La parola al Teatro #41. Palchi Fioriti di Atelier Teatro. Riportare il teatro nel tessuto urbano.

immagine per Palchi Fioriti di Atelier Teatro

La cultura è uno strumento necessario di ripartenza e rinnovamento.
Con questa visione imprescindibile e confortante, Atelier Teatro torna a portare nel tessuto urbano Palchi fioriti, la sessione primaverile del festival Mille e una piazza.

Con quattro fine settimana, dal 22 maggio al 13 giugno, cinque spettacoli in nove parchi e giardini urbani di altrettanti quartieri della periferia di Milano, per un totale di dieci appuntamenti, la compagna  riporta il teatro popolare all’aperto con la propria rilettura della commedia greca e latina, in spettacoli gratuiti adatti a un pubblico di tutte le età.

Abbiamo parlato di questa esperienza collettiva di rinnovamento con la compagnia.

Raccontateci qualcosa su Atelier Teatro e sulla vostra poetica.

Atelier Teatro nasce più di 10 anni fa intorno alla figura dell’attore e formatore Mamadou Dioume. La prima fase è stata dunque all’insegna della formazione e del teatro fisico, con interesse particolare al mito e alla tragedia greca. In seguito, con la direzione di Giulia Salis e Ruggero Caverni e l’apertura ad attori più giovani si è cominciato un percorso sulla commedia classica di Aristofane che ha portato una trilogia dedicta al grande commediografo.

In parallelo hanno preso il via un programma di spettacoli interattivi nelle scuole, L’atelier dei ragazzi, e dei percorsi di formazione permanente con trainer esterni, Le voci del labirinto. In questi laboratori è cominciata la collaborazione con il maestro Carlo Boso e l’interesse per la commedia dell’arte.

Atelier Teatro vuole dunque affrontare tutte le fasi della produzione, dalla formazione alla produzione all’organizzazione di eventi, costittuendo progetti diversificati, per il pubblico dei teatri, delle piazze e delle scuole.

Come è stato e cosa ha significato organizzare il festival di primavera nel momento della ripresa, ma anche dell’incertezza?

Il 23 febbraio 2020, dopo 2 mesi di lavoro per l’ideazione e l’organizzazione del festival Il mercato dei saltimbanchi, il covid ha fatto saltare tra la prima e la seconda replica del festival.

La delusione è stata davvero bruciante. In settembre siamo riusciti a riproporre il festival, con il titolo Le mille e una piazza, adeguandoci alle norme vigenti e indovinando il breve periodo di apertura degli spettacoli dal vivo.

Per l’edizione 2021 quindi abbiamo fatto la scommessa di organizzare un festival in due sessioni -primavera e autunno- cercando ancora una volta di indovinare quali sarebbero state le curve di contagio e i tempi di efficacia del programma vaccinale, per poter tornare in pubblico, con gli spettacoli, appena possibile (con un ulteriore adeguamento alle norme su sedute numerate e prenotazioni).

La nostra situazione, come quella di tutto il mondo dello spettacolo, è molto fragile e basta pochissimo per mettere di nuovo in crisi la nostra organizzazione (contagi.. nuove norme .. anche, banalmente, il meteo). Tuttavia la crisi sanitaria ci ha insegnato a reagire rapidamente e a scommettere con più coraggio, con l’unico obiettivo di incontrare il pubblico ogni volta che possiamo.

Soprattutto il pubblico delle periferie, che si è rivelato, in mezzo alla crisi, di un calore straordinario.

Portare il teatro nei luoghi dove le proposte scarseggiano significa soprattutto recuperare la vicinanza e la comunità. Quali difficoltà ci sono nel riuscire a coinvolgere le persone magari ancora diffidenti e impaurite

Portare il teatro in quartieri periferici e che conosciamo solo di fama, significa visitare un luogo già carico di molteplici letture.

Un parco pubblico viene visto in modo molto diverso dai genitori di bambini in età scolare, da ragazzi di diversa età e di diversa estrazione e cultura, da abitanti del quartiere che hanno tra loro idee diverse su quale sia il modo di vivere un parco o una piazza.

Nelle prove, nei sopralluoghi e negli allestimenti degli spettacoli, abbiamo assistito a feste di compleanno, liti, grigliate, aggressioni armate, allenamenti di fitness, assunzione di droghe.
Portare il palco e lo spettacolo significa prendere la parola e proporre una ulteriore visione e modalità di vivere un certo spazio.

Qualcuno ci accoglie come se non aspettasse altro da anni, altri possono vivere la proposta come una minaccia e un’occupazione.

Bisogna accettare entrambe le cose e cercare di inserirsi nel contesto nel modo più armonico possibile, solo così possiamo considerarci una risorsa e non un’ulteriore occasione di conflitto. Proprio perché si tratta di luoghi pubblici non abbiamo più diritto degli altri di occuparli, dobbiamo farci accettare per poter offrire lo spettacolo a chi lo gradisce.

La scelta della commedia antica classica sembra vincente perché è diretta e coinvolgente pur essendo di notevole livello culturale. Come vengono vissute le vostre proposte e i vostri contenuti?

La commedia classica ha il vantaggio di trattare con leggerezza e grande fantasia temi universali della convivenza umana (Negli Uccelli il conflitto tra utopia e realtà politica, nelle Nuvole il rapporto tra città, economia e centri di sapere, nel Pluto e nella Pace, il rapporto tra Guerra ed economia, nell’Asino d’oro, etc.).

Noi trattiamo i temi con grande libertà, cercando portarli vicino a un pubblico il più vasto possibile. L’impegno è quello di arrivare a una semplicità estrema, curata e non banale, che non perda nulla dell’essenza delle storie che raccontiamo.

Quanta necessità (e richiesta) di cultura trovate quotidianamente nel vostro percorso?

Spesso noi per primi siamo come dei pinocchietti.. e facciamo fatica a distinguere quello che vogliamo da quello di cui abbiamo bisogno. Il pubblico delle piazze si divide quasi sempre in una maggioranza che cerca puro intrattenimento, (ma poi sa apprezzare il contenuto e il fatto di essere stato accompagnato da una storia nella riflessione) e in una minoranza “intellettuale” che vuole la morale  e il contenuto (salvo scoprire che tante volte è più piacevole un’empatia naturale con i guai dei personaggi e degli altri spettatori, che non spremere la storia perché confessi dei pensieri.

Una buona commedia fa sempre riflettere razionalmente, ma credo sia meglio cominciare a farlo dopo che la storia si è conclusa, ripensare a quello che ci ha fatto ridere o piangere e al perché.
Così troviamo lo spettatore al centro e non i pensieri grandi o piccoli dell’autore o del regista.

immagine per Palchi Fioriti di Atelier Teatro

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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