La forma dell’acqua. Un film romantico in fuga nella fantasia

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La forma dell'acqua

Cos’è La forma dell’acqua? Per il regista Guillermo del Toro l’acqua è il mezzo (oggi che si parla tanto di mezzi di comunicazione) con il quale si può raggiungere comprensione, empatia, amore, tra persone sole, diverse, emarginate, handicappate, disturbate, ma anche tra le persone cosiddette normali. Non noi  e loro, ma semplicemente noi tutti!

E tale capacità d’amare serve per sentirsi meglio, insieme, in una favola moderna di redenzione dalla paura, dal terrore, dall’orrore invadente di una società che si è sempre ispirata ed oggi corre verso il male assoluto.

E se il nemico può sembrare impersonato dalla torbida politica, dal suo brutale braccio armato o dalla scienza con siringhe e vivisezioni, il vero messaggio del film è che in fondo il nemico è la tristezza ed il vuoto della quotidianità, fatta di banalità ed ipocrite situazioni.

Ecco il significato (scena iniziale) della fuga nella fantasia di una stanza piena d’acqua in cui la protagonista dorme sonni tranquilli, con i mobili galleggianti in un onirico stato di sospensione. La sospensione dalla ambasce che tutti soffrono ogni giorno nelle coscienze sopite o spente, succubi ormai solo delle latenti massmediologie avanzate.

La forma dell’acqua, malgrado la carriera horror di Guillermo del Toro (Hellboy, 2004, Il labirinto del Fauno 2006, Pacific Rim 2013), non è un horror ma un film romantico dal più alto taglio classico, pervaso dall’immenso amore per il Cinema da parte di un regista sentimentalmente cinefilo, ma non feticista, portato avanti ritmicamente e musicalmente come un commedia evocativa più musicale che noir.

La storia, ambientata negli anni ’50, è quella di una donna delle pulizie muta, in un centro di ricerca governativo per creature subnormali o paranormali da studiare. La sua conoscenza con un umanoide dalle caratteristiche di pesce, la spingerà a cercare la sua amicizia, tentando di civilizzarlo teneramente, con la sua lingua dei segni, con uova lesse, musiche di Benny Goodman e con il calore del suo corpo.

La creatura come ogni selvaggio o primitivo reagirà con una risposta d’amore alle premure della donna. Riuscirà con ogni mezzo a renderlo libero da un brutale ed oppressivo presidio, interessato a lui soltanto per scopi politici (siamo nel pieno della Guerra fredda e della conquista dello spazio).

Il film è tecnicamente pregevole, pieno di riprese in Steadycam, Dolly su carrello o riprese montate su gru. La scena è sempre piena di colori, con uno particolare per ogni personaggio.

La musica di Alexandre Despat (da Oscar) riprende in preziose trascrizioni moderne, oltre i long playing di Benny Goodman ed altri famosi compositori, le musiche degli anni ’40 e ’50 (es. You’ll never Know, best song nel 1943), che fanno da contrappunto sonoro alle situazioni e sentimenti forti o delicati della storia.

Contiene citazioni molto rispettose di archetipi come Frankenstein (1931), King Kong (1933), Ultimatum alla terra (1951), L’uomo che cadde sulla terra (1986), E.T. (1982), Elephant Man (1980), Spash, Una sirena a Manhattan (1984), ed altri di genere brillante, come Seguendo la flotta (1936) con Fred Astaire e Ginger Rogers, La piccola ribelle (1933) e Il piccolo colonnello (1933) con Shirley Temple e Bill Robinson, e kolossal come La storia di Ruth (1960).

La prima di queste citazioni è comunque de Il mostro della laguna nera (1954) di Jack Arnold di cui è praticamente il sequel.

Il costume della creatura in materiale quale lattice e gomma con cerniere lampo ed elaborazioni grafiche rispecchia il modello che fu creato ingegnosamente per il film prequel. 

In quel film l’idea della creatura era venuta al produttore da una leggenda raccontata dal Direttore della fotografia, il messicano Gabriel Figueroa, su una laguna tra le acque del Rio delle Amazzoni, rimasta immutata dalla preistoria.

Da questo racconto era nata una sceneggiatura con un essere dalle fattezze umanoidi con il corpo di pesce, con successivi spunti ripresi dalla favola della Bella e la Bestia.

Ma già H.P. Lovecraft (1890- 1937) nelle sue mitologie immaginarie (La maschera di Innsmouth 1936) aveva scritto sugli abitatori del profondo come antropoidi viscidi e lucenti con le schiene piene di squame, una testa di pesce con occhi sporgente,  branchie palpitanti sul collo e zampe palmate.

Praticamente immortali potevano sopravvivere poco sulla terra per carenze organiche e se si accoppiavano con esseri umani, potevano nascere bambini che pian piano evidenziavano tratti ibridi. E tutto questo è la base su cui si è ben documentato Guillermo del Toro per la sua creatura.

Il film è candidato a 13 premi Oscar, oltre al miglior film, miglior regista e migliore sceneggiatura originale (Guillermo del Toro), per la migliore attrice protagonista la interpretazione della multiforme Sally Hawkins, da squallida triste perdente ad aggressiva coraggiosa vincente a donna completa sensuale e innamorata, se la dovrà vedere con Frances McDormand di Tre manifesti ad Ebbing, Missouri e con Meryl Streep di The Post.

Candidature anche per Richard Jenkins ed Octavia Spencer per migliore attore e migliore attrice non protagonisti e poi candidature per la fotografia, per il montaggio, per il sonoro, le scenografie ed i costumi.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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