Cristiana Pacchiarotti e i suoi Giochi d’Oriente: la dura via dell’integrazione

Giochi d'oriente. di Cristiana Pacchiarotti

L’imponente installazione Giochi d’Oriente di Cristiana Pacchiarotti (Roma, 1970) appositamente pensata per Interno 14 è molto suggestiva. E i numeri ne confermano l’imponenza. 20.000 palline, 360 fili per i 4 m di altezza, 3 mesi pieni di lavoro. Come una lama, taglia in due lo spazio. Ma non è un taglio violento, bensì delicato e, soprattutto, indolore. Perché il suo muro/non muro, è una lunga tenda, di quelle con tutti i fili, che ingombra/non ingombra. È, difatti, un ingombro visivo, che si trasforma in mentale. Ma basta un semplice gesto per farlo scomparire. Basta voler attraversare, voler andare oltre, voler superare il falso ostacolo, per fruire dello spazio nel suo insieme e rendersi così conto che niente e nulla impedisce il libero movimento. Con questa leggera installazione Cristiana Pacchiarotti ha visivamente e materialmente espresso pensieri e emozioni che aleggiano non solo in lei. Perché Interno 14 si trova nel cuore dell’Esquilino, contigua a piazza Vittorio, quella piazza romana che, per antonomasia, rappresenta multirazzialità e multiculturalità.  Per questo la titolazione Oriente, ché nell’immaginario collettivo sottintende la Cina o il Giappone; ma qui, nell’Esquilino, indica, essenzialmente, la grande comunità cinese, che, lentamente, si è insediata in gran parte del quartiere, e le numerose insegne con ideogrammi lo attestano ovunque. Ma per sottrarre pesantezza a pensieri e realtà così ampi e complessi, l’artista ha anche voluto trasmettere quella caratteristica che la contraddistingue, la leggerezza. Da qui Giochi, nelle sue molteplici sfumature, e quindi il titolo stesso del lavoro. Ovviamente leggerezza da non confondere con superficialità. Perché, Cristiana Pacchiarotti, la realtà del quartiere la conosce bene, sia per la frequentazione, che per il fatto di averci vissuto per un certo periodo. Racconta:

“Alla vigilia dell’allestimento, quando avevo già deciso quale lavoro realizzare ho tentato in tutti i modi di coinvolgere quella collettività addirittura parlando con il capo della comunità. Sono entrata nei negozi per chiedere la collaborazione di ognuno – che avrei retribuito – per realizzare le palline di carta, perché per me era ovvia l’assonanza carta/palline-perle/cinesi. Ma non c’è stato verso. Mi hanno respinta. L’unico appoggio che ho ottenuto sono stati i giornali: me li mettevano da parte e me li consegnavano ogni volta che passavo a ritirarli”.

Da qui, è nata l’idea di dividere lo spazio, di sottolineare e mettere in evidenza questa separazione sociale, invisibile ma esistente. Certo, la caratteristica principale di Cristiana Pacchiarotti è la leggerezza, che, velatamente, oscura, utilizzando, nella presentazione del lavoro, una citazione sulle ombre, di Martin Luther King. Ma una citazione anche funzionale, perché utile a sottolineare l’altro concetto a lei caro, quello, appunto, dell’ombra. Quindi dell’apparenza, del vedere/non vedere, dello spingere a interrogarsi su qual è la realtà? L’oggetto o la sua ombra? Si palesa, in questo modo, anche una chiara connotazione politica di tutta l’installazione.

“Come il quartiere apparentemente integrato, in realtà ha delle tacite distinzioni, così lo spazio espositivo è diviso. Ma da qualcosa che in realtà non ostacola materialmente, lascia la possibilità di scegliere se attraversarlo o no”.

Un lavoro realizzato anche con l’aiuto di amici, un lavoro corale. Il contributo di persone amiche ha così supplito al mancato coinvolgimento della comunità, realizzando, in questo modo, una sorta di abbraccio a chiunque voglia entrare nello spazio.

Info

  • Giochi d’Oriente | Cristiana Pacchiarotti
  • Interno14
  • via Carlo Alberto 63, Roma
  • La mostra è visitabile dal 25 marzo al 2 aprile su appuntamento: t. 3389114093
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Daniela Trincia nasce e vive a Roma. Dopo gli studi in storia dell’arte medievale si lascia conquistare dall’arte contemporanea. Cura mostre e collabora con alcune gallerie d’arte. Scrive, online e offline, su delle riviste di arte contemporanea e, dal 2011, collabora con "art a part of cult(ure)". Ama raccontare le periferie romane in bianco e nero, preferibilmente in 35mm.

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