, come abbiamo visto, ripropone in ambito romano, sul finire della repubblica e l’approssimarsi della prima età imperiale, un’iconografia che si rifà al mondo etrusco, al rituale, alla caccia, alla guerra e ai giochi; la trapeza (tavola N.d.R.) e il podanipter (bacino rituale) che si trovano di fronte al trono, appartenevano ad una tomba a camera della seconda metà del IV secolo, si tratta di elementi d’arredo di gusto macedone inseriti in un contesto funerario molto ricco d’ambito daunio (nord della Puglia) nei quali emerge la grande qualità pittorica e scultorea della scuola macedone.

Se nel primo caso abbiamo voluto ricordare Mario Torelli e le tematiche da lui studiate e approfondite, nel secondo abbiamo reso omaggio al Comando Carabinieri Tutela Beni Culturali perché va a loro il merito di aver recuperato parte del corredo tombale di Ascoli Satriano, trafugato negli anni ’70. Poi a livello personale, c’è un contesto che mi sta particolarmente a cuore, ed è quello di Policoro, in Basilicata: nel corso di una campagna di scavo abbiamo trovato le tracce della distruzione di Eraclea, la città greca che Roma punì, sul finire del III secolo a.C., perché, come fecero anche Metaponto e Taranto, aveva preso le parti di Annibale dopo la seconda guerra punica.

Nella stratigrafia è emersa tutta la potenza repressiva dell’esercito romano: armi, proiettili in pietra di catapulta, frammenti di architetture d’impronta tarantina andate distrutte, tracce di una battaglia che rase al suolo la città, alla quale se ne sovrappose una nuova nel II secolo a.C. 

L’allestimento di questo segmento della mostra ci ha particolarmente colpiti perché lo fa sembrare assai simile ad un’installazione d’arte contemporanea, intendo da un punto di vista compositivo e d’impatto visivo, anche perché dubito che la disposizione degli elementi nella teca corrisponda esattamente alla sequenza stratigrafica…

No, non corrisponde infatti. In una mostra organizzata a Policoro avevamo già creato proprio intenzionalmente questa installazione.

Concluderei chiedendole di raccontarci l’inizio di questa nuova esperienza alla guida del Museo Nazionale Romano, che, ricordiamo, consta di quattro sedi (Crypta Balbi, Palazzo Altemps, Palazzo Massimo, Terme di Diocleziano): si aspettava questa nomina?  

No, non me l’aspettavo, tuttavia c’è stato da mettersi immediatamente al lavoro, infatti non ricordo la reazione che ho avuto e neanche da dove ho cominciato esattamente.

Ci aspetta un grosso impegno di risistemazione delle collezioni, perché dopo la fase di allestimento, dal sovrintendente Adriano La Regina in poi, è necessario un ‘ripensamento’, fissare cioè un percorso più leggibile delle sedi partendo dalle origini della città, il suo sviluppo nei secoli come centro del potere, senza dimenticare la storia del collezionismo, antico e moderno.

Il lavoro più impegnativo sarà quello nella sede della Crypta Balbi che necessita di interventi di restauro di una certa entità. Ma grazie ai finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (concessi al Museo Nazionale Romano unitamente al Parco Archeologico dell’Appia Antica) sarà possibile avviare prossimamente l’intero progetto. 

Nel ringraziare il curatore Stéphane Verger per la sua disponibilità, propongo ai lettori che andranno a visitare la mostra una selezione delle innumerevoli opere esposte. 

Tra le prime da segnalare c’è l’altare in marmo lunense (del 124 d.C. e proveniente da Ostia), con Romolo e Remo allattati dalla lupa, un riferimento all’atto di fondazione di Roma, che, non dimentichiamo, era un vero e proprio rito, assimilato a quello delle città etrusche e il cui carattere sacro è ribadito dalla presenza di Marte, Venere e Silvano -simboleggianti l’origine divina del popolo romano- ai quali l’altare era dedicato.

