La fiera delle illusioni. Un noir psicologico tra mostri della natura e mostri della coscienza

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L’ultima storiaccia, più pulp fiction che noir, ce l’ha raccontata Guillermo Del Toro con La fiera delle illusioniNightmare Alley, film primo negli incassi al botteghino italiano nelle ultime settimane. Ma se è facile capire perché nella società del malessere si abbia bisogno di vedere al cinema mostri, freaks, psicopatici, millantatori, killer di ogni tipo, immersi in orrori, delitti ed imbrogli fino al paranormale, è importante invece ricostruire come il regista Del Toro, premio Oscar nel 2018 per La forma dell’acqua sia arrivato a girare questo film.

Iniziamo dal libro Nightmare Alley scritto nel 1946 da William Lindsay Gresham, scrittore maledetto ed alcolizzato che raccontava quel mondo nomade ed emarginato dei baracconi dei Luna Park americani (Carnival) che sopravviveva con l’esibizione a pagamento di persone deformi, scherzi della natura e di altre invenzioni, piene di trucchi grossolani (illusionisti, lettori del pensiero) in una fiera perenne delle illusioni, per spettatori ignoranti e creduloni di provincia, che volevano essere scoperti nei loro sogni più oscuri e rincuorati nelle loro coscienze malate.

Partendo da questo folkloristico mondo l’interprete del libro, Stan (Il grande Stanton) un arrivista cinico e spietato, passa ad esercitare i suoi trucchi nelle città.

Da questo libro era stato già tratto un film noir nel 1947, con la regia di Edmund Goulding e voluto da Tyrone Power, che voleva mostrare di non essere solo l’interprete buono dei film commedia; la pellicola non è male ma molto addomesticata per le regole del Codice morale Hays e con scontato happy end finale.

Il regista Del Toro, da sempre affascinato dalle favole horror dei monster o paranormal movies (Hellboy 2004, Il labirinto del Fauno 2006, Pacific Rim 2013, La forma dell’acqua 2017) ha trovato nel Geek, un umano degradato ad essere selvaggio, personaggio più famoso della corte dei miracoli dei giostrai, la sua ispirazione.

Il Geek della prima parte del film è un uomo alcolizzato e drogato che si è prestato, per un lavoro temporaneo ad interpretare un uomo-bestia, che mangia vivi gli animali che gli vengono offerti, precipitando sempre di più nel suo abbrutimento. Ma è Stan Carlisle (Bradley Cooper), un giovane dal passato oscuro, apprendista di metodi illusionistici, creati da Madame Zeena (Toni Collette) e dal marito Pete Krum (David Strathaern), deciso a sfruttare la credulità del prossimo, il personaggio da seguire nella sua scalata al successo, ai soldi, in una corsa compulsiva alla disonesta ed al delitto.

Così, se nella prima parte del film la messa in scena dei trucchi illusionistici di lettura del pensiero sono rivolti verso vittime rurali, nella seconda parte una più sofisticata messa in scena è preparata per circuire i cittadini più evoluti. Stan nella città di Buffalo, malgrado tutti gli avvertimenti dei suoi sodali del circo, inclusa la giovane e più onesta moglie (Rooney Mara), si illude di poter imbrogliare con falsi poteri medianici e divinatori anche personaggi molto importanti della alta società americana come il giudice Kimball ed il potente magnate Grindle.

Una storia che si rivela un po’ malata, un po’ criminale, dai risvolti psicoanalitici. Nel solco della letteratura noir da cui negli anni ’40 e metà anni ’50 era nato nel cinema un genere di grande successo (da Il mistero del falco di John Huston 1940 a L’infernale Quinlan di Orson Welles 1958).

Ma già il thriller psicologico viveva una vita a parte. Mentre i noir avevano una loro precisa codificazione di scrittura, sceneggiatura e dialoghi, con un poliziotto o detective privato, trascinati in situazioni pericolose e spesso una dark lady misteriosa e manipolatrice, con un rigido stile fotografico di contrasto tra bianco e nero, luci ed ombre ed atmosfere metropolitane degradate e pessimistiche, il noir psicologico, pur seguendo la matrice del noir più classico, basava la sua storia soprattutto sull’importanza dell’inconscio.

Per la psicoanalisi, l’inconscio è una parte della mente da cui possono generare una serie di comportamenti attuati senza essere sottoposti al controllo della coscienza; si è sempre cercato di capire sul lettino degli psicanalisti, quindi, quei meccanismi di rimozione di un delitto, di un trauma infantile, di un complesso (Edipo ed Elettra). Autori come Fritz Lang (La donna del ritratto, Dietro la porta chiusa), Robert Siodmak (La scala a chiocciola, Lo specchio scuro), Curtiss Bernardt (L’anima e il volto), Otto Preminger (Vertigine), Alfred Hitchcock (Io ti salverò, Rebecca la prima moglie, Il sospetto) hanno usato nei loro film l’ambiguità psicologica di questo sottogenere che subisce l’influenza della psicoanalisi, delle teorie freudiane e degli altri interpreti delle dinamiche del cervello umano.

Tutto ciò, per introdurre l’elemento più rilevante del film La fiera delle illusioni. Stan il protagonista è lui stesso dentro un incubo da cui sfuggire, mentre sfrutta abilmente, tramite un occultismo da medium improvvisato, le debolezze psicologiche di chi soffre disturbi della coscienza per profondi problemi di rimozione dei suoi stessi incubi.

Finché non verrà a contatto con chi questi argomenti li conosce meglio di lui, la dottoressa Lilith Ritter (Cate Blanchett), la femme fatale dei noir classici, una psichiatra che lo aiuta a togliere soldi ai più ricchi della città ma lo mette in terapia per scoprire i suoi segreti più intimi e poterlo tenere in pugno.

La vera conclusione del film (NO SPOILER!) è che l’archetipo del mostro non è il bruto fisico ma ogni essere umano con profonde turbe nella coscienza, ossessioni di fantasmi del passato.

Il film piace molto per le atmosfere oscure a torbide, fa presa con situazioni psicanalitiche ed oniriche, con un cast assortito, che fa il suo dovere, ma soprattutto con uno sfoggio di fotografia (Dan Laustsen) coloratissima nella prima parte e grigia e più intima nella seconda, dove le cose, dopo il gioco iniziale, si fanno serie e chi è più debole è destinato a perdere.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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