Notti magiche di Paolo Virzì. Un amarcord in stile trash.

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Notti magiche, di Paolo Virzì
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Notti magiche, di Paolo Virzì

La terrazza (1980) di Ettore Scola viene considerato il film di chiusura di una stagione felice del cinema italiano, la cosiddetta commedia all’italiana, piena di belle idee, buoni registi e di grandi interpreti. Con il film Notti magiche, Paolo Virzì racconta, collocandola nei giorni delle partite finali del campionato del mondo di calcio del 1990, la terrificante degenerazione del cinema italiano in quegli anni, prima che nuove idee e registi ed interpreti riuscissero a liberarsi di quel glorioso ma ormai stanco passato.

In un miscuglio di venerati maestri e maestri fasulli, produttori in fallimento e grandi attori in lacrime, generici diventati segretari e tanti sceneggiatori gostwriters (negri), pronti a lavorare per sopravvivere o per arrivare alla gloria della firma. In una caciara di discorsi e di eventi scontati, tutti chiusi in se stessi, immersi nell’amor proprio che caratterizza tante mezze figure senza futuro. “Bisogna guardarsi intorno o fuori della finestra per scrivere cose interessanti”. Dirà per anni alla figlia, che non la capisce, una delle interpreti principali la scrittrice Eugenia, mai arrivata al successo.

La terrazza rimane un film miliare per la storia del cinema italiano, una commedia autocritica degli autori di quella stessa commedia, con un approfondimento che veniva dal vissuto di almeno venti anni.

Notti Magiche è l’amarcord di un giovane allora sceneggiatore (ora anche regista) sulla sconfitta finale del cinema italiano, scritto con lo stile trash di oggi, in cui con molto cinismo e disincanto moderno, viene maltrattata quella corte (ormai invalida) dei miracoli che aveva fatto la storia della commedia all’italiana. 

Ettore Scola, Furio Scarpelli, Sergio Amidei, Federico Fellini, Dino Risi, Michelangelo Antonioni, Vittorio Cecchi Gori e quanti altri si possono intravvedere in una folla di personaggi, sono solo caricature di personaggi famosi. Tra l’altro in un gioco scoperto e nascosto, senza dire o non dire chi siano, che sa più di pettegolezzo che di brandello di storia cinematografica. Una gran caciarata sul tempo che passa e sulle nuove generazioni pronte al compromesso con un alto tasso di faciloneria.

Nella storia-pretesto, l’indagine di un Capitano dei carabinieri (di cui ormai sono piene le serie TV) su tre giovani sceneggiatori, finalisti del premio Solinas, fotografati per ultimi con il morto (forse ammazzato), manca malgrado i tanti flashback usati una indagine a fondo dei personaggi, solo sbozzati anch’essi e senza retroterra, veline poco approfondite.

Non vale nemmeno il vezzo neorealistico di prendere attori alla loro prima interpretazione, perché sperduti in un caos di parole ed urla e litigi e corse in un ambiente quasi sempre pieno e caotico di persone ed eventi. “Volete fare gli sceneggiatori – dice il Capitano – ma non sapete fare gli spettatori. E’ bellissimo fare gli spettatori ed appassionarsi alle persone”. 

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La locandina

Spettatori ai quali non può bastare nel film frequentare le trattorie del cinema anni ’90, i brani di partite di calcio in TV, le case dei vip politicizzati od i sottoscala di ex-registi impegnati, od i corsi-prigione di piccoli sceneggiatori chini sui tasti della lettera 35 come speedy-writers, se non ci sono le persone con cui avere empatia.

C’è una frase detta in tutta questa confusione che conta molto “Se si facesse un po’ più di silenzio, capirebbero meglio tutti”. E’ vero anche per gli spettatori che alla anteprima della Festa del cinema di Roma hanno lasciato, confusi, la tenda del Villaggio prima della fine. Forse tutti giornalisti cattivi? Tanto Paolo Virzì ha dichiarato di essere contento anche delle critiche.

Nel 1969 passò per Roma Francis Ford Coppola (Il padrino, Apocalipse now), allora giovane sceneggiatore, e rimase entusiasta della grande fioritura di tutti i generi del cinema italiano. Il figlio Roman Coppola, dai suoi appunti ricavò il film CQ (2001), in cui Giancarlo Giannini, come in Notti magiche ricopriva il ruolo di un produttore. Ma anche se Roman non è Francis vale la pena di vedere quel film per fare un dovuto confronto.

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Pino Moroni ha studiato e vissuto a Roma dove ha partecipato ai fermenti culturali del secolo scorso. Laureato in Giurisprudenza e giornalista pubblicista dal 1976, negli anni ’70/80 è stato collaboratore dei giornali: “Il Messaggero”, “Il Corriere dello Sport”, “Momento Sera”, “Tuscia”, “Corriere di Viterbo”. Ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti. Dal 1990 è stato collaboratore di varie Agenzie Stampa, tra cui “Dire”, “Vespina Edizioni”,e “Mediapress2001”. E’ collaboratore dei siti Web: “Cinebazar”, “Forumcinema” e“Centro Sperimentale di Cinematografia”.

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