Francesco Arena. Tre sequenze per voce sola

immagine per Francesco Arena

Contrariamente alla loro apparente semplicità formale, i lavori di Francesco Arena (1978, Torre Santa Susanna, Brindisi) -appena nominato tra la rosa dei sei vincitori della quinta edizione dell’Italian Council-, sono tutt’altro che espliciti e facili. Perché, nella loro formalizzazione minimale, quattro elementi, anzi, cinque, sono pressoché imprescindibili dalla pratica scultorea dell’artista pugliese.

La storia -nelle sue diverse accezioni di storia collettiva e individuale, di memoria, dello scorrere del tempo-, come la cronaca, i numeri e il titolo (spesso molto simile a un rebus), procedono, infatti, sempre di pari passo e sono il perno intorno al quale l’opera si costruisce e prende corpo.

E, guardando in sequenza i suoi lavori, si possono quasi ripercorrere alcune delle tappe cruciali della nostra storia recente o scoprire aneddoti, pubblici e personali, a molti sconosciuti.

Penso a Occhio destro occhio sinistro, il lavoro presentato nella personale Com’è piccola Milano del 2011, nell’ormai chiusa galleria meneghina Peep Hole. In due “semplici” lastre c’è tutto un universo.

Il paio di lastre (rispettivamente cm 101×80 e 90×80) ricalcano fedelmente le due targhe commemorative impiantate nell’aiuola della tristemente nota piazza Fontana. Entrambe dedicate all’anarchico Giuseppe Pinelli, una, abusiva fino al 2000, è stata collocata da Gli studenti e i democratici milanesi, l’altra, quella ufficiale, dal Comune di Milano.

La prima con la dicitura “A/GIUSEPPE PINELLI/FERROVIERE ANARCHICO/UCCISO INNOCENTE/NEI LOCALI DELLA QUESTURA DI MILANO/IL 16.12.1969”, la seconda, sempre “A/GIUSEPPE PINELLI/FERROVIERE ANARCHICO” ma “INNOCENTE MORTO TRAGICAMENTE/NEI LOCALI DELLA QUESTURA DI MILANO”.

Oggetto entrambe di vicendevoli atti vandalici, convivono, attualmente, nello stesso lembo di prato a pochi centimetri di distanza.

L’artista ha ripreso la frase cardine di entrambe le lapidi (ucciso innocente e innocente morto tragicamente), tralasciando tutto il resto, le ha incise nelle due rispettive lastre approntate nelle due diverse pareti all’angolo dell’ambiente della galleria perpendicolari tra loro, all’altezza dei suoi occhi (ecco l’elemento personale che, sotto varie forme, è sempre presente): ponendosi di fronte, a seconda dell’occhio che si chiude, si legge l’una o l’altra frase, lasciando, al visitatore, la libertà di interpretazione.

Indicazioni personali, finanche tradotte come autoritratti, sono esplicitati nel lavoro I giorni, presentato nel 2015 nella prima personale Sette, uno, quattro nella Galleria Raffaella Cortese. Col sottotitolo “I giorni (57)”, “I giorni (110)”, “I giorni (210)”, sta ad indicare una scultura composta da tre pali alti 166,5cm, squadrati (10x10cm), di bronzo lucidato, con delle riseghe di altezze diverse collocate ad una certa quota, su una sola facciata.

L’altezza corrisponde alla statura dell’artista stesso, mentre le riseghe corrispondono alla lunghezza della barba, sempre dell’artista, cresciuta in un certo lasso di tempo, rispettivamente, i cinquantasette giorni trascorsi tra gli atroci attentati di Capaci e via D’Amelio nel 1992; i centodieci giorni dell’ultimo soggiorno di Nietzsche a Torino, e i duecentodieci sono quelli della durata della prima guerra del Golfo.

Durate drammatiche di eventi altrettanto tragici che, sulla storia e memoria collettiva, lasciano segni profondi e che, in quella individuale, nella quotidianità, se presi dal solito tran tran, possono addirittura scivolare via senza lasciare alcuna traccia, se non riflettersi in pochi centimetri di barba più lunga.

