Festival delle Letterature 2022. Tempo Nostro. Identità per Kitamura Maraini Galchen Whitehead.

Salendo lentamente il basolato del Foro Romano si andavano scoprendo i massicci palazzi dei più grandi imperatori romani, poi lo stadio Palatino o Anfiteatro Domiziano ci ha accolto nella sua ampia cornice (160 metri per 48) per la serata Identità del Festival delle Letterature di Roma 2022, denominata Tempo Nostro.

Con Katia Kitamura, Dacia Maraini, Rivka Galchen, Colson Whithead e lo spettacolo multimediale dei Chiasma abbiamo passato due ore piene di spettacolo e cultura “come ai tempi di Nicolini nelle estati romane degli anni ’70 ”, citazione che torna sempre nell’immaginario collettivo dei romani e forse di tutti gli italiani. Lo spettacolo è stato molto interessante ed intelligente, variforme, all’altezza delle manifestazioni europee, che non hanno però gli stessi scenari storici.

Frutto di oculate realizzazioni della concept e curatela, che ha introdotto l’evento, Simona Cives, della regia e coordinamento artistico dell’ormai supernavigato Fabrizio Arcuri, della regia video di Lorenzo Letizia e del comitato scientifico Paolo Di Paolo, Melania Mazzucco, Davide Orecchio, Igiaba Scego, Nadia Terranova.

Da non dimenticare la importante collaborazione con gli organi comunali dell’ospite della serata, la sovrintendente al Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo e del Sistema delle Biblioteche di Roma, il commissario Vittorio Bo. E le circa 20 case editrici che con la presenza di tanti scrittori hanno reso possibile la manifestazione.

In questa 21a edizione del Festival, come è evidenziato dalla sua denominazione, si è voluto omaggiare, oltre il centenario della morte di Marcel Proust, che del tempo vissuto ha costituito il suo capolavoro Alla ricerca del tempo perduto, indissolubili legami tra la letteratura, l’arte contemporanea e la vita corrente, scanditi dagli eventi contemporanei, come le epidemie, le guerre, le difficoltà di rapporti.

Abbiamo assistito ad inediti di autori provenienti da differenti luoghi del mondo, intervallati da performance in cui originali coreografie, musica classica e discomusic, grafica panoramica e psichedelica e balletti antichi e new age sono stati il legame connettivo delle parole e dei concetti espressi da eccezionali scrittori moderni (premi letterari più conosciuti del mondo come il Pulitzer, il Man Booker Prize, National Book Award, il Premio Strega, ecc.).

Un mondo diverso di Katia Kitamura: la scrittrice giapponese-americana (Tra le nostre parole – Bollati Boringhieri 2021) ha trattato il tema dell’epidemia (Covid 19) che abbiamo passato negli ultimi due anni, con un inedito pieno di risvolti interessanti.

Quando l’epidemia era sul punto di scoppiare nella città di Covengton (Georgia) e tutti ancora si comportavano normalmente frequentando locali pubblici o feste, consapevoli che in ogni gruppo c’erano già alcuni infetti.

Il suo incontro con una Cassandra, che aveva studiato i virus ed informava gli altri, inconsapevoli ma preoccupati, con statistiche ed altro. “Per la maggior parte delle persone è un semplice raffreddore ma per altri è peggio. Degenera in polmonite, porta al ricovero ed in alcuni casi alla morte. Frasi ad effetto come il virus è ovunque o è troppo tardi, comunque recepite senza sapere o con le conoscenze di internet che cosa ci hanno fatto?” si interroga ancora la scrittrice.

Il giorno dopo l’incontro con la studiosa il numero dei malati era triplicato, la settimana seguente, con la prima ondata, il lockdown.

“C’era forse soddisfazione nel condividere infauste previsioni? – si chiede la Kitamura – Cercavamo certezze? Ma non ci avevano detto che il vaccino avrebbe fermato il virus? Chi aveva previsto tutte le altre ondate? E la politicizzazione delle mascherine e dei vaccini?” Purtroppo, ha concluso la Kitamura, tutto quello che succede (cambiamenti climatici, pandemie, guerre, carestie) vanno al di là della nostra immaginazione.

Compito della letteratura è quello di osservare il mondo ed il linguaggio. Ma ora è difficile da percepire. Usiamo numeri, statistiche, ma non siamo capaci di vedere la realtà. Intanto dopo due anni sono anch’io infetta. Incredula! Ho fatto i miei 10 giorni di esilio e quando sono riemersa sono uscita, mi sono guardata intorno cercando i dettagli. Non era più lo stesso mondo di prima”.

Dacia Maraini (Caro Pierpaolo – Neri Pozza 2021) ci ha parlato con delle belle poesie della guerra in Ucraina. Cosa resta del Mar Nero? Per la scrittrice, una bambina senza gambe, cadaveri risucchiati dalle onde, pesci che non salgono più su a curiosare, pezzi di plastica e cani ammazzati.

