Per scrivere I cinque continenti del teatro. Fatti e leggende della cultura materiale dell’attore (Edizioni di Pagina, Bari, 2017) Eugenio Barba e Nicola Savarese ci hanno messo venti anni.
Per leggerlo, a me, ce ne è voluto quasi uno. E non perché non lo avessi divorato immediatamente parola dopo parola e immagine dopo immagine, ma perché ogni parola ed ogni immagine rappresenta la chiave di accesso ad un mondo, il Teatro, che finora, non era mai stato raccontato così.
In questi giorni di celebrazioni per i 55 anni di vita dell’Odin Teatret, si parlerà spesso anche di questo libro di quasi 400 pagine, che racconta del Teatro come da dentro una drammaturgia.
Ci sono i dialoghi, c’è un’azione/narrazione portata avanti per associazioni di immagini e di idee, ci sono dei punti di svolta che determinano il cambiamento dell’apprendimento, c’è il momento in cui tutto questo si trasforma e trasforma il lettore. Climax. Soluzione.
In queste quattrocento pagine, dunque, il Teatro non viene insegnato, ma viene rappresentato con uno splendore che inizia con la preistoria e ancora non finisce.
La formula che unisce testo ed immagini non è certo nuova per Eugenio Barba e Nicola Savarese, e non solo nei libri. Rappresenta, infatti, la cifra dello studio e dell’allenamento dell’attore; la base stessa del concetto di “antropologia teatrale”; il linguaggio che unisce le infinite lingue che si possono parlare in uno spazio teatrale, ma questa specifica collezione delle meraviglie, questa wunderkammer a stampa, vive di vita propria e permette molteplici punti di vista.
Penso ad uno immediatamente riconoscibile: quello delle arti visive. La dovizia di immagini di genere diversissimo fra loro (dipinti, fotografie, sculture, francobolli, architetture, lapidi, disegni, pubblicità, fotogrammi di film, biglietti di spettacoli, raccolte di immaginari, etc.) e di provenienza da ciascuno dei cinque continenti e in parte anche da un universo “oltre Giove”, costuisce, anche stavolta, un percorso dall’interno. In questa non-storia dell’arte, infatti, si parla come da dentro un oggetto d’arte con le sue prospettive, le geometrie, la connessione con il sentire dell’artista, il fondersi.
I cinque continenti del teatro è organizzato per categorie “giornalistiche”. Si comincia con il capitolo Quando che però, stranamente, non parla di tempo (ai tempi in cui gli attori…), ma di modalità (Quando gli attori sognano di vivere di sovvenzioni); viene poi il Dove (dove si rappresenta? Nei cortili, nei teatri, in riva ai fiumi?); il Come (come si muove l’attore? Come cambiano le tecniche? Come si impara?); il Per Chi (una sola domanda suddivisa in decine di possibilità: chi sono gli spettatori, questo nome collettivo del Teatro?) e, infine, il Perché (perché il Teatro? Perché l’attore? Perché l’arte? Perché i sogni?).
A tutte queste domande poche risposte, ma molte informazioni, aneddoti, eccentricità. Una capsula del tempo che costringe ad essere ciò che si legge e che si guarda: il Teatro, l’Antropologia, la Pittura, il Cinema; dentro la Mitologia, la Geografia, la Storia e dentro ogni gli altro spunto che possa sorgere (la Festa? Il Gioco? La Guerra? L’Amore?…).
Tutto questo chi fa Teatro lo sa: raccogliere le vestigia del passato, organizzare il vissuto è il solo modo per avere una sorta di predizione su quello che sarà il futuro, visto che, attualmente, la chiarezza non è data a nessuno.
Almeno qui in Italia dopo Eugenio Barba il Teatro di ricerca sembra incantato in una sorta di stupore.
Ma dopo, cosa viene, dopo? Le tecniche del terzo teatro hanno davvero esplorato tutto?
Davvero tutto è stato scritto, tanto che in questi ultimi 30 e più anni, ci si è, come dicono, dedicati più ai contenuti che alla forma?
Davvero parlare di sociale, di drammi, di mancanze, di orrori, oppure navigare l’attualità sono le uniche frontiere del teatro di sperimentazione? Cosa potrebbe, invece, essere?
Questo immaginario collettivo universale che Nicola Savarese così bene racconta, illustra ed innamora in questo libro, ha la capacità di accendere una fiamma viva, ha la possibilità di essere esplicato, modificato, aggiornato, stravolto da chiunque non riesca a farsi bastare il Teatro così come ora è.
Abbiamo bisogno di tutte quelle storie, di tutte quelle immagini, di tutte le tracce di un approfondimento mai concluso, la cui eredità sembra essere liberamente racchiusa in questo scritto. E pronta a dare nuovo significato al teatro di oggi e di domani.
Pensiamolo come una mappa del tesoro. Anzi dei tesori. Ce ne sono ovunque disseminati lungo il percorso, pochi sono già stati scoperti e sono così abbondanti da aver ricchezza per tutti.
Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.
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