Letterature Festival #4. Italia – Germania un bel match tra giallisti.

Mentre salivamo il Clivo di Venere Felice, già dentro i bastioni della Basilica di Massenzio, con i suoi slanciati fornici laterali e la Chiesa antica con il campanile medioevale di Santa Francesca Romana, ho iniziato a spiegare ad una bella ragazza dalla faccia aperta e cordiale il significato di Basilica romana, come centro amministrativo-giuridico di tutti gli affari che si svolgevano nelle proprietà di una famiglia romana (in questo caso la famiglia di Massenzio) dispersi nel grande impero romano. Poi come uno scrittore affabulatore (eravamo in tema) ho fatto notare quanto grande dovesse essere la cupola della Basilica, di cui si riconoscono tre volte a semicupola, con cassettoni come quelli del tempio romano-cristiano del Panteon. Per arrivare al significato di Basilica, passato alle Chiese cristiane più importanti, come luoghi in cui i Cardinali (incardinati) di una regione del mondo (Perù come Germania o Cina od Usa) amministrano i beni materiali e morali della Chiesa. Per finire con la conclusione pragmatica dei miei amici americani che vedono le Basiliche degli anni 2000 nei grattacieli di Manhattan o di Detroit, dove si amministrano le proprietà reali o virtuali del mondo d’oggi. La domanda dei miei lettori-ascoltatori è stata “Sei un appassionato di arte o di storia?” In questo caso – ho risposto – si tratta più di antropologia. Il Foro romano silenzioso oltre le balaustre della Basilica occhieggiava con i suoi bianchi bagliori di marmo (la facciata rinascimentale di Santa Francesca Romana, l’Arco di Tito, le colonne del Tempio del Divo Romolo). Il fitto bisbiglio degli spettatori si acquietava dentro le ombre che calavano intorno, come in un thriller nella serata in giallo. Emergevano sulle pareti della Basilica le colorazioni in rosso ed azzurro che ad intervalli giravano a colorare gli archi e le pareti del colosso in mattoncino. Un suono acustico stereofonico si diffondeva per tutti i quadranti della cavea di posti. Teo Teardo (chitarra baritono, electronics) e Laura Bisceglia (violoncello) formavano una accattivante melodia, mista di classico elettronico con richiami a sinfonie e new age. Con punte creative sonore.

Alessandro Robecchi ed (Torto Marcio Ed. Sellerio) ci ha investito e del resto era il primo scrittore, con una filippica sulla difficoltà di scegliere una fase ispiratrice, un autore, un libro, per onorare il titolo del Festival “Scrittori – Lettori). “Il 25 marzo accadde a Pietroburgo un fatto incredibilmente strano (Il naso di Gogol)”. Era la sua frase per dimostrare che lo scrittore qualunque tenta di stupire il lettore per irretirlo a farsi seguire. Ecco il significato della parola ‘incredibilmente’. Ed il lettore a sua volta si difende e cerca di non stupirsi. Gli scrittori – ha aggiunto – sono come dei banditi che ti rapiscono e portano dove vogliono. Poi ha fatto una piccola critica ad internet dove il commento diventa critica istantanea, ping-pong tra autori e lettori o solo lettori che non solo si stupiscono ma reagiscono anche male. Ha parlato poi delle critiche alla letteratura gialla in cui c’è sempre un’arma ed un morto Con ironia ha fatto notare che nel giallo il delitto è il pilastro portante della storie ed il delitto (come detto da Chandler) è di chi lo commette. Ha criticato con fine humor le indagine tecnologiche, vero colera che hanno invaso il genere. Ha quindi rivelato la sua linea di scrittura: il fascino si trova nelle crepe, nelle intercapedini tra la legge e la giustizia o tra due giustizie. Lì bisogna trovare le ispirazioni, bisogna far passare il delitto.

