Festa del Cinema di Roma #5. Il flauto magico di Piazza Vittorio. Una trasposizione cinematografica dell’opera musicale.

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Il flauto magico di Piazza Vittorio

La trasposizione con un altro mezzo di rappresentazione (il cinema) dell’opera musicale Il flauto magico secondo l’orchestra di Piazza Vittorio diretta da Mario Tronco e Gianfranco Cabiddu, va valutata in parallelo con la ormai nota versione di palcoscenico, come si fa con la critica quando da un romanzo se ne ricava un film. Delle opere letterarie e delle loro più o meno aderenti rappresentazioni cinematografiche se ne è sempre parlato.

Invece poco si è parlato di quelle differenze tra un musical ed un film, uscito da una sceneggiatura e lavorazione differenti nelle forme e nelle modalità di una rappresentazione da palcoscenico.

La cifra della presente trasposizione è stata più volte ripetuta dal Direttore dell’Orchestra Mario Tronco. “Per non perdere un esempio così originale e riuscito”, per quello che rappresenta Il flauto magico dell’OPV (versione colorata di sonorità multietniche nel grigio e monocorde panorama musicale attuale), occorreva far crescere il già acquisito valore musicale dell’Opera, utilizzato nel film come colonna sonora, con una più densa e continua ricchezza di orchestrazioni, rispetto alle performances dei musicisti ripresi in brani singoli, e quindi con una registrazione molto più completa di quella del CD già pubblicato. Eccolo il valore aggiunto delle elaborazioni musicali di Mario Tronco e Leandro Piccioni rispetto alla versione teatrale.

È fuori dubbio che lo scopo è stato raggiunto perché gli spettatori hanno potuto godere sia i brani dell’opera originaria di Mozart, fedelmente rispettati, ma oltre il melting pot di arie e di suoni di vari generi e luoghi differenti (jazz e mambo, reggae e pop, folk e suggestioni etniche) in otto lingue diverse, anche il continuum musicale di una colonna sonora.

L’OPV è nata spontaneamente a Piazza Vittorio e dal suo primo incontro al cinema Apollo si avvale della sua orchestra multietnica e di artisti di diverse culture e formazioni musicali che costituiscono un unicum nel panorama attuale. L’incontro virtuale poi con il compositore più innovativo e avanzato per i suoi tempi, quel Wolfang Amadeus Mozart che si divertiva a contaminare opera buffa e drammatica, musica aulica e canti popolari, ha prodotto, attraverso l’inventiva ed il ricordo di creazioni musicali popolari e folcloristiche dei musicisti dell’orchestra, quell’opera di complessa armonia che è il Flauto Magico secondo l’OPV.

Il film si introduce con una panoramica dall’alto della Piazza Vittorio, con il giardino al centro dove tra alcune rovine romane c’è una porta con scritte cabalistiche, considerato luogo di cerimonie religiose od esoteriche. La sera il guardiano dei giardini (Omar Lopez Valle) chiude le cancellate e come in una favola i viali si animano di personaggi fantastici.

Tamino (Ernesto Lopez Maturell), un bel giovane (il principe) è inseguito da un mostro ma è salvato da tre dame vestite di organza colorata. Papageno (El Hadji Yery Samb) un povero affamato diventa suo salvatore e poi suo valletto. Sul giardino magico affacciano due palazzi quello lunare, blu argento della Regina della Notte (Petra Magoni) e quello giallo dorato dell’ex marito il gran sacerdote Sarastro (Fabrizio Bentivoglio). La regina vorrebbe che Tamino liberasse la figlia Pamina (Violetta Zironi), prigioniera di un brutto ceffo Monostato (Houcine Ataa) agli ordini di Sarastro e vorrebbe riprendere anche la metà di un grande medaglione d’argento, simbolo di potere, anch’esso nelle mani di Sarastro.

Tutte le scene girate in notturna nella piazza con le luci gialle dei lampioni, le tre dame colorate, sedute in un picnic con Tamino e Papageno in costumi sontuosi (costumista Ortensia De Francesco), al pari delle scene di tavole imbandite tra i viali e tra il verde degli alberi-bosco creano momenti di forte visionarità onirica. E’ allora che la magia insita in Piazza Vittorio viene tutta fuori.

Quando però le scene si spostano in interno e parte della storia viene spiegata con contaminazioni tra il disegno, le videoanimazioni (Lino Fiorito) e gli interpreti, si percepisce troppo il minimalismo tecnologico usato. Diventano tutti luoghi fisico-virtuali troppo poveri per l’apprezzamento di bambini o adulti ormai abituati a cartoon molto sofisticati ed effetti speciali come i videogiochi o virtual reality a realtà aumentata.

Inoltre lo spazio scenografico spesso porta lo spettatore ad insofferenze geografiche o straniamento perché la piazza ed i palazzi si trasformano in luoghi fisici o virtuali troppo lontani e poco pertinenti alla storia. Per esempio per gli interni potevano essere usati i tanti interni favolistici di antichi palazzi di Roma (vedi Dolce vita, Fantasmi a Roma, ecc.).

Nella seconda parte del film la storia si raffina e si focalizza troppo sulla bella interpretazione di Sarastro, la Regina della notte, Monostato e Pamina, attraverso due componenti troppo violente ed umane come le vendette reciproche di due irati ex coniugi in lite e la perversa passione sessuale di un sadico poi punito, privando la visione di quel contesto-favola multietnico in cui invece era sempre stata immersa la rilettura teatrale.

Come dire che salendo la recitazione professionale si opacizza l’immagine naif e favolistica ed allo stesso tempo si confondono tutte le varie fusioni di sonorità della colonna sonora, senza più distinguere le influenze classiche dalle suggestioni etniche. Ed i due mezzi rischiano di non collimare bene.

Il mezzo cinematografico per sua natura a differenza della scena teatrale (ma è solo una opinione) purtroppo diluisce tutto in un magma di storia, sceneggiatura, scenografie, recitazione, montaggio, trucchi scenici, musica di repertorio e quanto altro, per valorizzare le sue caratteristiche di spettacolo completo di tutte le arti, in modo così ampio da far perdere le sue peculiarità a quello spettacolo teatrale del Flauto Magico da cui veniva, dal quale invece trapelava quell’inno forte alle sonorità folk-etniche, alla multiculturalità ed alla fratellanza universale in nome della musica, base fondante dell’Orchestra di Piazza Vittorio.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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