Unplugged. A teatro con Kurt Cobain ed i No Global

Siamo a Seattle (Stato di Washington), città isolata nel nordovest degli Stati Uniti, periferica rispetto alle grandi metropoli di cui si sa tutto da tempo. Nel dicembre del 1999 ospita vestita a festa la Conferenza dell’Organizzazione mondiale del Commercio (WTO), che si prefigge di discutere la globalizzazione dei mercati, la liberalizzazione finanziaria e la tutela dell’ambiente.

In quei giorni un composito movimento internazionale (Popolo di Seattle), costituito da migliaia di persone appartenenti a movimenti di cittadini, organizzazioni non governative, movimenti giovanili e ambientalisti, sindacati, ecc. contesta i grandi del mondo e le sue sfide totali, imposte dall’alto, con imponenti manifestazioni, che sfociano in violenti scontri.

Ci troviamo ora in questo teatro semibuio (Carrozzerie N.O.T.), come nello studio di una radio privata di quell’epoca, in un programma di punta dell’America anni ’90 dal nome evocativo Voci Libere (Free Voices), in attesa frenetica della sua ultima  trasmissione di musica e telefonate dal vivo. Un contenitore di successo, quando ancora le radio erano la maniera più umana di partecipazione al mondo.

Erano il confessionale realista e romantico nel quale raccontare la vita quotidiana ed il mondo esterno come ancora lo si vedeva con i propri occhi, e non attraverso una informazione fredda ed oggettiva già data. Le telefonate alle radio private, fatte di racconti personali o di solidarietà sociale, di bisogni urgenti rivelati o di moti di reazione umanissimi nei confronti dei media Moloch che stavano soffocando le coscienze. Descrivevano la fragilità di quella generazione nei confronti di un discorso pubblico che era già, come ora, orchestrato dai media generalisti.

Per quanto riguarda la musica, proprio i garage ed i club di  Seattle dalla fine degli anni ’80 avevano calamitato ed allevato alcune delle più famose rock-band del decennio (Nirvana, Alice in Chains, Soundgarden, Pearl Jam). Il cosiddetto Grunge esplose come fenomeno mondiale nel settembre del 1991, quando era uscito Nevermind dei Nirvana con il leader Kurt Cobain. Era la rabbia ed il grido di dolore  di una generazione depressa e autodistruttiva. L’angoscia di una vita senza ideali né futuro, immersi nei rituali tipici del rock’n’roll  tardocapitalista nelle mani delle grandi case discografiche.

La musica quindi era un collante importante dei giovani e non più giovani contestatori del movimento (si chiamerà No Global), movimento apartitico transnazionale, che si affacciò alla ribalta contro l’ideologia capitalista e le sue derive, contro le diseguaglianze imposte dal mercato, contro il debito imposto dagli organismi internazionali con il conseguente giogo finanziario sia per i paesi del terzo mondo sia poi anche per i paesi più sviluppati.

Tim Warren (Giovanni Bonacci), coadiuvato dal tecnico Gregg (Luca Forte), in forte contrasto con la caporedattrice Juliet Cunningham (Giulia Maulucci), con la quale ha avuto una relazione terminata da poco, sta conducendo una trasmissione live su quello che sta succedendo freneticamente fuori. La donna non lo sostiene per una continuazione del programma (ultima puntata), in linea con l’emittente che vuole sostituirla con una di maggior successo. Tim cerca appoggio e solidarietà dai suoi ascoltatori.

Quando telefona un tale che dice di chiamarsi Robert (Christian Laiontini) che dedica il suo intervento alla morte dell’amico Kurt (il cantante Cobain???) rimasto fortuitamente ucciso durante gli scontri con la polizia. L’ascoltatore viene preso per un mitomane perché tutti sanno che Kurt Cobain è morto suicida cinque anni prima, e mentre gli ascolti raddoppiano, Tim rimprovera Gregg  per la mancanza di filtro sulle telefonate strane.

La musica di Bruno Pantaleoni, che sostituisce il dj radiofonico, in equilibrio con l’azione scenica, diventa allora, con la sua chitarra acustica e la calda voce,  personaggio in scena, come uno specchio delle emozioni e dei contrasti, vissuti dai protagonisti (suona Believe di Cher, River of Deceit di Max Season).

Durante questa pausa Juliet impone a Tim di far richiamare l’ascoltatore, e quando Robert parla di nuovo (non più solo voce ma presenza in teatro tra gli spettatori), Juliet  riconosce dalla voce il fratello Mark, fuggito da casa da otto anni. Tramite un’agenzia si viene a sapere che il ragazzo morto è realmente Kurt Cobain. Convinto ora della credibilità del suo interlocutore Tim cerca allora di indagare gli ultimi anni di vita della rock-star, tramite i racconti dell’amico.  Juliet intanto cercherà di riallacciare i rapporti con il fratello.

La musica rende omaggio ai Nirvana con l’idolo del suo tempo Kurt Cobain. Il chitarrista suona e canta Blew, Hearth Shaped Box e The End dei Doors. La chiusura con il suggestivo e coinvolgente  All Apologies. Spettacolo (di Giovanni Bonacci e Bruno Pantaleoni) pieno di motivazioni esistenziali e sociali, che si intrecciano in un dentro fuori continuo intenso e appassionato.

Bravo Giovanni Bonacci che si è fatto carico di un ruolo difficile da gestire e che ha ripartito generosamente con gli altri, mentre scorreva la colonna sonora dell’ultima vera stagione del rock alternativo. Unplugged è un album postumo dei Nirvana (1994) tratto dalla registrazione di un concerto a New York con strumenti che producono il suono con mezzi acustici anziché elettrici od elettronici.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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