Causeway. I traumi e le solitudini del mondo americano.

immagine per Causeway. I traumi e le solitudini del mondo americano.

Jennifer Lawrence, mito di tutte le teen-agers per la saga di The Hunger Games, ha provato a diventare più adulta, come tanti altri, passando ad una pièce dal taglio più teatrale, “Causeway”. Ma diventata produttrice-attrice di un film indipendente come primadonna, non le è bastato prendere una veterana del teatro come Lila Neugebauer (regista alla prima opera cinematografica) e far confezionare alle tre brave scrittrici Odessa Moshfegh, Luke Goebel ed Elizabeth Sanders, un dramma alla “Coming home” film di successo del 1978 di Hal Ashby, sul ritorno a casa di soldati traumatizzati dalla guerra.

Nel suo caso una reduce dall’Afghanistan ridotta in carrozzella che rinasce alla vita e va alla ricerca di una nuova opportunità, come è sempre stato nel Dna americano, e che invece è ormai finito, come il sogno americano del self made man. Quello che prima era la spinta ad avere una vita migliore è diventato ora, nella decadenza dell’impero americano, la causa di disturbi profondi della personalità e vuoto dei rapporti mai coltivati con gli altri esseri umani.

immagine per Causeway. I traumi e le solitudini del mondo americano.In questo film, lento ed imperfetto, si possono leggere in filigrana, ma ben evidenti, i tanti difetti della Way of life della società americana, in questo momento storico alla resa dei conti (che ritroviamo anche nella nostra società da sempre imitazione di quella).

Il primo è la solitudine profonda che attanaglia tutti, monadi vaganti per l’America ed il mondo senza radici ed empatie per gli altri. Colpa di pregiudizi, prevenzioni, egoismi, con la presunzione di essere unici ed una critica asettica verso ogni azione degli altri. Offesi per ogni parola, gesto o slancio provenga anche dalle persone più intime, familiari od amicali.

Per questo il film è una miniera di notazioni psicologiche di come gli americani pensino poco e male. Compresi solo nel loro fine di raggiungere la felicità od arrivismo senza pensare alle esigenze che gli altri hanno anch’essi, oppressi da problemi anche più gravi e forse necessità di una più ricca vita interiore.

Lynsey (Lawrence), ingegnere militare, è tornata dall’Afghanistan, dopo aver sofferto un trauma cranico nello scoppio causato da una bomba su un veicolo militare ed aver visto morire tutti gli altri commilitoni. Dopo un periodo di riabilitazione è tornata a casa in un sobborgo di New Orleans, dove viveva con la madre ed il fratello.

Considerato che aveva scelto di andare in Afghanistan per fuggire da una vita in una famiglia orribile si rimane convinti che questa sia la verità (o forse un’idea personale?). E ciò giustifica anche il suo comportamento aspro e duro verso gli altri, causa poi l’incidente avuto, i traumi subiti e le medicine che è costretta a prendere per la sua instabile situazione fisica e psicologica. Ma poi malgrado tutti le facciano notare che non è pronta a ritornare al suo lavoro, nella sua mente solo quello è lo scopo della sua vita.

Pian piano, anche con la conoscenza e la frequentazione di un meccanico afroamericano, James (Brian Tyree Henry), conosciuto per una rottura del suo pick-up, riesce a capire la sensibilità e la generosità degli altri, lei che deve ancora faticosamente maturare come persona, che a ben vedere di quelle caratteristiche non ne ha mai avute. Quella madre assente e cattiva di cui si era sempre immaginato, è piena di ammirazione e complimenti per la figlia. Una madre che cerca di supplire con compagnie maschili la sua solitudine perché ha avuto una figlia fredda e rigida ed un figlio drogato e spacciatore.

Tornando al rapporto con James, con cui inizia ad andare in locali a pranzo, nella sua casa a bere birra ed a fare bagni nelle piscine (che come lavoro provvisorio sta intanto pulendo), c’è un momento in cui l’uomo confida il trauma che si porta dietro (fisicamente).

James ha avuto un incidente d’auto in cui ha perduto una gamba e forse un nipotino è morto. C’è un momento in cui i due sembrano superare le distanze, ma dopo un abbraccio Lynsey confessa che è stato solo per compassione. Adamantina nella sua decisione di lasciare New Orleans perché non è salutare per lei, rifiuta anche di poter usufruire della casa di James.

I nodi di tutti questi fraintendimenti ed incomprensioni sembrano risolversi quando Lynsey finalmente va a trovare il fratello in carcere e riesce ad avere con lui un colloquio affettuoso con i segni dei non udenti (è sordo). A questo punto Lynsey sente il bisogno di vivere vicino a qualcuno, senza più fuggire, va a casa di James e dice la frase famosa del finale del film Casablanca “Credo che stia iniziando una bellissima amicizia”.

Malgrado i tanti giovani fans nel cinema, nessun applauso per Jennifer Lawrence, nel film attrice impegnata e matura e non eroina da racconti distopici. Un passo falso, troppo indietro per le mode correnti. La Lawrence del resto, che è molto maturata, vorrebbe invece dimostrare, a ragione, di avere altre frecce più raffinate nel suo arco da amazzone bionica.

+ ARTICOLI

Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.