Quod erat demonstrandum. L’amore per il cinema delle origini

Quod erat demonstrandum

Quod erat demonstrandum” versus “Le vite degli altri”. Siamo al tempo della Securitate (Dipartimento Sicurezza Stato) di Ceaucescu in Romania con stessa tematica e sviluppo, ma il film di Andrei Gruzsnieczki (regia e sceneggiatura) è completamente diverso da quello sulla Stasi della DDR. Al confronto il film Oscar di Florian Henckel Donnersmarck piace di più perché più colorato e più patinato (ambiente artistico, storia d’amore tra bella gente, poliziotto più umano). Qui invece siamo dalle parti degli scienziati da fuga di cervelli, che scrivono lavagne di formule sulle onde acustiche, riprese da Jean Baptiste Fourier, vissuto durante la rivoluzione francese, per ricavarne, attraverso la prima ondata mondiale di computer, una scoperta da divulgare nel mondo occidentale capitalista. In cui avrà applicazioni di ogni tipo industriale e forse anche politico. Per questo il Dipartimento di sicurezza nazionale è preoccupato.

Il professore Sorin (Sorin Leoveanu) sta lavorando sulle onde acustiche e vorrebbe pubblicare le sue ricerche all’estero, attraverso Elena che ha fatto domanda per raggiungere il marito Docu (amico fraterno di Sorin), già fuggito a Parigi. Il regime è al suo ultimo piano quinquennale (1984/89) e controlla la vita privata di tutti, oltre che con la polizia segreta (appostamenti, pedinamenti, intercettazioni) con l’uso spietato del ricatto e della delazione. Per cui ognuno cerca di salvare se stesso vendendo letteralmente ogni affetto ed amicizia al regime. Ad una vita fatta di stenti e di sacrifici (carenza di cibo, di luce, di vestiari, di carburanti) si aggiunge una continua tensione emotiva causata dall’indottrinamento quotidiano, dalle costrizioni nelle scelte personali e dalla perdita di dignità per il tradimento di ogni principio morale. Il privato è completamente abbuiato. In uno squallido compromesso con chi controlla tutti spiano tutti e si perdono le regole basilari della convivenza umana. Non c’è più incontro, riunione, festa ed altro che non sia finalizzata a sapere e riferire quello che fanno gli altri. Tutto per avere il gradimento del potere.

L’impiegata informatica Elena (Ofelia Popii, attrice che viene dal teatro) una donna sensibile e forte, viene messa sotto pressione da un commissario della Securitate, Alecu, per incastrare il matematico Sorin (suo grande amico) nel momento in cui invierà la sua scoperta all’estero. Elena cederà come hanno ceduto tutti in quel momento ottuso e barbaro perché la voglia di ricongiungersi al marito è più forte di ogni sentimento di amore verso il prossimo. “Ognuno per se stesso” dice l’agente della Securitate (interpretato dal regista e sceneggiatore Florian Piercic Jr.) che vuol ottenere una promozione per la sua bravura di investigatore ed è un personaggio dalle molte sfumature, anche lui con i suoi problemi con i superiori e la moglie separata.

Il film di Andrei Gruzsniezckzi (alla seconda prova dopo The other Irene del 2009 ed aiuto regista del più noto Lucian Pintilie) non è comunque originale per il tema trattato, ma importante per la cura impressionante della messa in scena. A partire dalla ricostruzione di un’epoca ormai lontana, all’ormai perduto arredamento, al puntiglioso dettaglio sulle figure dei personaggi, che emergono (bravissimi tutti) dal magnifico godibile bianco e nero, dove risplendono le luminosità e le ombreggiature, anche quando a tratti manca la luce elettrica e le persone diventano esse stesse le ombre che il regime vuole.

Film quasi tutto in interni, con gli ambienti e gli oggetti a creare una profonda tristezza, dai corridoi vuoti dei vari uffici (polizia, università, centri informatici) alle stanze spoglie delle case a quelle fredde dei locali pubblici. Quasi a volersi differenziare dal nuovo sistema digitale che rende tutto piacevole, caldo, appetibile. Uno stile rigoroso, essenziale, pulito, che fa tornare all’amore del cinema delle origini, quasi al muto, anche se invece recitazione e dialoghi sono estremamente accurati ed importanti in una storia che deve descrivere forti tensioni ma anche i sentimenti più nascosti di una umanità oppressa e dolente.

Dispiace che per l’alto gradimento mostrato dal pubblico del Festival per l’incontro con Wes Anderson e Roman Coppola non si trovassero più biglietti dal giorno prima. E dire che i due presentavano solo un corto di 8 minuti per una griffe famosa.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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