Il duo Teardo – Bisceglia tra fumi che riempivano il palco e pistole che sparavano sullo schermo ci hanno fatto provare una notte in Roma, quasi una serata dei Queen. Antonio Manzini (07/07/2007  Ed. Sellerio) ha letto l’inedito thriller Il crotalo.  C’è una donna  sola in una casa isolata che non riesce a dormire ed ascolta i rumori strani della notte. E c’è un uomo che si immagina di essere un crotalo che ha fame e la vorrebbe aggredire. Quando l’uomo esce dall’armadio – ha raccontato – travestito da crotalo con la maschera del diavolo ed un coltello dentato per aggredirla, viene colpito con violenza dalla donna in varie riprese, in tutte le parti del corpo, finché si riduce ad una maschera sanguinolenta. E quando non si riesce più a muovere la donna finalmente riesce a dormire, perché i campionati di Muay Thai (Boxe Thailandese) stanno per arrivare.

Andreas Pfluger (Nero Assoluto Ed. Emons) ha iniziato il suo racconto ricordando come il libro che gli aveva regalato un amico gli avesse cambiato la vita. La storia di Jacques Lisseyran, nato in Francia nel 1924, che all’età di 8 anni aveva perso la vista in seguito ad un banale incidente. Diventare ciechi è una paura ancestrale. Solo il cieco che non commisera il proprio destino può aprirsi al mondo nuovo e sconosciuto in cui vive. Pfluger mentre scriveva il suo romanzo Nero Assoluto ha incontrato un istruttore di mobilità che insegna ai non vedenti ed ha capito altre cose, come quella di reinventarsi la vita che è chiamata la fortuna dei ciechi. Lisseyran entrò così nella resistenza ed era l’unico capace di distinguere una spia della Gestapo che voleva infiltrarsi nei gruppi. Portato a Buchenwald è sopravvissuto, poi è diventato scrittore e professore di letteratura in Francia ed in America. E’ morto nel 1971 in un incidente stradale. Quando ho finito la sua biografia – ha terminato Pfluger – non conoscevo ancora con esattezza la portata del compito che mi ero prefisso. Poi ha scritto Nero assoluto.

I suoni della chitarra elettrica di Teardi, accompagnata dal violoncello della Bisceglie ci preparavano ad un altro pezzo di giallo, mentre sullo schermo un vetro appannato lasciava scivolare tanti rivoli d’acqua ed il rumore era impercettibile. Antonella Lattanzi (Una storia nera Ed. Mondadori) ha raccontato di essere stata ispirata e salvata dal romanzo di George Simenon La camera azzurra in un periodo di crisi profonda, senza uscita, vicino all’annullamento. E’ la storia di due amanti Tony e Andrè, due persone sposate che si incontrano per caso e diventano amanti come animali. Si incontreranno per mesi nella camera azzurra di un motel con un effetto incorporante. Mentre scriveva questo libro Simenon aveva problemi familiari e personali gravissimi. Ma mentre terminavo il romanzo – ha concluso la Lattanzi – ed i due personaggi andavano verso la morte io ritornavo alla vita.

