Misericordia e tradimento – Fotografia, bellezza, verità. Intervista a Tano D’Amico

Nel corso della fiera Più Libri Più Liberi, abbiamo partecipato alla presentazione del libro di Tano D’Amico, Misericordia e tradimento – Fotografia, bellezza, verità, ed. Mimesis: un dialogo tra l’autore, Francesca Adamo, direttrice della collana Sguardi e Visioni, e il giornalista e critico Attilio Scarpellini.

Un incontro ricco di spunti e aneddoti sul percorso di un fotografo, ormai considerato un maestro del fotogiornalismo, che ha saputo raccontare le realtà ai margini, i luoghi della sofferenza, quelli della gioia, le stagioni dei conflitti e delle lotte proletarie. Operai, militanti, studenti, famiglie in lotta per la casa, femministe: un popolo la cui bellezza cerca da sempre di essere rappresentata, ma sa che potrà esserlo attraverso gli scatti di Tano.

Ai ricordi sull’amico Tazio Secchiaroli -tra il pubblico c’era anche un altro vivace interlocutore, lo storico Diego Mormorio, amico di entrambi- si sono alternati riferimenti alle immagini acheropoietiche e a quelle dei grandi maestri della pittura, mentre il libro aiuta a percorrere un ulteriore tratto del suo “impegno duraturo nei confronti della vita”, nella ricerca, tutta politica, di mescolarsi agli oppressi per farne ‘soggetti contundenti’ che tanto fastidio danno al potere; sfogliandolo, si scopre l’uso attento che Tano fa delle parole sia nel definire il suo pensiero, che nel dare forma alle proprie riflessioni.

Ne scaturisce un registro ridotto all’essenziale, dove Tano non riporta ciò che ha catturato con il suo obbiettivo, non lo descrive, ma racconta il dopo e il prima, i motivi, le ragioni che lo hanno portato lì. Perché, come diceva Tazio, Tano c’è sempre.

Ecco una breve intervista per i lettori e le lettrici di Artapartofculture:

Tano, partiamo dal titolo che hai scelto per questo libro, ci sono questi due termini, il primo dei quali, misericordia, un po’ inconsueto, possiamo dire.

Misericordia è un termine bellissimo che io ho ripreso perché vuol dire che ci conosciamo miseri e che gettiamo il cuore dalla parte dei miseri. Ed è l’unico sentimento sovversivo, perché i più provveduti si riconoscono tra i meno provveduti e allora si crea come un popolo nuovo: il potere percepisce che non ha più motivo di essere quando la misericordia prevale, per questo non gli resta che far scorrere il sangue. Ma non solo, tante volte al potere non basta far scorrere il sangue, vuole grattare via dalle anime il sentimento della misericordia e allora chiede aiuto al tradimento.

Il tradimento è la negazione di tutto questo, proprio perché ci sono persone che distruggono altre persone in cambio di che poi? Del successo, del poter avere le spalle coperte a vita. La classe dirigente di questo paese è fatta di gente che ha tradito, anche nelle cose più turpi, soprattutto quando c’è un cambiamento in atto. Per esempio, in anni non così lontani, la spoliazione degli ebrei, la spoliazione delle loro vite, dei loro beni, ma che fine hanno fatto i beni degli ebrei che furono portati via? In una mattinata ne hanno portati via più di mille, ora queste persone, sebbene fossero piccoli commercianti, avevano dei conticini in banca, per pagare le tratte, per pagare le merci.

Nessuno pare voglia andare a rivangare, eppure basterebbe andare al catasto e vedere i cambiamenti di proprietà. Denunciare una famiglia di cinque persone poteva cambiare la vita, sarebbe sufficiente andare a leggere chi, in tempo di guerra, ha potuto permettersi di comprare beni immobili.

Mi viene in mente, Tano, che dopo il 25 luglio del 1943 nessuno pensò di cancellare le liste delle famiglie ebree, senza le quali i nazifascisti non sarebbero andati a colpo sicuro al Portico d’Ottavia come in altre zone di Roma.

Sarebbe bastato anche mettersi d’accordo, le parrocchie che avevano l’elenco dei non battezzati, e l’anagrafe, con le liste fatte per orientamento religioso, ma perché? Ecco, gettare via tutte queste cose, bruciarle, cosa che altri paesi han fatto, mentre noi no.