Un approccio, quindi, con la storia, letto attraverso il proprio corpo, in un passaggio di relativizzazione legato al contesto di ognuno di noi, “filtrato dalle esperienze e dai pensieri che informano un dato momento della mia vita”.

Ma, agli elementi sopradetti, se ne può aggiungere anche un sesto: la ricerca che Francesco Arena conduce sul concetto di monumento. Come nel caso di Marmo con 3274 giorni, uno dei tre recenti lavori presentati in Tre sequenze per voce sola, la seconda personale da Raffaella Cortese.

Un lavoro che acquista ulteriore significato alla luce degli ultimi sviluppi giudiziari della drammatica vicenda di Stefano Cucchi, a seguito della testimonianza del carabiniere Francesco Tedesco. Lasciato grezzo nella parte posteriore, il blocco di marmo, il materiale per antonomasia utilizzato per il monumento commemorativo, è perfettamente levigato in quella anteriore, dove è stata scavata una piccola nicchia, uno scrigno, dove sono stati incassati e compressi fogli di agende.

Essi segnano 3274 giorni, il tempo trascorso tra il 23 ottobre 2009, giorno in cui fu resa pubblica la morte del ragazzo, e quella del 10 ottobre 2018, quando, Tedesco racconta che alcuni suoi colleghi picchiarono Stefano Cucchi durante lo stato di fermo.

Fogli incastonati che evocano i biglietti incastrati tra le fessure del Muro del Pianto o quelli lasciati preso le statue dei Santi ritenute miracolose. Visivamente pochi centimetri ma, emotivamente, nove lunghi anni di indagini, di depistaggi, di sofferenza per la famiglia. Un tempo che è un macigno, un peso sulle coscienze di coloro che hanno depistato.

Come per la precedente mostra, Francesco Arena distribuisce, con impeccabile equilibrio, i lavori nei tre spazi della Galleria. Tre distinti atti che raccontano un’unica storia, narrata da una sola voce, quella dell’artista. Riferiscono, cioè, come, al di sotto della Storia, brulichi quella individuale, e come le distanze, fisiche e materiali, a volte siano solo mentali.

È il caso di Angolo Scontento (Hommage à la mort de Sigmund Freud), il perimetro di un grande triangolo che occupa pressoché tutto lo spazio. Un triangolo in rame opaco, nelle facciate verso lo spettatore, specchiante nelle facciate interne.

Sospeso a metà, ostacola la vista del visitatore, non permette di vedere nitidamente la sorgente della voce narrante: una persona nata nello stesso anno di morte del grande psicoanalista austriaco.

Un tempo, quello tra Freud e noi, percepito lunghissimo, quando, invece, delle persone sono nate in quell’anno e sono tuttora viventi, ma che, una volta trapassati anche loro, lasceranno definitivamente vuoto quello spazio.

La sintesi numerica, ulteriore elemento presente nei lavori di Francesco Arena, è realizzato in Linea finita (orizzonte Gianluigi). Già in altri lavori, come in Orizzonte presentato da Monitor Gallery, Arena aveva trattato il concetto di orizzonte, la linea che divide il mare dal cielo, qui è una registrazione su nastro magnetico della lunghezza risultante dalla formula che consente di calcolare la distanza massima tra l’osservatore (Gianluigi) e l’orizzonte che sta osservando, in questo caso 4.630m. Su questo nastro di 4.630m Gianluigi racconta la sua storia, per sei ore, quarantasei minuti e otto secondi.

Info mostra

Francesco Arena – Tre sequenze per voce sola

  • Galleria Raffaella Cortese
  • via Alessandro Stradella 7, 1, 4 – 20129 Milano
  • fino al 24 aprile 2019
  • orari: da martedì a sabato 10.00-13.00/15.00-19.30
  • ingresso libero
  • info: + 39 02 2043555 – galleria@raffaellacortese.com
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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