Bones and All. La carnalità nuova scoperta dell’antropocene.

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Mentre vedevo il film Bones and All di Luca Guadagnino (tratto liberamente dal romanzo Fino all’osso di Camille DeAngelis) mi sono chiesto se esista un codice deontologico nel fare spettacolo. La risposta è no. Gli spettatori, poco accorti, sono diventati l’oggetto di qualsiasi esperimento una produzione onnivora (dietro ogni regista) voglia inserire nelle loro menti, vampirizzate dalle idee più borderline, più assurde, più paradossali.

Non è più solo tecnologia junk, horror splatter e società distopiche. Qualcosa di molto più subdolo e pervasivo sta modificando il gusto del pubblico attraverso piccoli graduali spostamenti di un cosiddetto irreale modo di pensare.

Come fare altrimenti a puntellare la filosofia di fondo di un film (Bones and All) che parla di cannibali, con un amore assoluto tra due teenagers, con malattie genetiche ereditarie, con un’etica completamente inventata ma razionale, nel commettere orrendi, sanguinosi, carnosi delitti?

Questo è il borderline più vistoso di questo film, pieno di ossimori non risolti. È vero che le colpe innate dei padri (nel film si dileguano o sono morti) ricadono sui figli? Perché questi carnivori non si mangiano tra di loro? Mangiano solo persone vive o quasi morte o digiunano?

Tutto è giustificato, giusto, etico, se non ci si pone delle domande corrette. Si accettano tutte le parti della storia senza pensare. E sopra ogni cosa, e forse per questo più accettabile, il film è in fondo leggero, tenero, gentile, pieno di panorami naturali nella immensa ondulata provincia americana in cui si stempera quella violenza ed orrore che è nello stesso mangiare corpi umani fino alle ossa (senza farlo troppo vedere). E perché i più giovani hanno meno remore in questa nuova frontiera della morte?

Quale operazione, avallata da produttori americani, è stata montata da un regista italiano (al suo primo film in inglese, che sia chiaro non è il solito film di genere di serie B), che ha anche preso il premio come miglior regia al Festival di Venezia? O forse il cambiamento è già in atto?

Le zone d’ombra dell’uomo stanno emergendo da quello che il dottor Freud chiamava subcosciente ed i mostri che sono da sempre nella natura dell’uomo si stanno manifestando. L’uomo può costruire o distruggere. Estinguere le varie specie, compresa la sua.

Cannibalizzare tutto è frutto della filosofia dell’antropocene. Non per nulla altri due registi, i Fratelli D’Innocenzo, con Favolacce ed America Latina ci hanno raccontato ‘storiacce’ in cui l’orrore sta contaminando, oltre a noi, le nuove generazioni.

Senza nessuna pietà per i vinti (carne da macello, da cannibali).

Non c’è una storia ben precisa in Bones and All, come non c’è in fondo tutto quell’ amore tra i due teenagers. C’è solo un volatile road trip attraverso un’America nascosta alla ricerca della normalità (quella fatta di casa, famiglia, lavoro, soldi) che i due non riescono e non vogliono raggiungere, perché sono in fondo addicted alla assoluta ricerca di carnalità (non sessualità) entrambi.

Un passo avanti rispetto all’assuefazione alle droghe, ai medicinali, al junk food (malattie mondiali ormai generalizzate); per loro solo l’assunzione di carne e sangue (di cui, è anche vero, è impastato l’Uomo) può placare la loro infelice solitudine. Una fattispecie di voglia di carnalità quotidiana’, che con il declino delle utopie e del pensiero è già presente e sta avanzando velocemente nella nostra società, sempre più vorace.

Maren (Taylor Russell) è stata abbandonata dal padre e resa cosciente della sua malattia generazionale, Lee (Timothée Chalamet) è un randagio pieno di violenza e disprezzo per l’umanità, un assassino nato. Sully (Marc Rylance) è un maturo criminale che fiuta le prede da decomporre prima che muoiano.

Costruire un film su questi paradossi umani facendo finta (e Luca Guadagnino ci riesce) che siano persone normali con sentimenti normali in un road trip di 3000 miglia pieno d’amore e di natura incontaminata, è questo il miracolo del film. Per chi ci vuol credere e ‘in fondo nemmeno con tanto splatter’.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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