Lo confesso – ha detto Harald Gilbers tutto quello che vedo ascolto e leggo mi influenza in un modo o nell’altro. La scelta della propria fonte di ispirazione è per Gilbers un processo istintivo. Altrimenti – e lo condivido- come si potrebbe continuare a scrivere. È difficile dire quale libro ci ha ispirato quale film o quale persona e per quale motivo. Il mio commissario Oppenheimer (Berlino 1944 Ed. Emons) ha detto Gilbers – parte dalla mia passione per la filmografia di Fritz Lang. Lang è considerato uno dei massimi esponenti del cinema muto espressionista tedesco. Il suo capolavoro Metropolis rimane una delle opere più importanti nella storia del cinema. Dopo questa fallimentare esperienza con il partito nazionalsocialista che faceva diventare tutte le opere di regime, Lang si dedicò sempre più ai film polizieschi, perché erano un genere in evoluzione e lui poteva creare nuove forme o sottogeneri. Migliorò i raffinati giochi di chiaroscuro che venivano dall’espressionismo, inserì anche tematiche prettamente americane (il buon americano, il capo di una gang, la dark lady). Per la creazione del commissario Oppenheimer sono fondamentali due titoli di Lang: M. Il mostro di Dusseldorf ed il Dottor Mabuse. Nel film M. il commissario della omicidi che da la caccia ad un assassino di bambini si chiama Karl Lohman e ricompare in Mabuse. Ma più che il commissario in quei film  erano e sono rimasti celebri le interpretazioni del male, gli assassini più che gli uomini di legge. Dopo l’incontro con Goebbels che lo voleva Direttore degli Studios tedeschi Lang girò tra la Germania , la Francia e la Gran Bretagna e poi partì per l’America. Dopo I figli di Odino, su un culto ariano tedesco, il terzo romanzo sulla serie del commissario Oppenheimer è intitolato Finale e cambia genere di nuovo, per attingere a fonti diverse e con la possibilità di intrecci nuovi, senza tabù mentali Dunque parafrasando Godard un figlio di Shakespeare e Fred Astaire, di Fantomas e di Tosca. E domani ricomincerò a scrivere esplorando il campo ad alta tensione tra la letteratura seria e quella spudoratamente bassa (trash) ha concluso Gilbers.

Marcello Fois (Del dirsi addio Ed. Einaudi) ha letto un apologo sulla fine della civiltà benestante occidentale. Per capire quella che finora ha usufruito di tutti i beni del mondo concessi generosamente da Dio. Basata sulla filosofia del lasciarsi andare solo alla bellezza e serenità delle stagioni, giusto e bello lasciarsi andare alla tenerezza in anni senza fine fino all’immortalità. Qualcuno chiamerebbe anche armonia la saggezza e la pace che avevamo raggiunto. Poi ad un tratto l’arrivo dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse. Per la legge delle probabilità sta per succedere qualcosa, le estati sono finite, siamo stati estratti, questa volta tocca a noi. Prima o poi sarebbe dovuto accadere. Quindi ci siamo mossi stavolta senza meta. Abbiamo attraversato il mare mediterraneo e la foreste del Sahara ed abbiamo trovato tutto diverso. Tradizioni, usi, modi, lavoro economia, cibo, morte. Tutti diversi, diversi in tutto. Riso e pianto identici.

Tutto è iniziato da una caduta in acqua. È questa la frase con cui inizia il libro di Truffaut  Il cinema secondo Hitchcock ha letto Brigitte Glaser (Morte sotto spirito Ed. Emons). Nell’inverno del 1955 Truffaut all’epoca giovanissimo redattore dei Cahiers du Cinema si recò insieme a Claude Chabrol ad intervistare Alfred Hitchcock che stava lavorando ad un film in uno studio di Jonville: i due entrano in una sala buia mentre sulle schermo scorrono alcune scene di Caccia al ladro. Incontrano il regista che impegnato al montaggio li prega di aspettare fuori al bar dello studio. Camminando sul ghiaccio cadono in acqua e sono costretti a vestirsi come comparse con un abito da prete ed uno da poliziotto. Così si presentano ad Hitchcock. Nel leggere il libro che vedrà la luce dieci anni dopo e pubblicato nel 1966, 50 ore di intervista, 500 domande, 15 capitoli tradotti da Helen Scott, si mescolano i ricordi delle inquadrature di Hitchcock alle immagini evocate dal libro. Un testo per la Glaser, divertente e spiritoso, pieno di sorprese. Ho approfondito poi la parola suspence che indica la resa più intensa possibile di una situazione drammatica e spero di averlo imparato per i miei romanzi sulla simpatica cuoca investigatrice Katharina Schweitzerk. Hitchcok apre tante porte, al pari di Kafka, Dostojevski, Poe, con tre importanti parole: paura, sesso, morte ed un pizzico di humor- ha concluso tra gli applausi la Glaser.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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