Pan-crazio: la libertà di avere paura. Simone Migliorini e l’attualità del mistero mitologico

immagine per Simone Migliorini
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Pancrazio

Avevo avuto modo di leggere il testo originale di Pan-crazio: la libertà di avere paura, di Alma Daddario e di esserne rimasta attratta e legata per tutta la lettura grazie a quella che mi è apparsa subito come una grande energia poetica nel descrivere, attraverso uno dei personaggi più carichi di mistero della mitolgia antica, la realtà contemporanea, psicologica dell’uomo ferito e abbrutito dalla sua stessa diversità.

Pancrazio, l’infante dai tratti somatici irregolari, il bambino dalla faccia caprina, l’adolescente ogni giorno più brutto a se stesso e, dunque, anche agli altri. Abbandonato dalla madre, tenuto a distanza e oltraggiato dal padre, trascinato fra dottori e punizioni, usato e allontanato dalle donne, che si ribella con gli unici mezzi che sa: vendetta, aggressività, (auto)distruzione.

Pancrazio, forgiato dalla musica e che la musica forgia fino a renderlo amico e amante ambito.

In Pan-crazio non c’è soltanto Pan il dio delle selve dalla faccia e dalle zampe di capro, il dio gioviale che sapeva suonare melodie che conducevano alla danza. In questa drammaturgia c’è un’analisi sull’escluso che riporta anche al mito del Minotauro, anch’esso estremamente attuale.

La rinarrazione del mito di Pan giunge a teatro, per la rassegna dedicata al teatro contemporaneoDOIT Festival | L’Artigogolo, in collaborazione con ChiPiùNeArt Edizioni,  attraverso la lettura drammatizzata che ne fa Simone Migliorini, un virtuoso della parola, un uomo di teatro irruento e plasmatore che ne fa una lettura passionale e appassionata, scortato (come s’addice al Dio Pan) da due donne: e la danzatrice Carlotta Bruni e la violinista Angela Zapolla che sperimenta suoni e melodie attraverso il violino elettrico, costruendo una sonorità in bilico fra la profondità delle grotte frequentate da Pan e l’attualità della musica suonata dall’adolescene nella sua cameretta.

Attraverso la parola il testo si fa ancora più reale. Attraverso la danza i personaggi si fanno carne e la musica li accompagna verso un destino comune, che ci turba e del quale siamo, anche nolenti, spettatori obbligati.

La costruzione della messa in scena, però, risente di quello che, nell’incontro con il pubblico che il DOIT Festival organizza a fine spettacolo, è stato raccontato come mancanza di sostegno economico, poco tempo a disposizione degli artisti, lontananza logistica fra di loro.

Quello che a detta di Migliorini e delle sue magnifiche compagne di viaggio, rappresenta un pregio (costruire uno spettacolo in cinque ore, lasciare libertà espressiva a ciascun interprete e poi assemblare il risultato) è invece, a mio avviso, il tallone di Achille (tanto per restare in tema mitologico) dello spettacolo.

Il Pan-crazio di Alma Daddario meritava di più. Meritava di essere messo in scena completamente, meritava di trovare azioni che ne dipanassero quei significati che s’annidano tra le parole come spirali di conchiglie marine. Meritava, oltre la potenza dell’interpretazione, la meraviglia della narrazione, l’unitarietà di intenti fra i personaggi, la condivisione fra gli attori.

E sono certa che la genialità degli interpreti possa prima o poi trovare il modo di offrire un nuovo immaginario ad una storia antica ed attuale come il mondo .

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Giornalista culturale e autrice di testi ed adattamenti, si dedica da sempre alla ricerca di scritture, viaggi, tradizioni e memorie. Per dieci anni direttore responsabile del mensile "Carcere e Comunità" e co-fondatrice di "SOS Razzismo Italia", nel 1990 fonda l’Associazione Teatrale "The Way to the Indies Argillateatri". Collabora con diverse testate e si occupa di progetti non profit, educativi, teatrali, editoriali, letterari, giornalistici e web.

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