I Sentinelli. Quando i diritti diventano intersezionali

immagine per i sentinelliQuesto libro è arrivato nell’orizzonte confuso di un’Italia indebolita politicamente e rappresentativamente alla fine di un anno fra i più difficili che io ricordi.

Sentinelli – Che fretta c’era, edito da Tlon e raccontato, ancor prima che curato, da Chiara Palumbo ci ha fatto conoscere una storia che, seppur riecheggiata su alcuni media particolarmente attenti, non era molto conosciuta, soprattutto al di fuori della Lombardia.

Una storia politica, sociale, civile. Una storia che raduna la famosa base senza la quale nessuno può aspirare alle altezze, per parlare di argomenti “antichi” come diritti e laicità. Argomenti che fanno crescere e offrono la possibilità di scegliere e di allenarsi nell’uso dei diritti, riconoscendoli come doni e non come obblighi (come troppo spesso si tende a fare). Nessuno è obbligato ad avvalersi di un diritto sancito, ma tutti sono tenuti a rispettare chi se ne avvale, quindi nel concetto stesso di diritto c’è quello di dovere: dovere riconoscere l’esistenza di altri pensieri, altre necessità, altre modalità di esistere.

Ne parliamo con Chiara Palumbo autrice del libro e sostenitrice di tutti i diritti.

Chi sono i Sentinelli e perché nasce questo libro? È Il racconto della storia di un movimento o il modo migliore di fermare l’attenzione e cercare di blindare i diritti civili e sociali inalienabili che negli ultimi tempi sono stati quotidianamente messi in discussione?

I Sentinelli sono un gruppo di persone che crede nell’importanza di difendere i diritti in prima persona, di farlo con freschezza ma con precisione. Sono nati nel 2014 come risposta alle Sentinelle in piedi, quel gruppo che (fingendo di) leggere stava fermo nelle piazze italiane per contestare i diritti delle persone LGBT+. Quale modo migliore di rispondere se non con un girotondo colorato?

Se però questa è stata l’occasione, i Sentinelli sapevano di non potersi occupare soltanto di tematiche LGBT. Perché le persone discriminate sono tante, e perché i diritti o sono di tutti o sono privilegi, e quindi non si può far classifiche di urgenze, o lottare per un diritto lasciandone indietro altri.

Così, da cinque anni, i Sentinelli parlano di autodeterminazione delle donne, di odio in rete, di intolleranza, di antifascismo e laicità dello stato. Tutti diritti che non possono che camminare insieme. E farlo sulle gambe di tanti. Per questo, la scelta di fare questo libro mi piace pensarla come un passaggio di testimone, un modo di dire a chi lo leggerà “questo è quello che abbiamo fatto, se ti ci riconosci, se te la senti, ora tocca a te fare il tuo pezzettino”.

E per continuare a fare insieme un percorso che va avanti. Sarebbe bello che porre su carta bastasse a esternare e blindare qualcosa. Purtroppo invece a me porre su carta ha dato esattamente l’immagine di quanto quello che speravamo di aver acquisto, oggi, non lo è affatto, della fragilità dell’umanità su cui pensiamo di poterci appoggiare. Le luci tocca a noi tenerle accese, in un tempo distratto. E allora forse scriverlo è il modo di ripetercelo e di sentire la stessa domanda che mi sono posta io il giorno in cui ho incontrato la gioia dei Sentinelli: e tu, cosa stai facendo, per la tua felicità e quella degli altri? 

Non è facile raccontare i Sentinelli ad una popolazione che ha disimparato ad accorgersi di quello che non è in primissimo piano sui mezzi di comunicazione. Tu che tipo narrazione hai usato?

Quello che conta nella vita sono gli incontri“. È una frase stupenda che mi ha regalato Dori Ghezzi qualche anno fa, e che anche prima di essere formulata con questa precisione per me è sempre stata un punto fermo. Ho sempre creduto che se vuoi porgere qualcosa a chi è indifferente o peggio ostile non c’è altro modo che dargli un volto.

Una storia, una vita a tutto tondo. Per questo, se da un lato abbiamo inevitabilmente deciso di procedere secondo il percorso cronologico delle piazze cui i Sentinelli hanno dato vita, anche per dare il senso dell’evoluzione del percorso, per me è stato assolutamente importante che emergessero direttamente le loro voci, quando possibile le loro storie. Così ogni tema è stato affidato a chi tra i Sentinelli, ha scelto di approfondirlo, arricchendo il racconto delle parole di chi era intervenuto nelle loro piazze di volta in volta.

