Festa del Cinema di Roma – Paris Blues. Un film dalle tante suggestioni che fa ancora amare il cinema

A proposito dell’immagine ufficiale della 15ma edizione della Festa del Cinema di Roma (Sidney Poitier e Paul Newman sul set di Paris Blues di Martin Ritt – 1961) il Direttore Artistico della Festa, Antonio Monda ha detto:

“Ho voluto questa immagine per tre motivi. Il primo perché comunica un senso di festa, di allegria e di musicalità. Il secondo, inutile dirlo, sono gli uomini più belli del mondo. Ma il terzo motivo è quello fondamentale, perché trasmette un’idea di comunione e amore interraziale e credo che mai come in questo momento ce ne sia bisogno.”

Rivedendo il film girato in un magnifico bianco e nero e con movimenti di macchina originali dal regista Martin Ritt, nei club fumosi della “rive gauche” (caves) dove si suonava il jazz, sono emerse molte altre suggestioni. Le cantine di Saint-Germain-des-Pres erano dagli anni ’50 frequentate da chansonniers come George Brassens, Charles Trenet, Léo Ferré, Jacques Breil, Charles Aznavour, Juliette Greco. Gli autori delle canzoni erano grandi scrittori come Jean Cocteau, Jacques Prevert, Boris Vian. La Francia inoltre aveva i più noti intellettuali d’avanguardia europea come Jean Paul Sartre, Simon de Beauvoir, Marcel Camus, ed era animata da idee e passioni che sarebbero esplose alla fine degli anni ’60.

Negli anni ’30, nei luoghi dove avevano vissuto, amato e scritto Scott e Zelda Fitzgerald, Ernest Hemingway, Gertrude Stern, T.S. Eliot, mescolati con tutti gli artisti fuorusciti da regimi autoritari (Picasso, Dalì, Bunuel) mentre nasceva la storia di nuove arti, arrivò anche la più grande rivoluzione musicale, il jazz (non si può dimenticare che il primo film sonoro fu proprio Il cantante di jazz (Alan Crosland). Adelaide Hall, cantante americano aprì il primo Jazz Club, altri Club accolsero nei loro locali Cole Porter, Josephine Baker e Louis Amstrong.

Negli anni ‘50/’60 Parigi con la sua vivacità, libertà, tolleranza, e nuove tendenze attira ogni tipo di artista dagli Stati Uniti, soprattutto jazzisti. E nascono capolavori nella mescolanza del rock, del blues e della musica intellettuale francese. Ecco da dove nasce l’idea di Paris Blues, film su artisti americani a Parigi, sulla musica, sull’amore, sul razzismo, sulla droga.

Il film inizia con un brano suggestivo della favolosa colonna sonora, curata quasi interamente da Duke Ellington, un acuto da professionista, sparato a scena aperta, suonato dal trombonista Lawrence Brown che doppia l’azione di Paul Newman, il quale si è preparato bene studiando il maneggio dello strumento.

Lo accompagna con il sassofono, strumento inventato in Europa nel 1840 da Adolphe Sax, l’attore afroamericano più celebre in quegli anni, Sidney Poitier. Poi con un virtuosismo di ripresa si riesce a seguire in ogni angolo della cantina la reazione a quel ritmo di musica dal vivo, che entusiasma gli spettatori.

E’ un incipit indimenticabile con la musica e la presenza di due figure di attori così belli e bravi. Poi la notte fa spazio all’alba e la macchina da ripresa gira su una Parigi ancora antica, bohemien, quella della riva sinistra, con i tetti in lavagna, le finestre strette con i balconcini, i portoni con gli archi decorati, i negozi brillanti di vetrine e ferro battuto, il via vai di mercato e le strade umide di pioggia, dove si affacciano i Club Privés. I due americani sono ancora là a scrivere musica.

Alla stazione è in arrivo Wild Man Moore (Louis Armstrong) in tournée con la sua orchestra. Ram Bowen, jazzista con l’ambizione di diventare compositore (interpretato da un duro ma psicologicamente fragile Paul Newman) va ad incontrare il grande artista e conosce per caso due turiste americane (Joanne Woodward, moglie di Newman, già insignita di un Oscar, e Diahann Carroll, brava caratterista afroamericana di Hollywood).

Martin Ritt che dimostra un amore particolare per Parigi, per buona parte del film girerà la loro sentimentale e sessuale vita bohemien e gli angoli meno conosciuti della città, non trascurando le sessioni serali di jazz. Infittendo i rapporti delle due coppie con dialoghi che anticipano il dibattito pubblico americano degli anni ’60 (questioni razziali, lotte per i diritti civili, tossicodipendenza, realizzazioni personali e costituzione di rapporti stabili tra amanti). Manca ovviamente il discorso pacifista che nascerà solo qualche anno dopo con la guerra del Vietnam.

Con un omaggio a Louis Armstrong, che in quella occasione collaborò alla colonna sonora di Duke Ellington, facendo visita al jazz club ed improvvisando un duetto con i due connazionali, ed un altro omaggio ad uno dei più grandi chitarristi francesi, Django Reinhardt, adombrato nella figura non secondaria di Michel Duvigne, interpretato da un sensibile Serge Reggiani.

Un finale agrodolce non convenzionale ed aperto ed il manifesto dei concerti a Parigi di Louis Armstrong coperto da una pubblicità. Perché quel mondo stava cambiando ed il futuro della musica stava diventando un’altra storia.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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