Luisa Rabbia – Love alla Collezione Maramotti

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Luisa Rabbia - Ph. Dario Lasagni

Luisa Rabbia – Love alla Collezione Maramotti, fino al 18 febbraio 2018.

La mano del cuore o la mano del diavolo. È così che è stata sempre percepita la mano sinistra. Basti ricordare che lo stesso Leonardo venne duramente rimproverato di usarla -ma conosciamo bene il perché di tale critica. Anche Luisa Rabbia (Pinerolo, 1970), per vergare i suoi segni/disegni che formalizzano pensieri, emozioni, riflessioni, stati d’animo, ha l’abitudine di servirsene.

Le sue osservazioni, seppur attinte dal personale quotidiano, non si soffermano mai esclusivamente sulla propria sfera personale, bensì travalicano i limiti dell’esclusivo privato per divenire meditazioni collettive e universali.

Perché ad ognuno appartiene quell’andamento e movimento ondoso dell’andare e venire (ovvero Coming and Going, installazione del 2012 esposta da Peter Blum, New York). Spostamento, ovviamente, non solo fisico, ma inteso anche come concetto, sociale e psicologico. Con un ulteriore senso di attualità, se associato alle notizie di migranti imbarcati per sfuggire alle loro realtà, che non sempre riescono a concludere vivi il loro viaggio.

Identificarsi idealmente, se non addirittura materialmente, con tale concetto, fa di tutti noi dei migranti (come Luisa Rabbia, che dal 2000 vive a New York: da quando, cioè, fu invitata da Ombretta Agrò alla Gale Gates Gallery), che si spostano verso altri luoghi, fisici o mentali, e seguono il ciclo della vita, procedendo verso l’ineluttabilità del trapasso.

Nei racconti, l’artista non nasconde le difficoltà incontrate all’indomani del suo trasferimento, da quelle linguistiche a quelle economiche. Primi anni che hanno accresciuto il valore del disegno perché, come ha affermato in alcune interviste, non conoscendo perfettamente la lingua, il disegno le permetteva comunque di esprimersi, una sorta di scrittura per immagini.

Un sentirsi sradicata, metaforicamente espresso nella rappresentazione di tronchi o di arterie tagliate; nelle amputazioni, volontarie o imposte, raffiguranti un passato col quale si sono tagliati i ponti.

Così, dagli originari disegni su qualsiasi pezzo di carta, ha poi iniziato a stendere i segni su sculture di cartapesta, superando la bidimensionalità del disegno in una relazione e, soprattutto, occupazione dello spazio. Dal momento che in Luisa Rabbia qualsiasi elemento acquista un valore simbolico, anche il colore blu dei suoi lavori ha un peculiare senso.

Blu è il colore della biro utilizzata già nei primi disegni, realizzati tra una comanda e l’altra durante il suo lavoro di cameriera.

Blu è anche quel colore che crea una dimensione maggiormente astratta, diversa dalla realtà: non è il nero delle tenebre, bensì quell’attimo prima del buio; è la rappresentazione dell’armonia, dell’equilibrio, della pace, dello spazio, della potenza creatrice (non a caso, per i cinesi è il colore dell’immortalità e per i buddisti rappresenta il cielo).

Per Luisa Rabbia è, poi, divenuto il blu delle vene, ma anche quello della pelle, tuttavia una pelle universale, che non ha una specifica identità, su cui tracciare esperienze sì personali, ma con una valenza collettiva.

Passaggi e fasi rintracciabili nella personale recentemente inaugurata presso la Collezione Maramotti, visitabile fino 18 febbraio 2018.

​Dal denso titolo Love, l’esposizione, infatti, attraversa quasi tutti i passaggi del suo percorso artistico dalla mostra personale alla Fondazione Merz nel 2009.

Love è, altresì, il titolo del grande lavoro (274x513cm) su tela, sviluppato con matite colorate e acrilico, in cui si confondono delle impronte digitali.

Il primo di un lavoro pensato come una trilogia, in cui i colori abbozzano due corpi, dei quali non è facile definirne precisamente il sesso (ma è veramente importante definirlo?). Due corpi abbozzati, con contorni indefiniti, che si fondono nella parte genitale, a confondere appunto il genere, per dichiarare l’universalità dell’amore.

Una presenza, quella delle figure, che in qualche modo rende però un po’ troppo didascalico il lavoro, rendendo, nella sua semplificazione, troppo esplicito il senso, nel costante interesse a tracciare connessioni fra l’interno del corpo e il paesaggio circostante, tra l’esperienza personale ed il collettivo.

Tra la decina di opere esposte, senza dubbio spicca Another Country, titolo mutuato dall’omonimo libro di James Baldwin, il grande wall painting site-specific, realizzato da Luisa Rabbia durante la sua residenza in Collezione.

Un’indistinta folla di teste galleggia sugli abissi del mare. In realtà, tante impronte che, nonostante la loro specificità e perfetta riconducibilità a un esatto individuo, non esplicitano il sesso, l’età e tanto meno l’etnia.

Tanti esseri viventi che si tengono a galla, sbattuti dagli eventi della vita; tanti migranti che cercano una sponda sicura; una folla sospesa in attesa di un evento o dopo un accadimento; il nostro interiore; i nostri simili. Sono alcuni dei significati che l’esteso pastello può evocare.

Nel poetico From the Within Out (2009), un disegno su carta, anch’esso di dimensioni sostenute (114x187cm), è rintracciabile un altro dei temi ricorrenti nell’artista: quello del sonno (di nuovo quella fase sospesa, che si pone a metà tra la vita e la morte).

Tanti volti di corpi ammassati (che, però, richiamano immediatamente quelli delle fosse comuni che hanno caratterizzato tante guerre e altrettanti regimi), con gli occhi chiusi che, per l’artista, sono ripresi durante il riposo, momento in cui si approda al sogno, inteso, però, come tempo di evasione rispetto a quello che è intorno, alla realtà, i cui lineamenti sono gli unici indizi che sottolineano la copresenza di culture diverse.

Che è l’unica alternativa possibile per una quieta convivenza.

Info mostra

  • Luisa Rabbia – Love
  • fino al 18 febbraio 2018
  • Collezione Maramotti
  • via Fratelli Cervi 66 – Reggio Emilia
  • ingresso libero
  • orario: giovedì e venerdì 14.30-18.30; sabato e domenica 10.30-18.30
  • info: +39 0522 382484 – info@collezionemaramotti.org –  www.collezionemaramotti.org
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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