Movie # 13 – Tutto quello che vuoi. Film sulle contaminazioni positive tra generazioni

Tutto quello che vuoi, e fu quello il saluto, tutto quello che voglio alla fine l’ho avuto”. E’ la poesia che fa da leitmotiv del film di Francesco Bruni, già regista di Scialla (2011) e per anni sceneggiatore di Paolo Virzi (da Ferie d’agosto del 1996  a Il capitale umano del 2013) e Mimmo Calopresti (da La seconda volta del 1995 a La felicità non costa niente del 2003); ma anche di tutte le serie de Il commissario Montalbano, tratte dai racconti di Andrea Camilleri e delle serie de Il commissario De Luca tratte da quelli di Carlo Lucarelli. E tutto ciò si sente in questo soggetto non originale ma ben strutturato sul passato che ritorna, attraverso i ricordi confusi di un anziano  affetto da alzheimer, che si fa guida di ragazzi d’oggi, vuoti e senza scopo, per una nuova avventura, ancora una volta viaggio di formazione.

Soggetto pensato per uno degli ultimi vecchi del cinema italiano, il regista Giuliano Montaldo  di 87 anni (Sacco e Vanzetti del 1971 e Giordano Bruno del 1973), a volte anche attore (da Achtung  banditi di Carlo Lizzani del 1951 a Il Caimano di Nanni Moretti del 2006 a L’abbiamo fatta grossa di Carlo Verdone del 2015). Montaldo, nel film il poeta Giorgio Gherarducci, ha rappresentato la signorilità e l’educazione dell’anziano vissuto nel ‘900 e la profondità e la delicatezza di un poeta che dimentica ed è dimenticato. I quattro ragazzi, attor giovani, Andrea Carpenzano (Alessandro), Arturo Bruni (Riccardo), Emanuele Propizio (Tommy) e Riccardo Vitiello (Leo) sono invece il prototipo dei trasteverini veraci, tutto impulsi e parolacce, pronti ogni giorno all’avventura per sbarcare il lunario. Sballati senza valori e senza futuro.

Francesco Bruni ha tentato due operazioni: lo scambio positivo tra due mondi che sono anche due generazioni ed il ricordo della seconda guerra mondiale, attingendo qui dalla memoria originale di suo padre, ragazzo solo di 15 anni unitosi ad un gruppo di americani durante le battaglie sulla line gotica in Toscana. Ma il film coglie i suoi momenti  migliori in una Trastevere  viva e popolare, non ruffiano-turistica, e nei giardini delle splendide ville, che si arricchiscono di grandi panorami, del quartiere Gianicolo, uno dei più belli di Roma. E soprattutto nei fragili e difficili  rapporti tra il vecchio ed i giovani, che si rinsaldano nelle scene del poker notturno e nella partita di football  in videogame tra il Grande Torino degli anni ’40 e la Juve di oggi (miracolo delle nuove  tecnologie). Rapporti resi concreti e reali nel viaggio iniziatico in cui tutto si vive insieme (pasti, dormite, fumate, incidenti, entusiasmi  e scoperte) e nascono quelle positive contaminazioni tra due mondi e due generazioni. Con in più un’idea raffinata sui graffiti-poesia che l’anziano poeta scrive sui muri ed i ragazzi abituati a questa comunicazione, ed alla ricerca di un tesoro per svoltare, interpretano a loro modo.

Un film minimalista in cui la sceneggiatura funziona, un interprete di carisma tiene alta l’attenzione ed i giovani nuovi attori si mettono in gioco a livello professionista, come era nelle migliori pellicole del neorealismo italiano. Con una umanità ruvida e sentita, in assenza soprattutto di quelle convenzionali situazioni da melodramma o retorica moraleggiante di cui sono pieni i film in sala e gli sceneggiati televisivi, che di giovani e vecchi  o giovani versus  vecchi riempiono le banali visioni di ogni giorno.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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