Bertozzi & Casoni. Così è (se vi pare)

Bertozzi & Casoni, Peggy e Yves, 2018, ceramica policroma, 23x32x22 cm

Al pirandelliano titolo Così è (se vi pare) della mostra da Anna Marra Contemporanea a cura di Lorenzo Crespi, si potrebbe soggiungere Niente è come sembra (Franco Battiato). Perché, negli oltre trent’anni di attività, il duo Bertozzi & Casoni a questo ci hanno abituato: al loro falso iperrealismo, dietro cui si celano infiniti significati. Quelli che ognuno, attraverso la propria sensibilità e le proprie esperienze, può consegnare.

Giampaolo Bertozzi (1957) e Stefano Dal Monte Casoni (1961), che dal 1980 hanno costituito la loro società a Imola e che, nel 2017, hanno inaugurato nella Cavallerizza Ducale di Sassuolo il loro museo, continuamente ribadiscono l’importanza della ceramica, medium d’elezione del loro agire artistico. Inserita nelle arti minori, tuttavia ha da sempre accompagnato il cammino dell’uomo, come suppellettile della sua quotidianità sia funzionale che decorativa.

immagine per Bertozzi & Casoni
Bertozzi & Casoni, Peggy e Yves, 2018, ceramica policroma, 23x32x22 cm

Siccome la pratica del duo è finemente puntuale e, all’apparente disordine, corrisponde invece un’accurata composizione formale, l’insieme dei finti banali dettagli notifica precisi contenuti.

Attraverso un virtuosismo e una maestria di diretta discendenza rinascimentale, che si sposano a tecnologie altamente innovative, essi creano sculture dove l’occhio è preso in inganno e la maraviglia seduce lo sguardo, che, lentamente, mette a fuoco i particolari e allinea il groviglio di tracce che il duo ha assemblato in un apparente accumulo confuso. Dal momento che nulla è lasciato al caso, ogni minuzia è unica nel plasmare l’armonia dell’insieme.

Come nelle tele cinquecentesche, si individuano i singoli elementi compositivi per un’interpretazione iconologica del quadro, così, davanti alle loro sculture, si resta catturati nel riconoscere le parti uniche, perdendosi nella dovizia di rifiniture. Riuscendo a fondere secoli di storia dell’arte, senza mai perdere di vista quella attuale (noti sono i loro Brillo Box; mentre in mostra Clay Island esplicitamente si riallaccia a Piero Manzoni), ogni scultura narra con lettere chiare e scandite la nostra contemporaneità.

Mentre il nouveau réalisme ha mosso Daniel Spoerri a porre in verticale le sue tavole imbandite di fine banchetto (che si materializza nel Ristorante Spoerri di Düsseldorf, 1968), conferendo quella sorta di sacralità artistica solitamente attribuita al quadro, Bertozzi & Casoni scelgono di conquistare lo spazio, di conservare la peculiarità della scultura in quanto oggetto immerso nell’ambiente.

Laddove Spoerri narrava il momento di transizione tra la fine di un pasto e il congedarsi dei commensali, Bertozzi & Casoni sono andati oltre quell’istante, perché alludono al frangente in cui gli avventori di un bar o i convitati sono andati via e si procede a sparecchiare, impilando alla bene e meglio tutto ciò che rimane sul desco (Quel che resta).

Anche con una buona dose di sarcasmo, essi ci mostrano in maniera spietata lo spreco, finanche lo sfregio, della nostra società. Una società consumistica, dell’usa e getta, che assegna scarso valore a tutto, in cui ogni oggetto perde importanza nello stesso istante in cui se ne viene in possesso, perché già proiettati nella bramosia di proprietà di un nuovo prodotto.

immagine per Bertozzi & Casoni
Bertozzi & Casoni, Cestino della discordia, 2018, ceramica policroma, 32,5x29x29 cm

Nella doppia versione del Cestino della discordia un’analisi degli scarti conferiti nel cestino fornisce una perfetta radiografia dell’uomo consumistico, dove quelle chiocciole, che lentamente scalano il cestino e si insinuano tra le ammiccanti scatole di packaging o bicchieri di carta per bevande industriali, oltre al simbolo della prosperità e sicurezza materiale, come anche della perfezione, sembrano invitare a rimanere ancorati a terra, a cercare nuovi valori.

E Tavolino Roma è una perfetta metafora anche della Capitale, divisa tra il lusso, l’apparenza e la decadenza. Una società, quindi, malata, che ha riempito le cassette del pronto soccorso con un’infinità di articoli che illudono di restituire sicurezza, sollievo, di lenire le afflizioni, ma che di fatto non curano assolutamente i mali profondi della comunità. Composizione 14 è, infatti, l’installazione modulare che sferza immediatamente lo spettatore, ponendolo di fronte alla sua sterile vanità.

Quella vanità cui, probabilmente, può porre rimedio la leggerezza d’animo, la bellezza, l’amore per l’arte, proprietà che trasudano in Peggy e Yves: una borsetta di pelle lucida al cui interno ci sono tutti gli attributi inconfondibili di Peggy Guggenheim, su cui si posano lievi delle farfalle, ovvero lievità, ma anche fuggevolezza della vita e, soprattutto, trasformazione dell’animo per arrivare alla perfezione.

Anna marra Contemporanea

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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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