L’acqua della memoria ferita riconoscerà solo l’odore dell’odio che muore… Nell’acqua coi suoi quadrati di luce che danzavano sui fondali non c’è rimasto che un quarto di carrarmato, bombe, scarpe rotte e fucili arrugginiti”.

Poi la scrittrice ci ha letto una poesia su alcuni incontri. Ha incontrato un delfino che ha incontrato un pesce marrone e viola che rassomigliava ad una balena ma era un siluro. Ha incontrato un corvo che si era incontrato con una bomba marzolina. Ha incontrato un gatto che aveva incontrato qualcosa che era una mina ed è saltato per aria. Ho incontrato un cane che girava intorno ad una bicicletta ed il suo padrone che aveva due buchi negli occhi e sangue che usciva dalla bocca.

Infine l’autrice ci ha raccontato i dubbi sul male di una bambina dal collo lungo in una scuola. “Che cosa è il male? La guerra è male? Combattere il male con il male? Come si fa a vincere il male? Se Dio non ce la fa a vincere il male come facciamo noi?”, si interrogava la piccola.

Rivka Galchen (Lo sanno tutti che tua madre è una strega – Codice Edizioni 2022) ha recitato l’inedito Non dirlo a mamma.

È un brano per realizzare quanto i genitori imparino dai loro figli, anche di pochi anni. L’autrice ha una bambina di 4 anni, che attraverso le sue domande sulle mummie e sul perché le persone muoiano l’ha fatta riflettere che nella sua famiglia non si parlava mai di morte e dopo la morte del padre si era continuato a rispettare la regola che della morte non si parla. “In fondo tutti si erano abituati ad ignorare i fantasmi – ha affermato la Galchen – ma le domande di sua figlia: tu morirai? Conosci qualcuno che è morto? Quante persone sono morte, questa o quella persona morirà?”

L’ha aiutata a ritrovare la memoria ed i ricordi di suo padre. Come anche a capire come amici e conoscenti che hanno perduto i loro cari riescano a convivere con i loro fantasmi, pur continuando la vita. L’ultima cosa che la figlia le ha insegnato – ha concluso la scrittrice – è la frase estremamente matura “Mamma non parliamone più” nel momento in cui si debbono risolvere conflittualità nascenti.

Colson Whitehead è uno dei massimi scrittori contemporanei, ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 2016 per La ferrovia sotterranea e nel 2019 per I ragazzi della Nickel. Il ritmo di Harlem invece è un libro sulla musica jazz pubblicato in Italia da Mondadori nel 2020.

Whitehead ha letto l’inedito Il comico.  Un comico un giorno alle domande di un conduttore disse che raccontava barzellette per avere quella visibilità che non aveva mai avuto da piccolo o nei primi anni di gavetta. Pensava spesso di essere invisibile, di non essere considerato. Una premessa per Whitehead per raccontare la storia di un comico di successo.

Questi da piccolo aveva sperimentato le smorfie davanti allo specchio, il linguaggio figurato, poi più avanti le metafore, i fenomeni dissimili ed inattesi, i collegamenti, le esagerazioni ecc. Pian piano sviluppò il suo numero. Man mano che si esercitava i suoi sketch diventavano spettacoli. Creò Danny il dentista o l’Autista di limousine. Entrò nel giro dei club e migliorò il suo repertorio, ma non era un grande inventore, conosceva il mestiere. Si godeva i soldi e l’ascolto di migliaia di persone.

Una sera mentre interpretava Danny disse: “Se avessi saputo che dal dialogo con gli altri si ricava così poco non avrei mai imparato a parlare”. Il pubblico rise molto e capì che qualcosa era cambiato. Poi continuò a fare confidenze a quelli che andavano a vederlo. E pian piano le confidenze avevano occupato tutto il numero senza più i suoi personaggi di sempre.

La gente recepiva il suo messaggio, non c’era più bisogno di recitare per spingere la gente a ridere. Il primo film ed i video ebbero grande successo. Uno stile non ripetibile. Diventò milionario.

Nel suo numero c’erano due argomenti. “Tutto è orribile”, era come dire smettiamo di fingere, diciamoci la verità, quella che è. Non ci raccontiamo sogni e speranze tanto tutti sappiamo di vivere una situazione, una vita orribile. Lo è sempre stato. In un certo senso la frustrazione della vita. Capì che la mancanza di attenzione era uguale per tutti, e tutti la nascondevano.

Diceva semplicemente la verità con un secondo argomento “La gente mi ha deluso” E tutti erano d’accordo. Un giorno decise di ritirarsi. Aveva ormai detto tutto quello che aveva da dire.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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