Se mi tornassi questa sera accanto. Carmen Pellegrino e i fiumi che tessono la vita.

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Chissà se è un libro sui padri? Il titolo, Se mi tornassi questa sera accanto, preso crudo e abbrancante dalla poesia di Alfonso Gatto A mio padre, potrebbe far credere di sì.

È forse un libro sulle molteplici fughe che gli esseri umani s’inventano per poter, almeno a volte, essere accanto a ciò che sono dentro e non sempre a quello che gli è stato dato in sorte di essere?
Forse.
Giosuè Pindari primo attore e al contempo comprimario di questa drammaturgia dell’anima fugge dalla possibilità  d’essere altro da quello che è e lo fa rendendosi passione politica; sua moglie Nora fugge dalla delusione che ha guadagnato andando sposa in un altro luogo, in un altro mondo, e lo fa creandosi una ragione nuova, disallineata, decomposta. Lulù, la figlia, protagonista incontrastata d’amore e di soluzioni magiche fugge da un fiume e lo fa per approdare sulle sponde di un altro.

Ma allora è un libro sui fiumi?
Sì.
È un libro sui fiumi, sulla terra profonda (sud o nord, alla fine è uguale), sulla storia, sulla scrittura. A dire il vero è un libro su quel fiume in piena che sa essere la scrittura: di lettere (la prima parte è un epistolario univoco, lettere di un padre ad una figlia, lettere che raccontano il passato, il presente, i perché e vengono affidati alle acque turbolente di Fiumeterra); di diari (Lulù ritrova i diari segreti della madre e impara sguardi diversi, sistemi di crittografie e, soprattutto, la voce e i desideri dei morti). La scrittura che si rivela una nuova tessitura di vita, non solo per i protagonisti, ma anche per noi lettori.

Carmen Pellegrino di nuovo ci sorprende con Se mi tornassi questa sera accanto (Giunti Editore), un romanzo in cui la storia è forte, realistica, ma anche lo stratagemma per condurre il lettore in un mondo davvero sconosciuto.
Sconosciuto pur se in quei luoghi narrati, magari, abbiamo vissuto; se siamo stati socialisti indomiti con una città dell’utopia costruita sottopelle dalla quale non possiamo mai più liberarci. Anche se nostra madre ha seguito le orme di Nora dissociandosi dalla ragione per assaggiare il gusto dei defunti assieme a quello dei dolci. Perfino se, in una casa ancorata alle rive di un fiume antico che sta per gettarsi nel mare, ci siamo fermati più volte a sognare di abbandonare tutto ed essere per sempre acqua, steli e foglie.
Questa voce dalle molte forme ci indica come conoscerlo questo mondo nuovo, con quale parte dell’anima assorbirlo, con che voce parlarne, con quali sorrisi, cenni, gesti non lasciarlo più sfuggire.

Perché  la poesia forte del narrare attimi e esseri da cogliere come frutti, s’unisce in questo libro alla ricerca di un tempo da riplasmare perché lo abbiamo perso, dimenticato, maledetto, sciupato, ma vogliamo che ci ritorni indietro anche se invecchiato, privo di forza, disperso, purché sia quello che custodisce tutto ciò che abbiamo abbandonato.

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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