Giorgio Andreotta Calò – CITTÀDIMILANO a Pirelli HangarBicocca

immagine per Giorgio Andreotta Calò

Fondamentalmente, la personale di Giorgio Andreotta Calò (Venezia, 1979), si concentra su tre serie di lavori che meglio sintetizzano la riflessione dell’artista. Infatti, entrando  – all’Hangar Bicocca/Pirelli –  si notano subito Clessidre, Meduse e Carotaggi.

Poi, osservando con più calma, si intravedono anche gli altri. Tuttavia, prima di inoltrarsi nella fitta selva delle opere, si registrano due elementi: l’accostamento di lavori pensato dallo stesso Andreotta Calò, pur tracciando il suo percorso artistico e concedendo libertà di movimento e di interpretazione al visitatore, presenta delle giustapposizioni che, in alcuni passaggi, appaiono disarmoniche e trasmettono la sensazione di un’accumulazione scoordinata; in secondo luogo, alcuni lavori, realizzati per precise occasioni (vedi Città di Milano), avulsi dal contesto per cui sono stati eseguiti, senza una scansione allestitiva, concreta e visibile, che ripropone lo spazio per il quale erano stati concepiti, perdono di intensità.

Nonostante gli elementi architettonici dei tralicci siano stati inglobati nell’esposizione, trasformati in supporti per Pinnae Nobilis e DOGOD, in generale si presentano come lavori che trasmettono la sensazione di essere stati lasciati nel grande ambiente, in attesa di essere collocati in modo più ordinato e puntuale.

Anche se la linea dell’Hangar è quella di lasciare il grande ambiente dello Shed libero da interventi strutturali di allestimento, solitamente sono state individuate opere capaci di sostenere lo spazio, opere, cioè, che, senza difficoltà, si armonizzavano e si adagiavano perfettamente in esso (penso alla personale di Damian Ortega: ovviamente artisti diversi, lavori diversi, ricerche diverse, ma un’associazione mentale che palesa la differenza).

Solo approfondendo l’idea che sottostà all’intera esposizione, non solo si colgono gli intenti, ma si districano pure alcuni nodi di lettura, riuscendo così, seppure con delle leggere forzature, a chiudere il cerchio e far rientrare tutto nel ciclo allestitivo ed espositivo.

Partendo dall’evocazione del piroscafo posacavi Città di Milano, Andreotta Calò tira in ballo la stessa famiglia Pirelli.

Il suddetto piroscafo, infatti, fu costruito per volontà di Giovan Battista Pirelli all’indomani degli accordi che strinse con la Direzione Generale dei Telegrafi e il Ministero per la Marina. Decidendo di portare in Italia l’industria dei cavi elettrici sottomarini, Giovan Battista Pirelli fondò, nel 1879, la Società Pirelli Cavi, capofila mondiale nell’ambito delle reti telegrafiche sottomarine, e, dopo gli anzidetti accordi, fece costruire il piroscafo negli arsenali di Sunderland, varato nel 1886.

Il 16 giugno del 1919, partito da Salina, nell’intento di verificare la boa di ormeggio davanti a Filicudi, nonostante fosse segnalata sulle mappe, il piroscafo si incagliò nella secca di Capo Graziano e calò a picco poco dopo. Così, la ricorrenza del centenario del naufragio, ha offerto lo spunto dell’intero impianto nonché del titolo dell’esposizione.

L’intero Shed, dunque, è stato considerato come il contenitore delle opere “pensate come un arcipelago di simboli e significati e ciascuna legata a un particolare contesto geografico”.

Nella direttrice dedicata al capoluogo meneghino, costruita tra il video Senza Titolo (Jona), posto sulla parete costruita davanti l’ingresso dello spazio, e Città di Milano, il lavoro su carta fotosensibile realizzato attraverso il foro stenopeico, sistemato nella parete di fondo come quinta scenografica, si collocano principalmente i Carotaggi.

Posizionati in modo da ricostruire le diverse profondità di estrazione dal sottosuolo e con un andamento leggermente obliquo, essi formano una sorta di tappeto che ridisegna il pavimento e spezza la visione ortogonale dello Shed.

Il video iniziale, dal titolo ambivalente e, tuttavia, indiziario, evoca Jona che visse nella balena; però, allo stesso tempo, chiama in causa l’ingegnere Emanuele Jona a bordo del piroscafo durante diverse missioni. A questo video è, infatti, affidata l’apertura, il prologo dell’intera mostra: attraverso l’acqua, e con immagini anche di repertorio, si intravedono dei sommozzatori che perlustrano il relitto del piroscafo adagiato a 90m di profondità, gettando così un ponte temporale fra il passato e il presente.