Da un lato perchè la presa di parola è fondamentale, dall’altro perchè la forza del progetto dei Sentinelli sta proprio in quanto ciascuno, con le sue specificità, ha portato al progetto comune, e in quanto questo ha restituito a ciascuno di loro. Si è potuto così riflettere su ciascun tema  rispondendo, ancora una volta, a una propria urgenza, facendo emergere a tratti porzioni di sé che danno, io credo, la dimensione plastica di quanto acquisire e godere di un diritto non è una questione formale, ma un cambiamento tangibile nella vita di chi ci cammina accanto.

Fuori dal contesto milanese-lombardo, i Sentinelli, che pure sono presenti in tutta Italia, non sembrano essere immediatamente riconoscibili. Eppure la loro cifra è unica: parlare di diritti per fa sì che non comincino – come dici nel primo capitolo – “ad essere raccontati come giochi per bambini viziati, perdite di tempo, inciampi sulla via della produttività”. Raccontaci come sono riusciti a coinvolgere tante persone; raccontaci l’uso della piazza e dell’ironia che li contraddistingue.

Quando mi si chiede perchè i Sentinelli coinvolgono tante persone a me viene sempre in mente quello che ho sentito ripetere in quasi tutte le piazze in cui sono stata insieme a loro “Voi dite quello che io vorrei dire, nel modo in cui io avrei voluto saperlo fare”.

Le persone ci si riconoscono, e vedono nell’esempio dei Sentinelli lo sprone per una partecipazione attiva a cui, da sole, sarebbero state probabilmente inibite. Penso che sia per questo che il “metodo Sentinelli” (ammesso che esista, e su questo rimando al libro) funziona: ricorda che non ci sono, non ci possono essere barriere e steccati.
Accanto ad attivisti di lungo corso, in mezzo ai Sentinelli si sente a suo agio chi non ha esperienza politica precedente, le persone più mature stanno accanto ai ragazzi che apprezzano la dimensione divertita (e insieme chiara, in un momento storico di annacquamenti) delle loro idee.

Nelle loro piazze si avverte di stare combattendo una battaglia comune e assolutamente trasversale – intersezionale, per usare un termine più corretto -, sia negli obiettivi che negli attori. È l’elemento più significativo, che ha avvicinato anche chi può non riconoscersi in associazioni che si concentrano su tematiche più specifiche e con strutture più rigide. Ci si sente liberi, e si è recuperata una dimensione collettiva calata però sul presente.

I Sentinelli conoscono l’importanza della piazza, intesa non come dimostrazione di forza quantitativa (nelle intenzioni non c’è mai stato “contarsi”) ma come occasione di incontro, di relazione, per guardarsi negli occhi e segnalare una presenza. Ma per farlo, oggi, non si può prescindere dai social, la “piazza virtuale”: non a caso i Sentinelli sono nati e si sono sviluppati parallelamente in piazza e in rete, e non esisterà mai per loro un luogo senza l’altro. Del resto non si può dimenticare l’immediatezza che la rete garantisce (anche perchè da lì, oggi, passano molte discriminazioni) ma non si deve neppure farsi bastare la fatica limitata chiesta dai social: il passo in più che richiede la partecipazione fisica segna quanto siano sentiti i contenuti.

Quanto all’ironia, è la cifra principale dei Sentinelli, e la loro regola: “fare sul serio senza prendersi troppo sul serio”. La freschezza dei metodi è l’altro elemento che calamita l’attenzione, perchè rende la partecipazione anche piacevole, senza per questo infiacchire mai il senso, forte, delle rivendicazioni.

immagine per Chiara Palumbo
Chiara Palumbo

A proposito, quali sono i pro e i contro dell’ironia nella comunicazione?

Sono molto legata a una frase che ho preso a prestito da Lella Costa, che a sua volta la trae da Romain Gary: “l’ironia è una dichiarazione di dignità: l’affermazione della superiorità dell’uomo su ciò che gli capita”. L’ironia è un mezzo potentissimo, soprattutto contro le manifestazioni d’odio e di discriminazione, perchè senza scendere sullo stesso terreno di una dialettica bassa tipica dei portatri d’odio ridicolizza la violenza delle affermazioni discriminanti.

Purchè, s’intende, sia fatta sempre con rispetto, sempre sul punto, magari con sagacia ma mai in modo greve o gratuito: quando, come fanno i Sentinelli, ci si fa portavoce di una comunicazione sana, è importante aver cura che il linguaggio sia corretto prima di tutto da parte di chi la fa, e poi, ancora di più, da parte di chi la pensa come noi.

Essere credibili, in questo senso, è vitale. L’ironia, quindi, deve toccare il tema, non la persona, le sue esternazioni, non le sue caratteristiche. E poi deve essere sempre molto accorta nel mantenere una misura tale da non mettere in secondo piano la centralità (molto seria, quando non drammatica) del tema di cui si sta trattando.