A seguire una serie di corredi funerari provenienti da necropoli di diverse aree geografiche, tra i quali si segnalano alcuni reperti: il bacino rituale (podanipter) in marmo dipinto con raffigurazioni di Nereidi, proveniente da Ascoli Satriano (Foggia); lastre tombali provenienti da Paestum, con una scena di accoglienza del defunto e di ‘ritorno del guerriero’, a sottolineare la presenza di una vivace rielaborazione locale di schemi attici e italioti in area campana prima della conquista romana.

Ancora in ambito apulo, dove il mescolarsi eterogeneo di oggetti di diversa provenienza è particolarmente evidente nel corredo della tomba dei due guerrieri, all’interno della quale, tra vasi ceramici di produzione canosina, spicca un elmo di tipo cosiddetto Montefortino, usato dalla fanteria etrusco-romana, che sta ad indicare quanto l’espansione romana nel sud-est della penisola avesse favorito la diffusione di nuovi modelli tra le popolazioni italiche.

Non potevano mancare i ricchi gioielli dei corredi tombali, quelli in mostra sono di produzione greca, provengono da Montefortino d’Arcevia e sono conservati nel Museo di Ancona. Un oggetto del IV-III secolo a.C. che racchiude molteplici significati è la spada rinvenuta nel territorio di Cassino, presso il santuario italico di Fondo Decina; l’arma, che si rifà a un modello celtico, è ripiegata e spuntata, privata quindi del suo potere offensivo -probabilmente per essere offerta- reca inoltre un’iscrizione attraverso la quale l’artigiano di origine osca dichiara di averla realizzata a Roma.

Sempre eseguita nell’Urbe, ma da un artigiano di probabile origine campana, è la celebre Cista Ficoroni, un contenitore bronzeo, probabile dono di nozze, con scene incise riferibili al mito degli Argonauti e l’impugnatura costituita da tre piccole sculture di Dioniso e satiri. In bronzo è anche l’opera più conosciuta presente in mostra: il Pugile a riposo, del I secolo a.C., che ci offre il pretesto per soffermarci sui volti e le espressioni intense delle sculture che si possono osservare nel percorso: tentativi ritrattistici e idealizzazione delle fisionomie si mescolano lasciando percepire la varietà di culture e la ricchezza espressiva nelle rispettive diversità.

La visita prosegue nella sala che ospita la Triade capitolina, una scultura del II secolo a.C. raffigurante le tre divinità Giove, Giunone e Minerva, anche questa recuperata dai Carabinieri del Nucleo Tutela Beni Culturali, ora a Guidonia, (il comune del Lazio dove fu trafugata), nelle nuove sale del Museo Civico intitolato a Rodolfo Lanciani.

Conclude il percorso una sala dedicata alla misurazione del tempo e alle feste, che allude alla riforma del calendario operata da Augusto: sono presenti due meridiane, entrambe datate al I secolo d.C.: una di marmo, raffigurante i segni zodiacali, l’altra, tascabile, è di corno e bronzo, un reperto davvero insolito proveniente dal Museo Nazionale di Este (Padova). 

Pur rammentando che la nascita dell’impero ha avuto luogo a seguito di conflitti cruenti, alcuni fattori, quali la circolazione delle merci, la condivisione linguistica della stessa radice indoeuropea, i vari culti politeistici con sfumature non dissimili tra loro, ci spingono a considerare alcune tracce a noi pervenute come segno di una volontà di scambio reciproco tra la Roma conquistatrice e i popoli che confluirono nella sua orbita. 

Orazio stesso non mancò di riconoscerlo nelle sue Epistole:

Graecia capta ferum victorem cepit et artes intulit agresti Latio
(la Grecia, conquistata, conquistò il selvaggio vincitore e portò le arti nel Lazio ancora agreste). 

Info

  • Tota Italia – Alle origini di una nazione
  • Scuderie del Quirinale
  • Via XXIV Maggio, 16 – 00187 ROMA
  • Fino al 25 luglio 2021
  • E-mail: info@scuderiequirinale.it – call center +39 02-92897722
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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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