Da sempre interessato al concetto del trascorrere del tempo, come all’idea di stratificazione, temporale e materiale, attraverso molti suoi lavori, nei quali attua modalità scultoree tradizionali, Andreotta Calò dà forma ai processi di trasformazione dei luoghi nei quali opera.

Utilizzando i diversi elementi naturali (luce, acqua, fuoco), ad essi affianca anche un’ulteriore pratica artistica, il camminare, tramite la quale (come i suoi più immeditati predecessori Hamish Fulton o Richard Long), suggella un rapporto diretto con l’ambiente naturale circostante, trasformando alcune idee in esperienze vissute, con gesti umili e attraverso la sequenza temporale.

Il tempo è, dunque, l’elemento presente in ogni suo intervento e opera. Nei Carotaggi/Produttivo, nelle Clessidre, nelle Meduse, direttamente collegate con la sua città natale, Venezia (anch’essa, in qualche maniera, evocata nella maggioranza dei suoi lavori), decisamente esprime tale concetto, quello del trascorrere del tempo: la stratificazione dei materiali del sottosuolo individuati con i carotaggi (campionati nella laguna di Venezia e nel Sulcis Iglesiente); la sovrapposizione di due briccole, ovvero i pali di legno conficcati nel fondale lagunare per delimitare le vie e ormeggiare le imbarcazioni, di legno, che il moto perpetuo delle maree corrode (nelle Clessidre, proposte anche nella riproduzione bronzea) e, nelle quali, fa il suo ingresso il tema del doppio e della specularità; le briccole perfettamente levigate nella parte superiore, lasciando irregolare quella inferiore, quella corrosa (nelle Meduse, pure queste riprodotte ugualmente in bronzo), tutte sottintendono il trascorrere del tempo.

Anche nelle Pinnae Nobilis (un mollusco di grandi dimensioni presente nel Mediterraneo da cui si ricavava il bisso marino, filamento utilizzato per tessuti e ricami preziosi), riprodotte in bronzo, lasciando in evidenza i canali di colata, e mimetizzate nell’architettura dello Shed, oltre a voler sottolineare il ripopolamento di questa specie nella Laguna, ritorna il concetto di rispecchiamento (a tal proposito, come non ricordare la suggestiva installazione dell’artista nel Padiglione Italia nella 57.Biennale di Venezia).

È nell’opera dallo spagnoleggiante titolo Volver che può essere identificata una sorta di summa della prassi artistica di Andreotta Calò: la piccola imbarcazione, adoperata dall’artista per attraversare la Laguna, è stata dapprima utilizzata in una performance, poi trasformata in scultura.

Nel corso della performance, nel 2008, l’artista, ha compiuto un “volo”: con la piccola barca, appesa ad una gru, ha eseguito un “viaggio” circolare sul tetto della galleria Zero di Milano, mentre il pubblico ha potuto rivedere il volo per mezzo delle immagini riprese e proiettate all’interno della galleria e, se desiderava, salire sul tetto per osservare dal vivo l’imbarcazione che era stata sezionata a metà e, adagiata su una superficie d’acqua, sfruttando l’effetto ottico del riflesso, rimandava al visitatore l’immagine completa o sdoppiata della barca.

Riprendendo questo lavoro, l’artista l’ha riportata alla sua forma originaria e, sistemandola sul pavimento, le ha conferito le sembianze di una grande conchiglia; la proiezione delle diapositive con le immagini dell’azione del 2008, completato l’opera, riproponendo, in tal modo, il volo effettuato circa dieci anni fa.

Città di Milano, la grande fotografia in bianco e nero che, idealmente, non solo chiude la mostra, ma diventa orizzonte e, allo stesso tempo, cielo della direttrice espositiva, un “sopra” superiore al “sotto” del mare (le sculture a terra).

La foto, che mostra la veduta della città meneghina ottenuta mediante il foro stenopeico nella camera oscura realizzata in tutto il trentunesimo piano del Grattacielo Pirelli: in tal modo compie un ideale collegamento visivo tra l’Hangar e il Grattacielo, abbattendo così le distanze fisiche e offrendo un’apertura ideale, un paesaggio, uno sfondamento dello Shed, che sicuramente, tolta dal suo contesto primigenio, l’immagine avrebbe ottenuto un miglior effetto visivo e fascinazione se le sue dimensioni fossero state maggiori o contestualizzata in un preciso allestimento.

Info mostra

  • Giorgio Andreotta Calò – CITTÀDIMILANO
  • Pirelli HangarBicocca
  • via Chiese 2 – 20126 Milano
  • fino al 21 luglio 2019
  • ingresso gratuito
  • orari: da lunedì a mercoledì chiuso; da giovedì a domenica 10-22
  • info: t. (+39) 02 66 11 15 73 – info@hangarbicocca.org – www.hangarbicocca.org
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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