La stranezza. La finzione cinematografica della genesi di un capolavoro vero.

immagine per La stranezza film

Luigi Pirandello torna in Sicilia nel 1920 per onorare con un discorso rimasto celebre l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga (cronaca). Ma arrivato a Girgenti (da qui in poi fantasia con un perfetto Tony Servillo nel ruolo del maestro) rimane intrappolato negli archivi polverosi di una burocrazia, a dir poco laida e corrotta, per poter assistere di persona all’inumazione della sua amata balia.

La presenza fastidiosa di due becchini (Salvatore Ficarra e Valentino Picone), picareschi e grotteschi, lo accompagna per due giorni, mentre nella sua casa nella valle del Caos lo scrittore, tra visioni, ricordi e nostalgie non trova l’ispirazione per una nuova commedia. Con la quale però sta sviluppando quello “schietto e geniale rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale” contenuto nella menzione del Premio Nobel ottenuto successivamente.

Roberto Andò che da tempo dirige cinema letterario, colto e di ricerca, attraverso spesso il metalinguaggio, si è potuto avvicinare, più di tanti altri registi, alla originale teoria del metateatro pirandelliano, con una originale invenzione sulla genesi del maggior capolavoro di Pirandello “Sei personaggi in cerca d’autore”.

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Il film rappresenta bene il passaggio tra la passione teatral-popolare dei due becchini Nofrio e Bastiano, ‘attori dilettanti/professionisti’, che rappresentano situazioni di vita quotidiana, con i suoi paradossi e contraddizioni, incasinati da situazioni ed eventi veri, e che usano quelle Maschere di finzione intrappolati nelle convenzioni, e le idee di Pirandello che invece vuole svelarle e superarle.

Incuriosito dalla loro Compagnia amatoriale e desideroso di attingere idee dalla realtà, Pirandello prima si reca al loro teatro di Girgenti a spiare le prove ed il dietro le quinte e poi assiste alla prima della farsa “La trincea del rimorso ovvero Ciciareddu e Pietruzzu” ideata dai due impresari (funebri e teatrali). E ne trae ispirazione per la sua teoria del teatro nel teatro.

Da tutto quello che accade sulla scena, dietro la scena e con il pubblico (lo spettacolo viene anche interrotto dallo stesso) Pirandello realizza che teatro e vita confluiscono così bene da ispirargli una nuova via nel produrre il suo testo teatrale ancora non compiuto. La Sicilia, nelle figure dei due guitti, diventa quindi ispiratrice della sua immaginazione e del suo sogno di novità.

Mentre nel teatrino locale, in cui tutti si conoscono bene e sono in parte interdipendenti, l’atmosfera del comico vira fatalmente verso il drammatico, cadono tutte le maschere e le finzioni, in un confronto senza esclusione di colpi e di accuse reciproche.

Pirandello riuscirà, attraverso questa esperienza, di cui rimarrà grato ai due attori siciliani, a buttare giù la sua commedia “Sei personaggi in cerca d’autore” cercando attraverso il binomio Realtà/Finzione, di disvelare la finzione che la società impone attraverso le maschere della convenzione.

Per Pirandello il teatro dovrebbe mostrare un momento di ribellione e di disordine che potrebbe cambiare il senso delle cose. Come del resto è successo ai due attori amatoriali.

Di ritorno a Roma l’autore invita i due interpreti della comicità siciliana alla prima della sua opera, rappresentata il 9 maggio del 1921 al Teatro Valle. Mentre sul palco sembra che ancora ci siano le prove sotto la guida del capocomico (Luigi Lo Cascio), sei personaggi prendono vita e irrompono nel teatro per raccontare la loro storia.

La compagnia teatrale si ritrova, insieme al pubblico (con la grande sorpresa dei due ospiti siciliani) a sentir raccontare una storia tragicomica da più che personaggi, categorie di persone: protagonisti il Padre e la Figliastra, in misura minore il Figlio e la Madre, il Giovinetto e la Bambina, vittime innocenti della storia.

A questo punto mentre il capocomico cede alle reali performances dei nuovi arrivati, il pubblico impreparato reagisce al discorso di avanguardia che sconvolge le convenzioni abituali del teatro.

Crolla il diaframma della quarta parete (la platea) ed il pubblico si sfoga contro l’autore e le sue strane idee. Pirandello presente con la figlia, conscio della sua ragione, riesce ad attutire la sua delusione. Avrà poi un successo mondiale, come tanta parte di grandi autori, in tutti i campi, che hanno fatto avanguardia.

Parafrasando il titolo metateatrale di Luigi Pirandello “Sei personaggi in cerca di autore”, narrato nella sua difficile gestazione nel film La stranezza” si potrebbe titolare la fine del film di Roberto Andò in termini metacinematografici “Due personaggi in cerca di autore”.

I magnifici comici siciliani Ficarra e Picone, due maschere del cinema- televisione, si ritrovano nell’ultima scena al buio in attesa del loro autore regista.

Due personaggi finzione, ritornati invisibili, tanto che nemmeno il grande Pirandello riesce più a trovarli nelle liste di invitati alla rappresentazione.

Complimenti alla Bibi Film di Angelo e Matilde Barbagallo ed al Produttore Esecutivo Maria Panicucci per aver prodotto oltre l’attualissimo film Astolfo di Gianni Di Gregorio anche questo prezioso documento di Roberto Andò sul teatro pirandelliano.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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