Noi abbiamo tenuto per decenni l’armadio della vergogna con le ante girate verso la parete! (armadio rinvenuto nel 1994 a Roma, in uno sgabuzzino della procura militare, contenente centinaia di fascicoli sulle atrocità commesse dai nazifascisti nella Seconda Guerra Mondiale ndr)

Ma perché girato contro la parete? Perché se la magistratura avesse dato corso ai processi, gli altri Stati vi avrebbero dato corso a loro volta contro le infamie pazzesche che i soldati italiani hanno compiuto in Jugoslavia, in Grecia, gli stupri di massa… con Mussolini che diceva: “Si stupra troppo poco”. Questa è la nostra storia, infame.

Tornando al presente, Tano, che uso fa il potere di queste immagini così ‘dilaganti’?

L’abbondanza di immagini non rende un buon servigio, a nessuno. Sono immagini senza anima. Il potere stesso conta sulla facoltà delle immagini di agire per sottrazione. Per esempio: il movimento per la Pace, con tre milioni di persone in piazza, è stato cancellato proprio dalle immagini stesse; o le primavere arabe, sembrava potessero cambiare il mondo, sia quello arabo che il nostro: mettevamo sulle spalle di quei giovani arabi delle aspirazioni che erano nostre. L’uso che si fa di queste immagini non fa altro che rafforzare il potere che c’è.

Pensi sia dovuto anche alla rapidità e alla frequenza con le quali ci vengono presentate?

No, io penso che non sia vero. Mi spiego meglio, se uno, o una, dice: “Io non ho un fidanzato, o una fidanzata, perché con tutto questo ricambio, questa offerta…” Be’, hai più possibilità per trovarlo, o per trovarla, no? O anche, quando andiamo alla stazione e sappiamo che un amico o un’amica arriva in treno e vediamo mille persone che escono, ecco, se tu cerchi un’immagine, te la ‘fai’, te la trovi.

Bisognerebbe anche possedere gli strumenti per poterlo fare, non credi?

Ma gli strumenti non è che uno li abbia dalla nascita, si fanno… In alcune occasioni mi è capitato di dire -per scherzo, non è vero- che copiavo da tutti, dal teatro greco, per esempio. Perché ho visto che per raccontare certe cose serviva il teatro greco, era come se si mettessero le persone su un palcoscenico, su questo rettangolo un po’ allungato; con modestia di non inventare niente, vedere ciò che hanno fatto gli altri nei secoli, nei millenni passati e trovare il proprio modo di raccontare. Il teatro greco è un grande raccontatore, con il coro, gli attori… ci fu un critico che associò una mia foto al teatro greco; in modo inconscio probabilmente lo era, perché non è che puoi dire: ‘Ecco, adesso copio il teatro greco”

Si capisce perfettamente, Tano, che le tue immagini non sono costruite, hanno al centro la verità e la vera umanità, non una loro rappresentazione. La riflessione che si può fare è che tu abbia questa dote speciale, riesci a trovare la bellezza, anche senza cercarla.

Ma per questo bisogna essere guidati, come quando uno vuole guidare la macchina deve andare a scuola guida, così si deve riflettere sulle immagini, guardare le immagini altrui, quelle di migliaia di anni fa, vedere come hanno fatto loro a colpire noi e perché le loro immagini ci colpiscono ancora

L’ultima domanda che vorrei porti riguarda la scrittura, i testi che accompagnano le foto di questo libro non sono didascalici, non c’è correlazione tra il testo e la foto accanto, come mai questa scelta?

Penso che parlare di immagini con le parole serva solo a distruggere le parole. Cosa vuoi raccontare? Allora usa le parole, no? I due linguaggi sono opposti: la parola scritta nasce per definire, concludere, racchiudere qualcosa che hai già pensato, mentre l’immagine è proprio il contrario, è il punto di partenza per pensieri che faranno gli altri, è un punto che più rimane inconcluso, meglio è.

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Maria Arcidiacono Archeologa e storica dell'arte, collabora con quotidiani e riviste. Attualmente si occupa, presso una casa editrice, di un progetto editoriale riguardante il patrimonio del Fondo Edifici di Culto del Ministero dell'Interno.

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