Venezia. La casa degli anarchici

Venezia
Venezia

A Venezia le case mica te le aspetti. Si aprono all’improvviso come labbra di piccole bocche meravigliate. E t’inghiottono dolcemente con un sorriso.

Passando per calli strette e ponti e scalini, a Venezia poco ci si accorge del cielo e poco anche delle finestre che  spesso scrutano e conoscono anche quello che il viandante non intuisce. E così, mentre egli tira dritto cercando la propria meta, è possibile che quella sia già arrivata e s’apra al suo fianco proprio quella porta che, col passo, aveva appena superato.

Venezia
Venezia

Giovanni ed Adelaide avevano parecchi anni nelle gambe ancora muscolose e scattanti, abituate a percorrere Venezia in lungo e in largo, i capelli grigi e negli occhi tantissima vita.
Anarchici fin dal tempo della ragione, facevano gli editori.

Piccolissimi editori militanti di quella militanza solida e antica fatta soprattutto di comprensione, di ricerca, di studio, di sguardi sul mondo e di una lingua poi non troppo proletaria.
Così Adelaide aprì il portone e Venezia mostrò il suo altro volto.
Il volto che non t’aspetti, quello interiore e segreto che solo a pochi è dato di vedere. Il volto che esibisce al contempo ricchezza e povertà, che si compiace dell’antico e di tutte le sue crepe; e che s’inventa alberi e giardini dove giardini ed alberi non potrebbero mai stare.

Il cortile di Adelaide e Giovanni era grande e scrostato, le molte piante crescevano in tinozze d’allluminio ammaccate, in pentole rotte come anche in bellissimi vasi di terracotta a rilievo. Al centro tre o quattro alberi sottili che spingevano la loro chioma, a forza di voglia di vivere, fin verso il cielo. E lungo i muri perimetrali piccole porte e scale che conducevano ad altre piccole porte, come in un labirinto di luoghi celati.

E di nuovo una porta s’aprì su una lunga scala che, girando a spirale attorno ad un vuoto sempre più profondo, ci affidò ancora ad un’altra porta.
Entrando Adelaide illuminò una prima stanza dal pavimento di graniglia antica, al centro della quale si trovava un immenso torchio da stampa di legno lucido.
Antico come la casa, sembrava che non l’avessero portato lì (come avrebbero potuto fare lungo quelle minuscole scale?), ma che Venezia fosse stata costruita attorno a lui.

Le pareti attorno, dalla terra fino al cielo erano coperte di scaffalature di legno scuro e profumato e sugli scaffali libri, copertine dai colori chiari, uniformi, come se un architetto avesse scelto la tinta giusta, come per le mura.

Le case di Venezia sono labirinti. Si racconta di persone che non ne sono più uscite, ma nessuno sa dire in cosa si siano tramutate.
E la stanza del torchio, dalla quale s’usciva attraverso un passaggio più angusto, prometteva alla sua destra, ma soprattutto alla sua sinistra, un dipanarsi di corridoi e stanze dalla fine incerta.

Adelaide ci guidò nel corridoio di destra parlando di libri. Dei suoi libri.  Ne sembrava la madre o forse, meglio, l’istitutrice.
Bellissima, con un volto chiaro segnato e trasparente, gli occhi azzurri ed i capelli argentati lunghi fino alla vita, stava accanto ai suoi libri sottile e diritta come gli alberi del suo cortile.

Il corridoio era dipinto a tempera rosa antico e curvava lievemente; le pareti erano tempestate di quadri, di foto e ritagli di giornali importantissimi chissà per chi, chissà per cosa, mentre sui piccoli mobili fiorivano vasi impolverati ricolmi di fiori secchi, vecchie lettere abbandonate e scatole di regali ancora vivi. Sulla sinistra del corridoio due o tre porte rubate a qualche vecchia casa di campagna, le cui assi di legno riquadrate erano dipinte a lacca lucida rossa e blu polvere.

La casa di Adelaide e Giovanni: libri chiari e colori forti.

Giovanni ci aspettava alla fine del corridoio. Dietro la porta (questa volta di legno nobile laccata di bianco con una sfarzosa maniglia di bronzo) un salone immenso, doppio, forse triplo, dipinto in un arancione polveroso, simile ad un suk dove s’ammassavano in un disordine che pure era pieno di pace, divani antichi e moderni, cassapanche, sedie, tele appena abbozzate, quadri appoggiati in terra, tavolini bassi, cuscini marocchini, mobili di modernariato, ricordi di ogni parte del mondo, tappeti, riviste ed ancora alti scaffali pieni di libri e quel tavolo lungo forse cinque o sei metri che divideva in due la stanza.
Di fronte una vetrata panoramica affacciava sul terrazzino che dominava il cortile, lambito dalle chiome degli alberi.

Adelaide la guida, Giovanni l’accoglienza.
Ci fecero entrare senza timore in quel mondo di colori variegati come la sabbia del deserto conquistandoci con calici di dolce vino delle colline e sapori nuovi ed unici che s’innalzavano da ciotole, vassoi e zuppiere.
Crostini caldi e zuppe antiche, carni gustose e formaggi inebrianti e poi un dolce speciale che aveva fatto Giovanni con le sue mani e del quale non potrò mai raccontare il sapore perché si sa, è un dolce che porta l’oblio.

Se la stanza del cuore di Adelaide era l’ingresso con il grande torchio, il posto segreto di Giovanni era, invece, la cucina, anche questa con le pareti un po’ curve, dipinte con l’anilina azzurra, mobili antichi bianchissimi, un tavolo di marmo ed una cucina economica di smalto bianco capace di cuocere sia a gas sia a legna. Un gioiello della sua infanzia che non aveva mai smesso di elaborare piatti squisiti.

La casa degli anarchici  aveva occhi. Occhi buoni che ci guardavano mangiare e parlare di libri, di teatro e di anarchia. E mi tornavano in mente quelle sere bambine quando guardavo i miei genitori ed i loro amici restare pigramente a parlare di qualcosa che non c’è.

Ed infine prepararsi ad affrontare Venezia di notte, mille volte vista e mille volte di nuovo sorprendente, tornando indietro per il corridoio dai mille occhi, fino alla stanza del torchio e poi oltre la porta, per le scale, nel cortile e di nuovo lungo la calle immota.

Come se quel bagliore di tempo non fosse passato ed il corridoio a sinistra della stanza del torchio non era riuscito, quella volta, a catturarci.

+ ARTICOLI

Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e statistici. Cliccando su "Accetta" autorizzi tutti i cookie. Cliccando su "Rifiuta" o sulla X rifiuterai tutti i cookie eccetto quelli necessari per il corretto funzionamento del sito. Cliccando su "Personalizza" è possibile selezionare quali cookie attivare.