Veronica Botticelli: sono tutto quello che vedo. Roma, annamarracontemporanea

Due, anzi tre, sono gli elementi riconoscibili e ricorrenti nei lavori di Veronica Botticelli (Roma, 1979): il grande formato, le notevoli campiture di colore, la quotidianità. Sì, Veronica Botticelli realizza anche lavori dimensioni medie, ma solitamente i suoi sono quadri che superano di molto i due metri, realizzati nel suo luminoso studio di via Arimondi, dove altri artisti romani (secondo piano: Marco Colazzo, Mauro Di Silvestre, Alessandra Amici, Seboo Migone, Francesca Romana Pinzari; terzo piano: Elisabetta Benassi, Angelo Cricchi, Gianni Dessì; quarto piano: Piero Pizzi Cannella) hanno allestito i propri atelier. E, altrettanto abitualmente, su uno sfondo monocromo denso e pastoso, senza sfumature né ombre si staglia un oggetto. Prelevato dal quotidiano, decontestualizzato, esso è un oggetto che, senza l’attenzione al particolare e al dettaglio, nelle sue coordinate generali si svela per quello che è. Punto. Nell’essenzialità del soggetto, come in quella della pittura stessa, è racchiusa la sostanza della produzione artistica di Veronica Botticelli (semplicità a cui è pervenuta anche con la sua esperienza artistica con Pizzi Cannella). Senza doversi arrovellare per cercare significati reconditi o concetti empirici, ogni lavoro richiede di essere osservato per quello che rappresenta.

Il cursore diretto sulle immagini visualizzerà le didascalie; cliccare sulle stesse per ingrandire.


Questa galleria di oggetti diventa così una sorta di diario, una raccolta di pensieri e di stati d’animo che ogni giorno l’artista appunta sui suoi quadri. Viceversa, tracciano un ritratto intimo della stessa Veronica. sono tutto quello che vedo. Punto. E nell’apparente concisione del quadro, si nasconde, invece, un lavoro articolato, molto elaborato che la dicitura “tecnica mista” delle didascalie denuncia: un fondo costruito con colori a olio, china, pastello, carboncino, per alcuni anche l’acrilico. E, in certi casi, addirittura si stendono sopra ad altri quadri. Suddivisa in due sezioni, l’esposizione vede quindi raccolti dei lavori su metallo (solitamente frammentati in dittici o polittico) e altri su carta (tra cui quelli sulle buste ministeriali, anch’esse trasformate in una sorta di taccuino dove “appunta” un pensiero veloce: l’urgenza di fermare un’idea e di trascriverla immediatamente, sopra qualsiasi “pezzo di carta” a disposizione). Allora, al centro di questi grandi quadri, si dispongono quegli oggetti che sono parte integrante della vita di tutti i giorni e che, quasi involontariamente, evocano situazioni intime (forse) anche velate da leggera nostalgia. Si situano cioè una poltrona, un divano, una bicicletta, tutti con una linea un po’ retrò. Sceglie questi elementi perché, commenta la stessa Veronica Botticelli:

“i divani sono luoghi, spazi mentali. Interni ed esterni. Le poltrone sono come le platee. Luoghi dove restare o, come la bicicletta, per poter andare via. Ci si può sedere o guardare chi c’è seduto o forse chi se ne è appena andato. Perciò non c’è un significato nell’oggetto ma nella sua complessità, nell’insieme del lavoro.”

E questo senso di movimento, quasi di annullamento di quella permanenza che i lavori potrebbero suggerire, è reso dal Polittico, che appare come una sequenza filmica, oppure da Tanto tempo perso, in cui i francobolli restituiscono l’idea di un viaggio.

Info mostra

  • Veronica Botticelli – sono tutto quello che vedo
  • 16 aprile – 23 maggio 2013
  • annamarracontemporanea
  • via sant’Angelo in pescheria 32 – 00186 Roma
  • ingresso libero
  • da martedì a sabato, dalle 15.30 alle 19.30 su appuntamento
  • info: t. +39 06 97612389; info@annamarracontemporanea.it
  • www.annamarracontemporanea.it
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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