Nel libro a ciascun diritto e alle relative negazioni, è dedicato un capitolo: le donne, le persone lgbtqi+, l’eutanasia, le famiglie arcobaleno, il lavoro, i migranti, la xenofobia e il razzismo, il credo religioso, l’odio in rete e non solo. Con la tua analisi riporti alla luce, con una tecnica quasi “archeologica”, i significati politici di un passato non troppo lontano, ma molto dimenticato. Quello in cui ciascun essere era anche politico.
Che effetto fa poterli scoprire e valorizzare per una generazione che non è stata educata a consocerli?

Parlando con diversi Sentinelli, in particolare quelli nel gruppo che erano giovanissimi nel momento delle prime battaglie per l’autodeterminazione delle donne o delle prime prese di consapevolezza delle persone LGBT+ in Italia, quel che spesso ha stupito tanto loro quanto me è stato veder messe in discussione alcune conquiste in apparenza raggiunte, in molti casi con le stesse parole che si usavano allora. E questo fa paura, e ci racconta quanta strada è ancora da fare.

Chiama i millennials e i più giovani innanzitutto a dirsi che se non ci siamo riusciti prima è ora di costruire un linguaggio, un sistema di pensiero, con delle coordinate diverse.

Confrontarmi coi Sentinelli mi ha dato però la misura di quanto tutto quel che consideriamo ovvio, acquisito, di buon senso, è sempre frutto delle lotte, del coraggio e della “fretta” di chi è venuto prima, e ha fatto della sua vita uno strumento politico.

Vale la pena rifletterci ogni volta che abbiamo paura, ogni volta che ci manca la forza di metterci la faccia per qualcosa in cui crediamo perché ci viene il sospetto che non serva: c’è stato chi lo ha fatto quando era molto più difficile.

E sono loro a permetterci anche di essere, qualche volta, legittimamente fragili. Tutto questo ci permette anche di riconoscere dei debiti che non sono però soltanto di gratitudine orientata al passato, ma anche, e soprattutto, un motivo di esempio.

Anche se forse lo slogan si sente meno spesso, c’è ancora chi pensa che il personale sia politico, e chi non si ferma. La lezione più bella me l’hanno data due Sentinelli che hanno superato i settanta, e stanno insieme da quattro decenni: quando hanno capito di amarsi era davvero un altro mondo. Eppure, loro ci hanno tenuto che nel libro arrivasse un messaggio molto netto. Non ci basta. Avere una fede al dito non avrà davvero valore fino a che il loro nipotino acquisito non sarà figlio anche per la legge di entrambi i suoi papà. Se anche chi avrebbe diritto di godersi finalmente un po’ di quiete guarda prima alle generazioni di domani, come possiamo non farlo noi che di quelle generazioni siamo parte?

Questo libro è uscito al tempo in cui nascevano le Sardine, ci racconti, se c’è, la differenza fra i due movimenti e le possibilità di scambiarsi ed accogliersi reciprocamente che entrambi hanno?

Personalmente credo che le Sardine confermino alcune delle cose che già i Sentinelli avevano messo in evidenza. In primo luogo, un movimento del genere, esploso e moltiplicato a una tale velocità, segnala – vale la pena ripeterlo ancora – che esiste una urgenza, che non si può ignorare, che qualcuno – lo diciamo anche nel capitolo finale, è chiamato a cogliere. Senza demandarne la responsabilità.

L’emersione delle Sardine come quella dei Sentinelli sono lì a dimostrare la forza dell’indipendenza, dello spontaneismo dei movimenti nati dal basso, delle persone che si riconoscono in un percorso comune. Questo credo sia il grande punto di contatto, oltre, naturalmente, all’antifascismo. Una base significativa. I Sentinelli, per parte loro, hanno un preciso sistema di valori e hanno compiuto delle scelte precise in termini di argomenti da porre all’attenzione (come anche di temi sui quali lasciar parlare chi è più competente): mi pare che questo orizzonte di idee nel caso delle Sardine sia ancora in formazione, e sono molto curiosa di vedere che direzione prenderà. Per parte loro, le Sardine, anche se hanno coagulato intorno a sé persone di tutte le età, portano un valore nel punto di vista generazionale, la voce dei trentenni che si sono trovati in mezzo tra la forza della generazione precedente e la speranza dei giovanissimi: hanno ricordato che anche i Millennials hanno più di qualcosa da dire e non gli è passata la voglia di farlo.

Naturalmente, infine, è importante tenere a mente che quelle dei Sentinelli e delle Sardine sono due voci che vanno nella stessa direzione, ed è urgente più che mai oggi non dimenticarsi l’importanza di camminare insieme, di unire le forze. Pur chiarendo gli apporti specifici di ciascuno, non si può, quando si parla di diritti, perdersi nei distinguo o peggio ancora scontrarsi. Se una battaglia per il bene collettivo non si combatte sempre insieme, perdiamo tutti. E soprattutto i diritti.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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