Letterature Festival #12. Incroci e destini tra anime baltiche, spie vietnamite, bambine italiane e vecchi inglesi

Viet Thanh Nguyen

Una serata alla Basilica di Massenzio per il Festival Internazionale delle Letterature di Roma sul tema Incroci e destini, con quattro autori degni di una approfondita osservazione (Jan Brokken, Viet Thanh Nguyen, Melania Mazzucco, Hanif Kureishi) e due professionisti della musica (Gilda Buttà al pianoforte insieme al marito Luca Pincini al violoncello) che hanno arricchito in punta di note la interessante parte sonora (jazz, soul, blues con accenni di colonne sonore inedite), che dovrebbe  ricevere più rispettato dagli amanti della letteratura.

Jan Brokken è uno scrittore olandese, noto per il libro Anime Baltiche (Iperborea 2014) su personaggi celebri o meno di un pezzo di Europa dimenticato (Estonia, Lettonia, Lituania) per capire meglio la storia, la letteratura, la musica e l’arte del XX° secolo.
Matteo Lai ha recitato un brano de Il giardino dei Cosacchi (Iperborea 2016) un romanzo dal sapore russo con un ritratto della vita di Dostoevskij, prima condannato a morte poi deportato in Siberia, vista da un barone russo di origini baltiche Alexander Von Wrangel, diventato per un periodo confidente e compagno di pensieri del grande romanziere. Il brano recitato illuminava uno spaccato di vita nobile russa, nel momento in cui i primi movimenti liberali, partiti dalla scuola imperiale di Pietroburgo, venivano repressi  dallo zar. Jan Brokken ha letto l’inedito Senza titolo. Ha parlato del suo viaggio a Pietroburgo nel 2015, e di fronte alla statua di Anna Achmatova del ricordo di questa grande poetessa di cui aveva letto le poesie e si era innamorato della sua bellezza e raffinatezza come tutti, senza averla mai incontrata. Si considerava pari a Lord Byron, a Shakespeare e naturalmente a Puskin – ha detto Brokken – e si comportava in modo più signorile ed aristocratico della nobiltà del secolo precedente. Anche il moscovita Boris Pasternack  ne era innamorato, ma malgrado avesse anche vinto un Nobel con Il dottor Zivago, alle sue proposte di matrimonio lei gli aveva risposto di no, tre volte.

Mentre la musica partendo da un lamento struggente saliva ad un crescendo tumultuoso sullo schermo invaso di rivoli d’acqua compariva il rosso fuoco della copertina del libro del vietnamita Viet  Thanh  Nguyen Il simpatizzante (Neri Pozza 2016) premio Pulitzer 2016 per la narrativa.
Matteo Lai legge i brani del libro sui pensieri del Capitano protagonista, che abita e vive nella casa del Generale della polizia politica di Saigon in Vietnam. E riflette sulla sua duplice natura a cavallo tra il suo essere mezzo occidentale e mezzo orientale. Questa sua duplicità gli impedirà sempre di integrarsi ed omologarsi con una parte e gli permetterà di convivere con la sua doppia vita, arrivando a formare due menti distinte. Viet  Thanh Nguyen ha letto l’inedito Lasciare casa per trovarne una. Ha raccontato la fatica nel confrontarsi con l’inglese e con il tono giusto da dare al suo romanzo. Ha rivelato l’aiuto che gli ha dato la lettura del libro di Antonio Lobo Antunes  In culo al mondo con le sue tecniche e modalità narrative (lingua, ritmo, immagini, ecc.) tipiche della letteratura modernista, in particolare  il flusso di coscienza, che viene realizzato tramite il monologo interiore con i suoi conflitti psicologici. Il portoghese Antunes aveva scritto la sua esperienza di medico durante la guerra coloniale in Angola con uno stile surreale e disilluso. Ma soprattutto quello che lo accomunava ad Antunes – ha detto Nguyen – era la grande voglia di andare via da casa per trovare una sua vita personale fatta di parole e di racconti. Diventare americano  attraverso le parole – ha concluso Nguyen – e con le stesse scrivere storie che appunto perché americane diventano globali, universali.

Melania Mazzucco (Io sono con te. Storia di Brigitte. Einaudi 2016) ha raccontato la storia di una ragazzina con la treccia nera, sulla scorta delle parole di una poesia “A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni!” Lasciandosi andare ai ricordi della terza media mentre si confrontava con la lunga e tormentata poesia di Giovanni Pascoli L’aquilone. Ricordava la Mazzucco che la ragazzina dalla treccia nera era più grande degli altri compagni di classe, mite ma un po’ ritardata, non si era mai inserita nel gruppo e forse non sapeva nemmeno leggere. Era di estrazione molto povera e forse la madre faceva la vita. Ricordava che la professoressa di italiano avrebbe voluto che imparasse per l’esame finale solo la poesia L’aquilone per poterla promuovere. Si era rivolta quindi alle due alunne più brave della classe le gemelle perché l’aiutassero ad impararla a memoria. Si incontravano perciò sul balcone della bambina dai capelli ricci (la Mazzucco) a recitare ed urlare la poesia. “C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico.” Così incominciava. La poesia era lunga. Ventuno strofe ed un verso solitario. Ed il significato alla prima lettura sfuggiva. Dopo un mese avevano imparato la poesia, verso per verso, parola per parola, comprese le strofe che parlavano di un coetaneo del poeta morto bambino – dicevano le note tale Pirro Viviani – . Ma all’esame la ragazzina dalla treccia nera sussurrò solo la prima strofa e poi tacque. La professoressa provò a suggerire ma lei non proseguì. Fu respinta. Non seppero più cosa era stato di lei – ha terminato la Mazzucco – alcuni compagni di classe morirono giovani. Si sparse la voce che anche lei fosse morta presto con la mente bambina e innocente.
Il suono del violoncello struggente, accompagnato dal piano in cadenze dolci e riflessive, con tanta eleganza e decadenza dentro.

Matteo Lai ha letto alcuni brani di Uno zero (Bompiani 2017) del londinese Hanif Kureishi. Il protagonista, un vecchio in ascolto dei rumori della vita di un palazzo di Londra, attraverso i muri. Ed a guardare fuori nel quartiere i paesaggi e le cose che cambiano continuamente con i pazzi che aumentano. Il vecchio è molto debole e gli cade tutto dalle mani, ma ha molta immaginazione nel seguire i rumori del condominio, che non si attenuano. Ha vissuto insieme alla compagna per 22 anni. Qualcuno fa l’amore molto vicino, mormorii, risolini, sospiri…il pensiero della morte.  Hanif  Kureshi con il suo humour inglese ci ha raccontato una storia immaginata e mai pubblicata.
Un vecchio racconta alla moglie di quando a 21 anni era diventato l’amante di una vedova fatale. Una vedova nera, bohemienne, ricchissima e bellissima che si coltivava una corte di ragazzi ancora ignavi, come lui. Una enigmatica erotica –ha continuato Kureshi –  che fumava canne, sorseggiava wiskey , cantava e si faceva suonare come uno strumento da molti ragazzi, come figuranti di un film di band musicali. Usando come arma il fascino decadente della sua condizione vedovile.
Il suono dolce dei due musicisti si stemperava in un finale romantico con una chiusura a sorpresa.

 

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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